rivista anarchica
anno 37 n. 331
dicembre 2007 - gennaio 2008


Dossier Disabilità e Vita Indipendente

discriminazioni

Donne con disabilità

Ida Barbuto, Vincenza Ferrarese, Giampiero Griffo, Emilia Napolitano, Gianna Spinuso, "Consulenza alla pari - Da vittime della storia a protagonisti della vita", Comunità Edizioni, 2006

Il movimento delle donne e quello delle persone con disabilità hanno dimostrato senza ombra di dubbio che i Diritti Umani sono diritti inalienabili ed universali di tutti gli esseri umani, e che ovunque non dipendono dalle leggi del singolo Stato, ma dalla stessa appartenenza al genere umano, composto da uomini e donne, diversi nel corpo e nell’identità, ma uguali nei loro diritti naturali. Nonostante la condivisione di condizioni ed obiettivi, queste due entità politiche e culturali non si sono mai realmente incontrate nel loro lungo ed intenso percorso di liberazione.
Termometro di questa mancata collusione creativa è il velo d’invisibilità che i due movimenti hanno steso sulle donne con disabilità, anello di congiunzione tra loro, che avrebbe prodotto, all’interno dei diversi contesti culturali e sociali, una maggiore presa di coscienza di come la diversità, fisica, sessuale, emotiva di ogni individuo debba essere inclusa e non solo tollerata: la libertà e l’inclusione di ogni singola persona è la misura naturale della libertà dell’intero universo.
Nell’ambito del movimento delle persone con disabilità si è presunta l’irrilevanza del genere così come irrilevanti sono stati considerati la dimensione sociale, di classe, etnica e dell’orientamento sessuale. La disabilità viene considerata un concetto unitario che eclissa tutte le altre dimensioni. L’approccio attuale rivela la tendenza a nascondere il genere nell’esaminare le vite delle persone con disabilità, trascurando di esplorare l’influenza che il genere ha su di esse. In sostanza il movimento delle persone con disabilità non ha ancora riconosciuto la discriminazione multipla, determinata dalla combinazione di genere e disabilità, sperimentata dalle donne con disabilità, e questo ha comportato una mancanza di interesse nel progettare interventi e pratiche, politiche ed azioni per soddisfare le necessità specifiche di queste ultime.
La radicale messa in discussione da parte delle donne del secolare predominio del genere maschile su quello femminile, che ha sovvertito l’ordine simbolico della non uguaglianza di valore dell’essere umano e dell’essere donna e che ha prodotto la giusta condanna degli abusi e delle violenze perpetrati sulle donne, sembra non investire e coinvolgere le donne con disabilità.
Il pensiero femminista continua ad ignorare ed escludere le donne con disabilità. Le donne si sono unite agli uomini , senza o con disabilità, relegando le donne disabili ad un livello inferiore della loro riflessione intellettuale e politica. L’impegno a veicolare un’immagine di donna forte, potente, competente ed attraente, è una delle ragioni per cui le donne con disabilità sono escluse dal movimento femminista; infatti l’immagine che si ha di loro di donne indifese, eterne fanciulle, dipendenti, bisognose e passive rafforza lo stereotipo della donna tradizionale. La donna con disabilità considerata da sempre non adatta a ricoprire i tradizionali ruoli di madre, moglie, casalinga e innamorata non è altrettanto considerata adatta a ricoprire i nuovi ruoli di una società in cui domina il mito della produttività e dell’apparenza.
Per meglio comprendere la discriminazione multipla che vivono le donne con disabilità esaminiamo tre importanti aree di vita, nelle quali compareremo la loro condizione con quella delle altre donne e degli uomini con disabilità. Tali aree sono : l’affettività, l’istruzione e il lavoro.

