rivista anarchica
anno 39 n. 341
febbraio 2009


clericalismo

Tromboni e squilli di tromba
di Carlo Oliva

Il senatore Marcello Pera sostiene che “non c’è liberalismo senza Dio”. Il papa sottoscrive.
Ma una volta il liberalismo non era…?

 

In un brano famoso del Vangelo secondo Matteo, Nostro Signore, con un pizzico di ironia abbastanza insolito in quel contesto, raccomanda di non suonare la tromba davanti a sé quando si fa l’elemosina, perché non bisogna “praticare le buone opere per essere ammirati dagli uomini”: una immagine insolita e pregnante, molto più efficace di quel “non sappia la mano destra ciò che fa la sinistra” con cui il concetto viene rafforzato subito dopo e che, con tutto il rispetto, conferisce al benefattore tipo dei Vangeli una connotazione vagamente schizoide. Il fatto che la seconda metafora venga citata assai più di frequente della prima mi è sempre sembrato uno dei molti misteri della comunicazione pastorale, a meno che non dipenda dal desiderio della chiesa di non irritare i molti, troppi tromboni con cui, nella sua storia millenaria, ha avuto a che fare. È evidente, comunque, che il riferimento all’elemosina non va preso in senso restrittivo e che quell’invito a una sobria riservatezza nel fare il bene (o ciò che si considera tale) si riferisce a tutte le azioni meritevoli che ciascuno di noi ha occasione di compiere. E credo che converrete tutti con me sul fatto che la raccomandazione relativa sia una delle meno fortunate di tutto il Nuovo Testamento, nel senso che sono ben pochi a seguirla, come dimostra la quantità di tromboni che, in numero sempre crescente, allignano sulla platea religiosa e profana.
Così, il senatore Marcello Pera, noto filosofo popperiano e teorico liberale, avendo scritto un libro sui rapporti tra religione, etica e liberalismo, avendolo sottoposto – in bozze, presumo – al papa in persona e avendone ricevuto una lettera di elogio, non ha resistito alla tentazione di suonare un poco la tromba. Il testo papale in questione, completa di riproduzione della firma olografa dei mittente, apre il nuovo saggio del senatore (da poco in libreria) ed è stato integralmente pubblicato sul “Corriere della sera” lo scorso 23 novembre. In effetti, bisogna ammettere che resistere a una tentazione del genere sarebbe stato molto difficile, visto che i complimenti che l’illustre recensore profonde avrebbero fatto arrossire Tommaso d’Aquino in persona. All’autore vengono attribuite una “conoscenza profonda delle fonti”, una “logica cogente” e “inconfutabile”, una “sobria razionalità” e una “ampia informazione filosofica”, le quali doti contribuirebbero a fare del volume un’opera “di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo”. Parole un po’ forti, dunque, per un semplice saggio. Ma si capisce: Pera, a dire di Ratzinger (e di Maria Antonietta Calabrò, che sulla stessa pagina del “Corriere” firma una recensione a nove colonne) è riuscito a far capire che “non c’è liberalismo senza Dio”. Ha dimostrato (stando sempre al papa) che “all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio ... di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà” e che quella dottrina “perde la sua base è distrugge se stessa se abbandona questo suo fondamento”. E non basta: “Non meno impressionante” sembra a Benedetto XVI “l’analisi della multiculturalità”con cui Pera “dimostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale”, con tutte le conseguenze pratiche per un’Europa che non può trasformarsi “in una realtà cosmopolita,” ma deve trovare, “a partire dal suo fondamento cristiano-liberale la propria identità.”
Non ho ancora letto il saggio del senatore e non saprei dirvi, quindi, se quel “fondamento cristiano-liberale” – con la lineetta – sia farina del sacco di Pera o di quello pontificio. Ma certo, dal punto di vista teorico, si tratta di una formula piuttosto sensazionale. Se la chiesa negli ultimi due secoli ha avuto spesso a che fare con varie ipotesi di “cristianesimo liberale”, in genere per condannarle, di un fondamento cristiano-liberale dell’identità europea non si era ancora sentito parlare.

Il relativismo degli altri

L’espressione, a esser franchi, un poco disturba anche noi che con il liberalismo non abbiamo poi molto a che fare. Non solo perché contiene una certa dose di asimmetria, visto che il Cristianesimo ha l’origine e la storia che conosciamo, mentre il liberalismo è stato inventato come termine e ideologia appena agli inizi dell’Ottocento. Ma perché fa un po’ specie vederla uscita dalla penna di un ex prefetto del Santo Offizio, che scrive, nello stesso contesto, che “sulla decisione religiosa di fondo” un vero dialogo “non è possibile senza mettere tra parentesi la propria fede” e che “il liberalismo, senza cessare di essere liberalismo, ma, al contrario per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere”, il che significa, in definitiva, che la libertà che ci è data e che quella dottrina difende è solo quella di credere a quello che lui, il papa, come interprete del cristianesimo insegna. Quale e quanto spazio possa lasciarsi in quest’ottica alla libertà religiosa e più in generale alla libertà di pensiero Ratzinger non lo spiega e dubito che lo precisi Pera, ma leggerò e vi saprò dire.
Certo, oggi il liberalismo non è più la dottrina potenzialmente eversiva uscita dalla temperie della Rivoluzione Francese e delle guerre napoleoniche per fronteggiare, in Europa e altrove, gli spettri risorgenti dell’assolutismo. Oggi l’assolutismo è tutt’altro che estinto, ma nessuno ha il coraggio di considerarsi (o di dichiararsi) assolutista e liberali, a quanto sembra, possono dirsi tutti, compreso il papa. Che il Sillabo di Pio IX, di cui Ratzinger, credo, ha visto con favore la causa di beatificazione, condanni, alla proposizione 80, l’ipotesi per cui “il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione” è un particolare che oggi può interessare solo a pochi eruditi. Il papa, che quanto a erudizione non è secondo a nessuno, può sempre rispondere che una cosa è il liberalismo dei moti ottocenteschi e un’altra quello del senatore Pera, se non altro perché il primo si riprometteva di abbattere il dominio temporale dei papi e il secondo si dà non poco da fare per conservarlo. Il che è vero, ma la distinzione puzza lo stesso un poco di relativismo e il Nostro con il relativismo non è mai stato tenero, lo ha – anzi – condannato, bandito e preso a male parole. Ma probabilmente si riferiva a quello degli altri.

Carlo Oliva

Nota
La citazione dal Vangelo di Matteo è in VI, 1-6; 16-18. Il libro del senatore Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani – Il liberalismo, l’Europa e l’etica, è edito da Mondadori.