rivista anarchica
anno 37 n. 330
novembre 2007


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

L’arte del
cardinale

 

Gli artisti, si sa, vivono di commissioni. Quando vivono. Agenzia commissionaria fondamentale per la storia nota dell’arte, anche questo si sa, è la Chiesa. Che commissiona a Gerhard Richter una grande vetrata per la gotica cattedrale di Colonia. Detto, pagato l’anticipo e fatto, a fine agosto c’è l’inaugurazione, ma gli undicimila frammenti colorati di cristallo giustapposti dall’artista non convincono Joachim Meisner che, nella vicenda, fa la parte del cardinale. Liberissimo.
Ma la sua dichiarazione in proposito non convince me.
Quei frammenti, a suo parere, sono messi a caso, non figurano, non rappresentano. Costituiscono arte “astratta”, come si usa dire da tempo, e, conseguentemente – qui sta il punto – non vanno bene per una Chiesa ma per una Moschea. Parrà strano ma di quella lotta durata dal 727 al 843, da un papa Gregorio II ad un papa Gregorio IV – di quei più di cento anni trascorsi fra interminabili sinodi, scomuniche, persecuzioni e guerre -, di quella lotta fra iconoclasti e iconoduli, ovvero fra chi non ammetteva il culto delle immagini sacre e chi invece lo voleva, di quella lotta rimangono ancora i residui ideologici. Utilizzati per fini tutti attuali come quelli di determinare steccati fra cattolici e musulmani.
Passano quindici giorni. Il cardinale si trova ad inaugurare un museo diocesano e, già che c’è, ne dice un’altra o, meglio, la dice tutta: arte e religiosità vanno a braccetto, se la prima perde per strada la seconda, ne risulta una cultura “degenerata”. Come non mettere in rapporto le due dichiarazioni ?
A parte il fatto che a pronunciarle è la stessa persona, entrambe le argomentazione riposano su impliciti preoccupanti e suggeriscono una tesi: fino a che l’arte è figurativa ha il supporto della religiosità, l’arte astratta non ha questo supporto e può giusto andar bene per una religiosità degenerata come quella musulmana.
L’idea di degenerazione ce l’avevamo lasciata alle spalle oltre cent’anni fa. Era il caposaldo dell’antropologia positivista di Cesare Lombroso e, per l’appunto un suo seguace, Max Nordau, nel 1892, ne individuò le tracce nelle allora nuove correnti artistiche, senza sospettare alcunché dei frutti che avrebbe prodotto quel suo seme. Negli anni Trenta, infatti, i nazisti si rimpossessarono del concetto, gli inventarono un rapporto con gli ebrei e, una volta “epurati” i musei, misero in piedi una sorta di mostra itinerante di 650 esemplari di arte “degenerata” il cui scopo didattico fu tanto raggiunto, evidentemente, da annoverare tuttora adepti fedeli.
Nell’argomentazione cardinalizia, poi, c’è anche del pressappochismo. Casualità e determinatezza dipendono non dalle cose in se stesse ma dal modo con cui le guardiamo. La cattedrale gotica ha una sua tradizione di luci e forme specifiche delle proprie vetrate. Richter, dunque, scegliendo frammenti colorati, non sceglie “a caso”, ma opera con determinatezza per ottenere un certo risultato. Al cardinale può non piacere e può dirlo, ma, nel momento in cui si interroga sulle ragioni dei suoi gusti – come tutti noi – deve avere il coraggio di andare fino in fondo, portandone alla luce della propria consapevolezza le radici politiche.

Felice Accame

P.s.: Tragica paradossalità delle vicende umane: Nordau, che in realtà si chiamava Südfeld, fu a capo del movimento sionista ungherese.