rivista anarchica
anno 38 n. 333
marzo 2008


società

Rivoluzioni silenziose
di Colin Ward

 

“L’anarchia. Un approccio essenziale” è il titolo (e sottotitolo) di un nuovo volume di Elèuthera. Ne pubblichiamo uno stralcio.

 

Il divario tra le aspirazioni anarchiche e la storia reale del ventesimo secolo potrebbe ben rappresentare la follia di speranze impossibili, se non fosse per il parallelo fallimento di altre ideologie politiche della sinistra. Chi di noi non si è sentito profondamente sollevato per il crollo del comunismo sovietico, anche se abbiamo avuto ben poco di che rallegrarci per i regimi che lo hanno seguito? Man mano che i luoghi di detenzione si svuotavano di quanti erano sopravvissuti, i sinceri credenti sono stati obbligati a mettere in discussione i propri presupposti.
Molti anni fa, il giornalista Americano Dwight Macdonald ha scritto l’articolo On Politics Past con una lunga nota a pie’ pagina che mi ha poi confessato essere il pezzo più citato che avesse mai scritto. Questa nota diceva:

L’alternativa rivoluzionaria allo status quo di oggi non è la proprietà collettivizzata amministrata da uno «Stato operaio», qualunque cosa ciò possa significare, ma un qualche tipo di decentralizzazione anarchica che scomponga la società di massa in piccole comunità dove gli individui possano vivere insieme come esseri umani diversificati e non come unità impersonali che fanno parte del totale della massa. L’inconsistenza del New Deal e del regime post-bellico del Partito laburista inglese è dimostrata dalla loro incapacità a migliorare alcunché di importante nella vita della gente: le reali relazioni sul luogo di lavoro, il modo di impiegare il tempo libero, l’educazione dei figli, il sesso, l’arte. È l’esistenza massificata che oggi vizia tutto ciò, e uno Stato che mantiene lo status quo. Il marxismo glorifica «le masse» e appoggia lo Stato. L’anarchismo vuole tornare all’individuo e alla comunità, il che non è «pratico» ma necessario (cioè rivoluzionario).

In modo parziale, incompleto, ma evidente, diverse rivoluzioni hanno già trasformato la superficie dell’esistenza. Per fare un esempio superficiale per definizione, ovvio ed evidente sebbene raramente discusso, si consideri la rivoluzione avvenuta nell’abbigliamento nella seconda metà del ventesimo secolo. Cinquanta anni fa in Gran Bretagna si poteva capire la classe sociale di uomini, donne e bambini dagli abiti che indossavano. Oggi questo non è più possibile, se non per quella ridotta minoranza che sa riconoscere i segni dei vestiti costosi ed esclusivi. Ciò viene generalmente attribuito all’aumento della produzione di massa e al fatto che l’industria dell’abbigliamento è la via principale verso l’economia globale con una forza lavoro sotto-pagata nel cosiddetto mondo «in via di sviluppo». In realtà, ha più a che fare con quel «rilassamento» del modo di vestire indotto per tutto il ventesimo secolo dal rifiuto delle mode alimentato dal radicalismo anticonformista. Ignorare il codice del vestiario basato sul lavoro svolto o la classe di appartenenza è stato un piccolo, individuale, rifiuto delle convenzioni. Ma una rivoluzione ben più importante, che ha conquistato terreno durante tutto il secolo, è stata quella del movimento femminile, che ha rifiutato la convenzione universale del predominio maschile. Tra i suoi pionieri anarchici c’è stata Emma Goldman con il suo acuto pamphlet La tragedia dell’emancipazione femminile, dove si sosteneva che il voto, che non era riuscito a liberare gli uomini, non avrebbe verosimilmente liberato nemmeno le donne. L’emancipazione, diceva la Goldman, deve venire dalla donna stessa:

