rivista anarchica
anno 37 n. 328
estate 2007


mass-media

Silenzio sulla sentenza
di Marco Caponera

 

Una pediatra triestina, pestata dalle forze dell’ordine nel luglio 2001 a Genova, ha presentato una denuncia. Ora una sentenza condanna il Ministero dell’Interno. Ma quasi non se ne è saputo niente.

 

Il 29 aprile 2007 nella cronaca locale genovese del quotidiano “La Repubblica” viene per la prima volta menzionata la sentenza di condanna nei confronti del Ministero degli Interni emessa dal giudice Angela Latella, per le violenze subite da Maria Spaccini, una pediatra triestina di 50 anni, da parte della polizia, nei giorni delle manifestazioni contro il G8 a Genova. La condanna è stata comminata al Ministero nell’impossibilità di risalire agli esecutori materiali del pestaggio.
Questo è un fatto.

Avversi per tradizione

La polizia italiana in questa occasione è stata ritenuta colpevole di violenze non casuali o accidentali, non individuali, ma collettive, e pianificate per porre termine alla pericolosa, in termini politici, congiunzione tra il movimento cattolico e quello della cosiddetta estrema sinistra, iniziata prima del G8 di Genova. Per la prima volta a Genova, infatti, le componenti presenti in piazza vedevano una folta partecipazione di organizzazioni umanitarie di matrice cattolica. Un fatto questo che evidentemente ha spaventato le caste politiche, timorose di vedersi criticare non soltanto da coloro che erano loro avversi per tradizione, ma anche da realtà nuove e difficilmente stigmatizzabili con i soliti appellativi di autonomi, anarco-insurrezionalisti, black bloc e chi più ne ha più ne metta.
I cattolici in piazza furono la testimonianza diretta che l’avversione nei confronti del modello di sviluppo imposto dai grandi del pianeta fosse sbagliato per una nuova fetta di popolazione, non soltanto per i “pochi” scalmanati estremisti. Così, indirizzando le violenze nei confronti di gente inerme, non violenta e poco avvezza alle dinamiche di piazza si volle intimidirla, per evitare che si ripresentasse in piazza in futuro. Chissà se il piano ha funzionato, non sappiamo quanti, spaventati dalla minaccia delle violenze, non si siano più ripresentati personalmente, per manifestare il proprio dissenso nelle varie manifestazioni organizzate in seguito ai fatti di Genova, però è provato che questa intenzione criminale da parte dello stato sia stata appurata nella sentenza di un tribunale di questo paese.
E questo è un fatto.

Genova: 21 luglio 2001. Carica contro il corteo a piazzale Martin Luther King

Ignobili festeggiamenti

Quello che più stupisce in questo caso non è tanto la condanna o il testo della sentenza del giudice Latella, quanto il fatto che nessun organo di stampa nazionale ne abbia dato la notizia, e sì che quelle manifestazioni, con la morte in piazza di Carlo Giuliani di polemiche ne suscitarono numerose. E ancora oggi non appare chiara la dinamica della stessa morte di Carlo, per ammissione del carabiniere che (si dice) sparò, unita alle “creative” ricostruzioni dell’evento. Anche le infiltrazioni di poliziotti travestiti da black bloc suscitarono molto scalpore, al pari degli ignobili festeggiamenti delle forze dell’”ordine” la sera della morte di Carlo, che numerosi filmati, articoli (di cronaca locale) e testimonianze dirette documentano ampiamente. I fatti di Genova sono una ferita ancora aperta in questo paese, e, in questo scenario, nessuno reputa giornalisticamente “interessate” la condanna delle forze dell’ordine per le violenze ai manifestanti.
Ciò è difficile da credere, più facile credere che si sia voluto nascondere questa condanna per non creare ulteriori dubbi sulla gestione della piazza da parte dell’allora governo Berlusconi – ricordo per dovere di “cronaca” che anche in una precedente manifestazione a Napoli, ancora sotto il governo di centro-sinistra, si verificarono fatti analoghi, anche in quella occasione certosinamente insabbiati. Forse il governo Prodi e tutti gli organi di stampa reputano pericoloso che si parli di una condanna nei confronti di organi dello stato, forse la ragione di stato è più forte del dovere di cronaca, forse scoprire la verità, e denunciarla pubblicamente, non fa più parte della pratica giornalistica di numerosi professionisti della penna, che evidentemente preferiscono sedersi alla propria scrivania ed eseguire pedissequamente quanto ordinato da direttori, editori e organi dello stato.
Tante volte in pubbliche dichiarazioni i politici hanno voluto parlare di come sia anacronistico essere accusati oggi di fascismo, le ideologie sono crollate, dicono, ma cos’è questa se non una pratica censoria degna del più efficiente “Minculpop”?
Queste sono riflessioni suggerite dai fatti.

Non ci si può stupire

Certo è che non ci si può stupire più di tanto se l’Italia finisce sempre in mezzo ai paesi retti da dittature nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa: quando accadono fatti del genere la società deve sapere e se la stampa non informa vuole dire che sta coprendo.
Questa è un’amara conclusione.

Marco Caponera