rivista anarchica
anno 39 n. 341
febbraio 2009


persone

Al tvajol ed furmajin
di Patrizia “Pralina” Diamante

Il fascismo preso a pasquinate. A 70 anni dal suicidio di protesta di Angelo Fortunato Formíggini, l’omaggio di una groucho-marxista.

 

La serietà è un’adesione totale con il proprio spirito, la seriosità è un atteggiamento esteriore, che non indica necessariamente serietà. “Pour ce que rire est le propre de l’homme” (Rabelais) ma anche qui è opportuno un distinguo, tra la vile derisione di chi non è socialmente o fisicamente “conforme”, e la Satira, una delle forme artistiche più raffinate che bersaglia il Potere in ogni sua manifestazione. Angelo non fu certamente Fortunato a trasformarsi in editore prevalentemente satirico, mentre il mondo culturale e artistico era sottoposto a una censura senza eguali. Formíggini nacque a Collegara il 21 giugno 1878 da famiglia benestante d’origine ebraica e morì suicida a Modena il 29 novembre 1938.

Angelo Fortunato Formíggini nel 1925

“Suicidi d’autore” collana Fiabesca, ed. Stampa Alternativa (2003), mi colpì per l’eccezionale levità con la quale l’autore Antonio Castronuovo descrisse il gesto di Formíggini, uomo integro, non soggetto a depressione, “non a rischio” secondo parametri psichiatrici consolidati, ma anzi ironico fino alle ultime ore.
Gli editori modenesi lo ricordano: Portici di Piazza Grande 28-30 novembre 2008 esposizione delle sue collane editoriali, organizzata grazie all’antiquario Garagnani da Libreria Grandangolo. Il ritrovato interesse attorno alla figura di questo “editore dilettante” si produce in pièces teatrali, convegni, e nella presentazione del nuovissimo “La Cronaca della Festa. 1908-2008 Omaggio ad A. F. Formíggini un secolo dopo”, curato da Nicola Bonazzi, prefazione di Carlo Bonacini, ed. Artestampa. In occasione di queste doverose iniziative, la giornalista Giulia Manzini segnala un agile ma completo volumetto, curato con estrema attenzione (nemmeno un refuso!) uscito alcuni anni fa, ma attualissimo ed in sintonia con l’idea di libro “rompitascabile”.

La copertina di uno dei libri più gustosi
della casa editrice Formíggini

Mi metto in contatto con Antonio Castronuovo, autore di “Libri da ridere. La vita, i libri e il suicidio di Angelo Fortunato Formíggini”, collana Margini, ed. Stampa Alternativa, 2005, la cui pubblicazione fu richiesta esplicitamente da S.A. per sposare il suo motto “Si nasce editori come si nasce poeti”. Chi era “Formaggino da Modena”?
Non un futurista, spiega Castronuovo “il futurismo, sebbene destruente, ha parecchi lati retorici. I futuristi sono a tratti ludici, ma non ridono” e nemmeno un fascista, nonostante all’inizio egli avesse visto di buon occhio certi aspetti del regime; in seguito, piccato per scippi e ingerenze nella sua professione, fino al furto dell’idea della Treccani, scrisse “La Ficozza (il bernoccolo romanesco = Giovanni Gentile) filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo”, ma poi, non pago d’avere criticato i soli gerarchi, giunse a mettere in rima il Duce “Ribaldo; il tuo bieco destino lo avevi segnato nel nome; soltanto nel dì che n’andrai sarai veramente Ben...ito”. Alla sua morte verrà ritrovata una scatola piena delle sue pasquinate antifasciste. «Il fascismo è una gran bella cosa visto dall’alto; ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso. È come se tu guardi un’automobile standoci dentro seduto o se la guardi quando ti ha buttato a terra e ne senti sullo stomaco il grave peso che ti soffoca».