Affettività
Quest’area è legata alla sfera della femminilità e della sessualità.
Quando nasce una bambina, per lei è già stato disegnato, anche se inconsapevolmente, un progetto di vita, da parte dei genitori, in particolare dalla madre. Questo disegno è un copione che si ripete da secoli: crescerà, andrà a scuola, avrà amici e amiche, diventerà una piccola donna, avrà il fidanzato, si sposerà, avrà figli, ecc.
Quando nasce una bambina con disabilità questo disegno viene meno e nel suo percorso di crescita si sviluppa un forte legame di dipendenza dalla figura materna. Il contenimento esclusivo della madre rischia di generare un ritorno all’utero e la bambina con disabilità sarà per sempre la bambina della mamma, dunque un soggetto potenzialmente privo di sessualità adulta. La dimensione della sessualità, già tabù di fondo nella disabilità, non viene qui riconosciuta, al punto che il linguaggio materno neanche la nomina! Il corpo materno che nega la sessualità della bambina disabile e nel contempo vive una sua sessualità con capacità generativa, è un corpo in cui la bambina con disabilità, diventata ormai donna, non può riconoscersi, così da ostacolare fortemente la strutturazione dell’identità di genere di quest’ultima.
Solitamente, la donna viene riconosciuta in quanto tale dall’altro, prima dalla madre, poi dal padre e successivamente dal partner, giungendo così alla definizione della sua identità. Esseri asessuati, le donne con disabilità non ricevono quasi mai nessuna informazione sul sesso ed il controllo delle nascite. Subiscono abusi e violenze sessuali molto di più delle altre donne. Violenze ed abusi sessuali vengono agiti contro di loro in tutti i contesti di vita, ma per quelle che vivono in istituto il rischio è molto più grande. Eppure nell’immaginario collettivo sono considerate prive d’interesse sessuale. Come può avvenire tutto questo? La risposta è semplice e crudele allo stesso tempo: l’abuso e la violenza sessuale hanno più a che fare con l’esercitazione del potere oppressivo che con la libido ed il piacere. Il potere oppressivo viene esercitato soprattutto sugli individui vulnerabili e la vulnerabilità aumenta se le persone vivono condizioni di emarginazione, esclusione, segregazione, dipendenza. E le donne con disabilità, più vulnerabili tra i vulnerabili, sono facile preda di violentatori ed aguzzini.
Se il diritto alla sessualità ed il rispetto del corpo sono il cavallo di battaglia del movimento delle donne così non è per le persone con disabilità e soprattutto per le donne con disabilità che oggi chiedono di fare del diritto alla sessualità un problema politico al pari di quello dell’accessibilità, del trasporto, ecc.
La realizzazione della propria affettività passa anche attraverso l’essere mogli e madri. Tali ruoli sono difficilmente raggiungibili dalle donne con disabilità, mentre non sono ambiti dalle donne in genere, perché non sono considerati la misura migliore del successo sociale. Le donne con disabilità si sposano molto di meno o molto più in là negli anni rispetto sia alle altre donne che agli uomini con disabilità. È più facile che una donna venga abbandonata dal proprio marito se la disabilità viene acquisita dopo il matrimonio, mentre il matrimonio si rompe raramente se è l’uomo ad avere una disabilità.
Se molte sono le donne che restano intrappolate in relazioni difficili o abusive, per le condizioni economiche precarie in cui sono costrette a vivere, ciò è più tragicamente vero per le donne con disabilità perché l’unica alternativa potrebbe essere l’istituto. Inoltre, per molte di loro questa relazione cattiva è stata l’unica della loro vita, quindi meglio una relazione abusiva che nessuna relazione.
Per quanto riguarda l’essere madre, la donna con disabilità è da sempre considerata dipendente e bisognosa di cura, e questo rende difficile a molti anche solo immaginarla come madre. È opinione molto diffusa che essa non può e non dovrebbe mettere al mondo dei figli, difficilmente i medici e il contesto familiare e sociale la incoraggiano verso questa scelta. Problematico è avere informazioni e servizi che possano soddisfare i suoi bisogni specifici. Allorquando la donna disabile diventa madre può incontrare difficoltà nel richiedere i servizi per l’infanzia, costruiti in genere senza tener conto delle sue esigenze di accessibilità, ed in caso di divorzio può perdere più facilmente la custodia dei propri figli.
A tutto questo bisogna aggiungere la paura della società, il più delle volte infondata, che una donna disabile possa mettere al mondo bambini disabili. Paura che ha dato luogo ad una severa discriminazione e violenza ed ha reso legittime pratiche quali la sterilizzazione, l’aborto selettivo e l’infanticidio.

Istruzione
L’accesso all’istruzione rimane un problema notevole per le persone con disabilità.
Tradizionalmente i bambini con disabilità venivano istruiti in scuole speciali e segreganti o in classi separate all’interno delle scuole ordinarie, e la loro istruzione è stata vastamente inferiore se confrontata con quella regolare ricevuta dagli altri bambini, le ragazze e le donne con disabilità ricevono meno istruzione a causa del pensiero stereotipato che considera sia le donne che le persone con disabilità come dipendenti, emotivamente instabili e bisognosi di cura risultando, quindi, non solo difficile istruirle ma anche inutile. Ma se le donne si sono conquistate uno spazio significativo anche in questo campo, ed oggi accedono con facilità ai corsi universitari che le preparano a essere professioniste al pari degli uomini in ogni ambito del sapere, così non è per la maggior parte delle donne con disabilità, che ancora vengono orientate verso scelte scolastiche che le porteranno ad accupare posizioni e ruoli subalterni in ambito lavorativo e di conseguenza economicamente meno remunerati.