Prima di tutto proponendosi come personalità, non come merce sessuale. Poi rifiutando il diritto di chiunque altro sul proprio corpo; rifiutando di fare figli, se non li vuole; rifiutando di essere serva di Dio, o dello Stato, della società, del marito, della famiglia eccetera; rendendo la propria vita più semplice, ma più profonda e ricca. Cioè cercando di imparare il significato e il senso della vita in tutta la sua complessità, liberandosi dal timore della pubblica opinione e della pubblica riprovazione. Solo questo, non il voto, libererà le donne…
È nel mondo anarchico che è invalsa l’abitudine delle cosiddette «libere unioni» in contrapposizione ai matrimoni sanciti dalla Chiesa o dallo Stato. Oggi queste sono diffuse quasi quanto i matrimoni ufficiali, con il risultato che la riprovazione un tempo associata alla mancanza di legittimazione nel corso del secolo è scomparsa. Questo cambiamento è stato ovviamente accelerato dalla rivoluzione farmacologica indotta dalla pillola contraccettiva.
Alex Comfort (1920-2000) era medico, romanziere, poeta e anarchico. Dalle sue conferenze organizzate dal London Anarchist Group verso la fine degli anni Quaranta è scaturito il libro Barbarism and Sexual Freedom (Barbarie e libertà sessuale), pubblicato da Freedom Press nel 1948, quando nessun editore «rispettabile» avrebbe pubblicato un libro simile. Da qui è venuto poi il suo Sexual Behaviour in Society (Comportamento sessuale nella società) e quindi lo straordinario successo dei suoi manuali sessuali, come The Joy of Sex (La gioia del sesso). Nel libro More Joy: A Lovemaking Companion to The Joy of Sex (Più gioia: una guida amorosa alla gioia del sesso), del 1973, Comfort ha incluso una trattazione anarchica del rapporto tra sessualità e politica:
La consapevolezza e l’atteggiamento che viene da una positiva esperienza sessuale non porta a un ritiro egoista, bensì è più facile che induca la gente a radicalizzarsi. L’anti-sessualità delle società autoritarie e di quanti le dirigono non è frutto di convinzione (anche i governanti hanno una vita sessuale), ma della vaga percezione che la libertà in questo campo possa portare a desiderare la libertà anche altrove. Le persone che hanno erotizzato l’esperienza che hanno di se stesse e del mondo sono, da un lato, sconvenientemente poco bellicose e, dall’altro, fortemente combattive nel resistere ai piazzisti della politica e ai razzisti, i quali minacciano la libertà personale che tali persone hanno raggiunto e che vorrebbero condividere con altri.
Colin Ward con la moglie Harriet
 

Scuole “progressiste”

Comfort sperava che i suoi libri potessero servire non solo a rassicurare e liberare ma anche a dare un contributo a un’altra rivoluzione in atto nel ventesimo secolo: quella nei rapporti tra genitori e figli.