Angelo Fortunato Formíggini (caricatura)

Formíggini fu un goliardo e un filosofo. Nulla di più innocente e sovversivo al tempo stesso. Laureatosi in Giurisprudenza con 110 e lode con una tesi sul riavvicinamento delle razze ariana e semita, che fu un autentico pesce d‘aprile come ammise egli stesso, s’iscrisse a Filosofia a Roma, dove conobbe la pedagogista Emilia Santamaria allieva di Labriola, quindi discusse la sua seconda tesi a Bologna su “La filosofia del ridere”. Gettò la tonaca di professore alle ortiche, quando un bel mattino di maggio del 1908 si svegliò “con le stesse mani, lo stesso naso, ma era diventato editore”; impiantò le sue attività tra Modena, Genova e Roma. Attingendo dal patrimonio familiare, con la sua casa editrice “piccina picciò” riuscì a pubblicare ben 600 titoli, fra i quali il gioiellino “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” di Olindo Guerrini. La sua rivista “Italia che scrive” fu un successo travolgente e i “Classici del ridere” li chiamò er mejo fico der mio bigonzo.
Ma gravemente si spegneva quel sogno di sorriso universale che avrebbe dovuto accomunare i popoli in fraterna armonia: l’ebraicità di Formíggini, dichiaratosi non sionista, “alieno da ogni confessionalità”, “modenese di sette cotte”, era secondo il regime un marchio genetico, di fatto un’occasione d’oro per sbarazzarsi di un editore ormai scomodo. Mise al riparo la casa editrice dichiarandola “anonima”, prima che venissero promulgate le leggi razziali,
F. iniziò a organizzare il suicidio. «Io non posso rinunciare a ciò che considero un mio preciso dovere: io debbo dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti richiamando l’attenzione sul mio caso che mi pare il più tipico di tutti». Tornò da Roma con un biglietto di sola andata. La mattina seguente, dopo aver scritto all’adorata Emilia di “non guastargli le uova nel paniere”; si diresse verso la sua Ghirlandina, scelta per il suo poema eroicomico preferito: la “Secchia rapita” di Alessandro Tassoni. Incontrò un amico che gli chiese se voleva fare colazione con lui, gli rispose tranquillo “Non posso, devo andare molto in alto”. Ad un altro disse “Salirò la torre per le scale e ne uscirò dal di fuori, è più agevole”. Pensarono a uno dei soliti scherzi. Con una scusa allontanò il custode, giunse all’ultimo piano, quindi saltò giù da una finestra gridando per tre volte “Italia!”, j’accuse gravissima, guardando in faccia il regime. I giornali ne parlarono solo nel 1945. I funerali per insistenza della moglie si svolsero almeno di giorno, seguiti da pochi intimi e da una trentina di poliziotti che annotavano i nomi dei presenti. Starace con vile derisione affermò: “Si è suicidato da ebreo, voleva risparmiare un colpo di pistola”.
Il quadrato di selciato che raccolse i suoi resti, è noto come “Al tvajol ed furmajin”, il tovagliolo di formaggino. Oggi la sua Fondazione si trova presso la Biblioteca Estense di Modena. Un percorso che vale la pena ritrovare e un libro che vale la pena di leggere, poiché la scrittura di Castronuovo è giocata sul filo di un’ironia lieve, ma costante, qualità che Formíggini avrebbe certamente apprezzato sopra ogni altra celebrazione.

Patrizia “Pralina” Diamante

Ringrazio Antonio Castronuovo, la redazione di Stampalternativa/Nuovi Equilibri, Giulia Manzini de La Gazzetta di Modena, e un pochino anche le ritrovate origini del mio cognome, per la preziosa collaborazione.

Opere di Formíggini

  • La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo, Roma, Formíggini, 1923
  • Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani compilato da uno dei suddetti “seconda edizione con nuovi errori ed aggiunte e con una appendice egocentrica”, Roma, Formíggini, 1928
  • Venticinque anni dopo, Roma, Formíggini, 1933
  • Il francobollo per la risposta, Roma, Formíggini, 1936
  • Cicero: “de domo sua”, Roma, Formíggini, 1937
  • Parole in libertà, Roma, Edizioni Roma, 1945
  • Trenta anni dopo. Storia di una casa editrice, Roma, Edizioni Formíggini, 1951 (2a ed. Vaciglio, Levi, 1977)
  • Filosofia del ridere. Note ed appunti, Bologna, CLUEB, 1989