Lavoro
L’inserimento nel mondo del lavoro presenta problemi molto seri per le donne con disabilità che si affacciano in questo contesto prive delle competenze necessarie a causa di un’istruzione discriminante. A questo deve essere associato il pregiudizio che il mondo del lavoro ha nei loro confronti, e nei confronti delle donne in generale, considerate soggetti passivi, dipendenti e fallimentari. La mancanza di opportunità lavorativa ed economica è endemica tra le donne con disabilità, esponendole a rischi maggiori di povertà economica e di relazioni sociali.
Come abbiamo visto, molti sono stati e sono gli ostacoli che le persone con disabilità e le donne devono affrontare nella lotta per l’uguaglianza di opportunità e gravi sono le discriminazioni che ancora sono costrette a subire. Ma la multipla discriminazione, per genere e per disabilità vissuta dalle donne con disabilità, dimostra come esse siano state trascurate sia dal movimento delle persone con disabilità che dal movimento femminista.
È solo nell’ultima decade che sono stati fatti tentativi seri per identificare e capire le forze che plasmano le loro vite. Questi tentativi si sono concentrati principalmente per comprendere come le condizioni dell’essere donna e dell’avere una disabilità possano interagire, e come le donne con disabilità vedono e vivono la loro esperienza. Ma ancora oggi esse sono tra i gruppi più vulnerabili, più emarginati e discriminati della società. È necessario, quindi, sviluppare una comprensione maggiore delle loro vite, per rimuovere gli ostacoli che ancora rimangono per il raggiungimento della loro piena inclusione e partecipazione e per garantire loro pari opportunità, piena libertà e il diritto all’autodeterminazione.
Tutte le persone dovrebbero comprendere che una società attenta, capace di accogliere invece che isolare, capace di offrire invece che togliere, è una società migliore. Il mondo in cui viviamo dovrebbe essere di tutti e non di una ridotta schiera di persone. Finchè esisterà una società che nasconde ciò che non piace, finchè le persone guarderanno con paura a tutto ciò che è diverso, questo pianeta resterà un piccolo punto a parte in questo grande universo e rispetto alla costellazione di Cassiopea o alla stella di Aldebaran qualche Ulisse solitario perderà la rotta.
Perché l’universo è un tutto…e tutti ne dobbiamo fare parte affinché continui ad esistere!

Rita Barbuto, Vincenza Ferrarese, Giampiero Griffo, Emilia Napolitano, Gianna Spinuso


Dedicata alle donne in movimento

Mi fermo riflettendo
sul corpo delle donne
oggetto di attacco e di repressione
prodotto in offerta e d’occasione,
tento di associarvi il mio,
sono una donna anch’io,
ma una rabbia insonne
mi separa, stridendo

Mi freno, a confronto ponendo
me, la mia disabilità
corpo arginato aggirato negato imprevisto
imposto scomposto ricomposto rivisto,
con quello delle altre, atteso
capace di risposte, proteso,
rimpiango la mia libertà ...
e mi riprendo

Mi avvio cercando
la soluzione adatta
e scopro dolcemente
che Vita Indipendente
è il nome della cosa
(che nel diritto riposa):
per vivere nel mondo sono fatta!
mi dico, finalmente, respirando

 

Mi accosto in un fiato
alle altre donne in lotta,
indugio perché ascoltino la dissonanza
che esprimo col mio corpo persino in lontananza.
Racconterò di come per alzarmi ed andare, per fare e disfare
sull’assistente personale solo posso contare
per una vita degna e non ridotta
a un “grazie” desolato (e fortunato!)

“Né guerra che ci distrugga né pace che ci opprima”
è la speranza che coltivo
perché voglio prendermi cura
di me, dell’amor mio, della mia casa, della natura
non voglio rinunciare ai colori, all’allegria,
alla musica, al canto, alla danza, alla poesia ...
Con il mio corpo, con la disabilità convivo:
fate che ne disponga io per prima

Mi fondo, avanzo con le altre
consapevole e fiera
che di fronte ad ogni abuso
il movimento delle donne è uso,
con tenerezza e con tenacia rispondere,
insieme e con impegno procedere
verso la dignità e una pace vera.
La strada è lunga ma siamo forti e scaltre.

 

 

Ida Sala