È difficile immaginare nell’Europa occidentale di oggi il comportamento punitivo dei genitori verso i figli che era dato per scontato un secolo fa. Lo stesso può dirsi dei rapporti tra insegnanti e allievi. I ricordi di chi è stato a scuola nella prima decade del ventesimo secolo sono pieni di testimonianze sulle punizioni fisiche ricevute o comunque paventate. Nell’ultima decade del secolo, in Gran Bretagna le punizioni corporali nelle scuole sono state bandite. Non è trattato di una decisione improvvisa, ma del risultato ottenuto grazie all’influenza esercitata da un pugno di scuole «progressiste» sulle concezioni educative generali.
Molti osservatori sostengono che il sistema scolastico non ha saputo preparare ai dilemmi che si sono presentati con l’abbandono delle punizioni fisiche. A loro avviso, l’insegnante sarebbe ora privo di uno strumento visto come risolutiva sanzione scolastica. Ciò ha fatto sì che un numero crescente di giovani venga allontanato dalle scuole perché gli insegnanti rifiutano di averli in classe. Chiunque abbia avuto modo di constatare quanto il singolo disturbatore possa rendere impossibile l’apprendimento per l’intero gruppo non ha critiche da rivolgere a questi insegnanti (visto che, in particolare, i loro datori di lavoro hanno fatto pressioni su di essi affinché non scombussolassero le statistiche).
Negli anni Sessanta e Settanta, in diverse città britanniche (Londra, Liverpool, Leeds, Glasgow) si è prodotta una situazione interessante. Gruppi di entusiasti hanno trovato locali disponibili dove hanno istituito «scuole libere » per dare istruzione informale ai giovani espulsi dalle scuole ufficiali o che si erano auto-esclusi marinando continuamente le lezioni. (Una di queste, la White Lion Free School di Londra, è durata dal 1972 fino al 1990). Il regime di queste scuole era consapevolmente modellato sull’esperienza del movimento per un insegnamento progressista. Ho domandato a un veterano di tali esperimenti come mai un’idea simile non sia ricomparsa tra le nuove generazioni di giovani esplusi dalla scuola all’inizio del nuovo secolo. Mi ha indicato due motivi. Primo, la necessità del riconoscimento legale per ogni istituto che intenda insegnare secondo il programma nazionale introdotto durante il governo Thatcher e mantenuto dai suoi successori. Secondo, la difficoltà di reperire ambienti conformi ai regolamenti di sicurezza e igiene prescritti per le scuole. Tuttavia, è difficile immaginare un ritorno al regime di timore che governava le scuole un secolo fa. La rivoluzione silenziosa dell’educazione può solo muoversi in avanti.
Altri due cambiamenti avvenuti in Gran Bretagna a partire dagli anni Sessanta appaiono irreversibili. Uno è l’abolizione della persecuzione legale dell’omosessualità. Essa è stata raccomandata in un rapporto governativo commissionato da John Wolfenden e pubblicato nel 1957, ma anni di polemiche e agitazioni sono stati necessari per modificare il dettato della legge. L’altro è stato la messa al bando della pena capitale, nel 1965. Alla vigilia del dibattito che ha prodotto tale cambiamento, la casa editrice anarchica Freedom Press ha regalato a ogni membro del parlamento una copia della sua edizione del devastante libro di Charles Duff A Handbook on Hanging (Manuale dell’impiccagione), che si presentava come un entusiastico manuale a uso dei boia. Solo osservatori totalmente privi di senso dell’umorismo potrebbero sostenere che il supporto dato a campagne per porre fine a leggi barbare sia in contraddizione con l’anti-parlamentarismo anarchico.
Nel loro complesso, tutti questi cambiamenti sociali indicano che gli anarchici, se hanno fatto scarsi progressi verso i cambiamenti di grande portata che vorrebbero indurre nella società, hanno comunque contribuito a una lunga serie di piccole liberazioni che hanno alleggerito di grandi fardelli le spalle dell’umana miseria.
Diversi gruppi anarchici hanno cercato di riunire queste lotte per la liberazione umana in una campagna cosciente volta a ottenere una maggiore rilevanza. In Olanda, i provos hanno introdotto alternative giocose per mettere in ridicolo la gestione municipale ufficiale. La loro impresa più famosa è stata di invadere Amsterdam con biciclette bianche a uso pubblico, per dimostrare l’inutilità dei veicoli a motore. I provos sono stati seguiti dai kabouters, o gnomi, antesignani del movimento dei Verdi. Uno di loro, Roel van Duyn, ha evidenziato il collegamento tra anarchismo e cibernetica, la scienza dei sistemi di comunicazione e controllo, come già aveva suggerito lo stesso fondatore della cibernetica, il neurologo Grey Walter. Come ha sottolineato van Duyn:

Non ci sono capi nel cervello, o gangli oligarchici o Grandi Fratelli ghiandolari. Nella nostra testa la nostra esistenza dipende dall’uguaglianza delle opportunità, dalla specializzazione unita alla versatilità, dalla libera comunicazione e da giusti vincoli, libertà senza interferenze. Anche qui, minoranze locali possono controllare i propri mezzi di produzione ed espressione (e lo fanno) attraverso liberi ed equi rapporti con il prossimo.

Situazionisti e kabouters

In Francia, tra i diversi tentativi volti a rendere più incisive le diffuse ma vaghe tendenze libertarie presenti, va citato quello messo in atto dai situazionisti, in particolare da Raoul Vaneigem con il suo manifesto La rivoluzione della vita quotidiana del 1967.
Scrive Peter Marshall:

Secondo i situazionisti, la soluzione non è stare ad aspettare una lontana rivoluzione, ma re-inventare la vita quotidiana, qui e subito. Trasformare la percezione del mondo e cambiare la struttura della società sono la stessa cosa. Liberando noi stessi, cambiamo i rapporti di potere e quindi trasformiamo la società.
Situazionisti e kabouters sono passati alla storia senza essere riusciti a trasformare la società, eppure la Francia e l’Olanda, come la Gran Bretagna, hanno avuto una serie di piccole conquiste di civiltà.
In seguito, le rivoluzioni silenziose sono diventate più rumorose quando, grazie a Internet, gli anarchici si sono uniti alle proteste anti-capitaliste contro le istituzioni globali, partecipando a una serie di grandi dimostrazioni ogni volta che queste si sono incontrate per portare avanti i propri interessi. Così scrive George Monbiot nel suo libro Captive State:
Nell’aprile 1998, una banda raccogliticcia di manifestanti ha inflitto la prima di tante sconfitte alla coalizione che riuniva i più potenti interessi del pianeta. Le ventinove nazioni più ricche hanno messo insieme le proprie forze con quelle delle maggiori compagnie multinazionali per redigere la «costituzione di un’unica economia globale». Questa, proposta in bozza dagli industriali e discussa segretamente dai governi, se fosse passata avrebbe garantito alle grandi imprese il diritto di mettere sotto accusa ogni Paese le cui leggi ostacolassero la loro capacità di far soldi. Quell’accordo, dicevano i suoi oppositori, era lo statuto della conquista del mondo da parte delle grandi imprese.

