rivista anarchica
anno 38 n. 334
aprile 2008


etica

La filosofia del “ma”
di Francesco Codello

 

A fronte di una sempre più accentuata massificazione, emerge la necessità di rivendicare una continua assunzione di responsabilità individuale.

 

La congiunzione ma ha, come suggerisce il vocabolario, un valore avversativo, vale a dire che contrappone due elementi di una proposizione che hanno lo stesso valore. Talvolta il suo significato sottolinea dubbio o incertezza oppure disapprovazione. Naturalmente in questo contesto mi preme analizzare non tanto il suo valore grammaticale quanto la sua possibile natura filosofico-ideologica.
Quasi sempre nelle discussioni e nei nostri discorsi, a prescindere dall’interlocutore e dall’argomento, noi siamo soliti argomentare le nostre opinioni o esplicitare i nostri pensieri, utilizzando spesso questa congiunzione. Ovviamente mi interessa cogliere il suo uso strumentale, quando cioè si trasforma da una parola insignificante per la finalità del discorso a una significativa. Capire il valore e le implicazioni che questo comporta credo sia abbastanza importante per analizzare attraverso l’ordine del ragionamento l’atteggiamento mentale che lo sottintende. In altre parole questa semplice e persino banale congiunzione se allocata nella dissertazione in un contesto particolare, rivela in realtà una importante implicazione.
Quando noi sosteniamo una tesi qualsiasi ricorriamo spesso al ma per spiegare o giustificare quanto esplicitato. Questo fatto ha una valenza positiva quando serve per argomentare una valutazione o un’affermazione, dimostra capacità di analisi, rivela sforzo e onestà intellettuale di capire e approfondire al di là appunto dell’immediatezza della realtà. Ma la stessa congiunzione, quando è (come accade molto spesso) usata per giustificare un nostro comportamento o quello di persone che godono della nostra considerazione, può immetterci in un tunnel che assume i connotati del giustificazionismo fine a se stesso. Ma, soprattutto, porta inevitabilmente (quando è reiterata) a innescare una fuga sistematica dalla responsabilità.
Per l’etica anarchica, così come naturalmente la concepisco io, praticare la propria evasione dalla pratica della responsabilità individuale, è decisamente un fatto negativo, perché contribuisce, in modo determinante, alla perpetuazione della logica dell’asservimento e del dominio. Se l’individuo assume questo atteggiamento di frapporre tra la propria azione e gli esiti che essa produce la “filosofia del ma”, di fatto, rinuncia alla propria autonomia, alla propria capacità di scegliere e di rivendicare serenamente gli esiti che la propria opzione produce sulla realtà.
Poiché penso, come ha in passato con estrema lucidità ben sottolineato Paul Goodman, che l’autonomia sia di gran lunga il valore principale di riferimento per l’essere anarchico, poiché senza autonomia non vi può essere libertà ma piuttosto licenza, abdicare ad essa in nome di una filosofia che produca una fuga dalla propria responsabilità, non appartiene alla tradizione e all’etica anarchica. Attraverso questo meccanismo di evasione dalla scrupolosità individuale noi contribuiamo ad alimentare un comune sentire sociale che tende a giustificare sempre e comunque ogni cosa. Gli esempi di quanto negativo sia per la promozione di esseri liberi e autonomi questo comportamento è sotto gli occhi di ciascuno di noi.
Gli anarchici, anche quando le loro azioni hanno assunto le caratteristiche più controverse e discutibili, si sono sempre assunti esplicitamente le proprie responsabilità, hanno costantemente firmato inequivocabilmente tutto ciò che hanno prodotto. Nessun anarchico ha pressoché mai negato di essere il responsabile di una propria azione, neanche coloro i quali, come ad esempio Gaetano Bresci, si sono assunti la responsabilità di uccidere un tiranno.
Questa semplice ma chiara caratteristica del comportamento ha consentito da sempre di distinguere l’azione anarchica da quella terroristica e quella di ogni altra forma di protesta e/o rivolta. Ciò ha sempre garantito anche tutti gli altri compagni e permesso di denunciare sempre con lucidità e chiarezza azioni sedicenti libertarie. Ma mi pare indispensabile sempre più, vista la caotica e disarmante situazione generale, fare un altro passo in avanti su questa strada. Alla base della concezione anarchica vi è la libertà individuale e soprattutto il posto privilegiato che viene assegnato all’individuo, alla sua specificità, alla sua sovranità.

Senza scorciatoie

Proprio per questo possiamo dire con forza che la società nella quale viviamo è estremamente diversa e antitetica da quella che noi sogniamo. Se infatti la valorizzazione dell’individualità è il fondamento di una nostra desiderata comunità, la triste e grigia massificazione a cui oggi assistiamo, con la sua molteplicità di ripetute ritualità, con la pratica diffusa della de-responsabilità, è seriamente compromessa e minata nella sua autenticità. Ecco perché dobbiamo imparare a valutare i nostri comportamenti sulla base di questo principio di responsabilità, senza scorciatoie, senza forzate giustificazioni, senza, soprattutto, addebitare a mille cause, a innumerevoli situazioni, la spiegazione dei nostri comportamenti. Non è un esercizio facile, anzi, talvolta può essere addirittura pericoloso per il nostro equilibrio interiore, ma è di gran lunga l’unico modo per affermare e difendere la nostra irrinunciabile singolarità.

È pertanto quanto mai indispensabile, oltre che opportuno, rivendicare con chiarezza e tenacia la propria autonomia attraverso la continua assunzione di responsabilità, riaffermare fino in fondo il proprio compito di esseri storici per conseguire i valori in cui crediamo, riappropriarsi tenacemente della nostra vita e della nostra capacità di scegliere consapevolmente, praticare attivamente il nostro desiderio e diritto ad essere ciò che desideriamo, senza che nessuno possa permettersi il diritto di decidere per noi, senza che qualcuno si senta in diritto di appropriarsi della nostra responsabilità in nome della quale poi, inevitabilmente, edificherà un sistema di dominio difficilmente scalfibile.

Francesco Codello