Monbiot ricorda come l’esistenza di questo accordo segreto sia trapelata nel 1997, permettendo ai suoi oppositori di metterne i dettagli in rete, cosa che ha reso possibile indire manifestazioni in qualunque luogo i rappresentanti dei governi decidessero di incontrarsi. La pressione pubblica, unita ai conflitti interni, ha obbligato i leader globali ad abbandonare i loro negoziati, solo per farli rinascere sotto gli auspici dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. I negoziatori si sono così incontrati a Seattle nel 1999, ma i colloqui sono stati un fallimento poiché, fuori, decine di migliaia di persone da tutto il mondo hanno protestato in nome dei Paesi poveri e dell’ambiente.

Polizia disorientata

Nelle dimostrazioni di Seattle sono state usate le tecniche già utilizzate da provos e kabouters per mettere in ridicolo le forze dell’ordine. Sean M. Sheehan, nel suo testo sull’anarchismo contemporaneo, descrive quanto è successo a Praga, un anno dopo Seattle, durante le dimostrazioni contro il Fondo Monetario Internazionale:

Si sono presentati mini-eserciti di manifestanti vestiti da fatine e armati di piumini con cui solleticavano i ranghi dei poliziotti armati ed equipaggiati di tutto punto. In questo tipo di manifestazioni, il traffico tende a essere bloccato non tanto da barricate in fiamme e scontri nelle strade, quanto da giganteschi fantocci, come il Liberation Puppet, in grado di intasare un’intera autostrada.

Ma dopo che cinque giorni di protesta avevano portato l’incontro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio vicino al collasso, la polizia, pesantemente armata, ha risposto. Continua Sheehan:

Che la dimensione e l’organizzazione della protesta abbia disorientato la polizia, tanto da spingerla a comportamenti isterici e apertamente illegali, è dimostrato dal fatto che dei seicentotrentuno arrestati solo quattordici sono finiti sotto processo.
Pur cominciate in modo pacato e ironico, le grandi dimostrazioni internazionali di opposizione al capitalismo globale non sono più rivoluzioni silenziose. Sembra che ci sia stato un patto tra le forze di polizia per aumentare progressivamente la violenza della risposta ai manifestanti. Come scrive Sheehan nel suo libro:
Il livello «normale» di violenza poliziesca visto a Seattle si è elevato in occasione della protesta anti-capitalista di Göteborg, nel giugno 2001, arrivando alla distribuzione tra gli agenti di munizioni letali, con tre persone colpite. Quando un’altra manifestazione è stata organizzata a Genova, nel luglio dello stesso anno, essa si è trasformata in una sommossa violenta, con i mezzi blindati che scorrazzavano a tutta velocità tra le schiere di manifestanti e un violentissimo assalto, condotto a tarda notte e a sangue freddo, contro un edificio dove stavano attivisti dei media con il loro equipaggiamento.

Colin Ward

Riferimenti bibliografici

  • D. Macdonald, Politics Past, «Encounter», aprile 1957.
  • E. Goldman, The Tragedy of Women’s Emancipation (1911), in Anarchism and Other Essays, Dover, New York 1969; trad. it.: Amore emancipazione: tre saggi sulla questione della donna, La Fiaccola, Ragusa 1996.
  • A. Comfort, Love Joy: A Lovemaking Companion to the Joy of Sex, Quartet, London 1973; trad. it.: Più gioia nel sesso: il secondo volume di guida avanzata all’educazione sessuale, CSTS, Bologna 1987.
  • C. Duff, A Handbook on Hanging, Freedom Press, London 1965; trad. it.: Manuale del boia, Adelphi, Milano 1998.
  • R. De Jong, Provos and Kabouters, Friends of Malatesta, Buffalo (NY), s.d.
  • R. Vaneigem, The Revolution of Everyday Life, Rebel Press, London 1983.
  • G. Monbiot, Captive State, Macmillan, London 2000.
  • S.M. Sheehan, Anarchism, Reaction Books, London 2000; trad. it.: Ripartire dall’anarchia, Elèuthera, Milano 2004.