rivista anarchica
anno 39 n. 342
marzo 2009


ricordando Rubén Prieto / 2

L’anarchia e l’anarchismo. Lo stato e la dominazione
di Rubén Prieto

Appunti per un dialogo tra due concetti contrapposti.

 

La necessità di rifondare le idee libertarie è intrinseca proprio a questa concezione filosofico-sociale. Di qui l’importanza di aprire spazi (come stiamo tentando di fare) per la considerazione critica delle sue problematiche fondanti, il chiarimento dei suoi aspetti immaturi o deboli, la proposta di nuove espressioni e l’analisi di forme sperimentali che le permettano di confrontarsi con la realtà, così come il feedback necessario e imprescindibile per la sua incessante rielaborazione.
D’altra parte, per questo modo di pensare e fare è necessaria una creazione collettiva, il cui obiettivo e significato è quello di fungere da motore per l’“invenzione” di esseri e società (persone e istituzioni) autonomi, liberi e solidali. A questo scopo, altrettanto importanti delle espressioni che emergono da posizioni e istanze individuali (primo momento di creatività) sono le riletture, interpretazioni o correzioni che apporteremo in istanze interpersonali o collettive (secondo momento di creatività). Lo sviluppo di un paradigma libertario necessita di questo gioco dialettico tra momenti emergenti (probabilmente individuali) e il feedback nato dal dialogo e dal confronto (per lo più sorto all’interno di gruppi ed esperienze collettive, spazi di libera sperimentazione, come dice Malatesta).
Basandoci su un valido punto di appoggio, ci proponiamo di partire dal contributo avviato da Eduardo Colombo nel suo recente libro El espacio político de la anarquía (Editorial Nordan-Comunidad 2000). (1) Tenteremo di evidenziare gli aspetti che riteniamo più significativi, sia per una migliore comprensione delle nostre idee e della loro validità rispetto al mondo attuale, sia come possibili applicazioni nella realtà critica del nostro tempo.
“L’anarchia è una configurazione, un principio organizzativo, un modo di rappresentare il politico.”
Questa premessa è una proposta gravida di significato e, al tempo stesso, di intenzionalità, costruita a partire da una necessità o desiderio di libertà. Concepita come lo spazio pubblico nel quale gli esseri umani possono riconoscersi liberi e uguali, è una creazione che resiste ai condizionamenti che le si oppongono “naturalmente”. È una costruzione storica, un’istituzione che, come un disegno previamente abbozzato, cerca di fornire agli esseri umani quello che desiderano e costituire un baluardo – in quanto cultura – per ciò che fanno per ottenere libertà e solidarietà.
Venezia, settembre 1984, Incontro Internazionale anarchico

Quale società anarchica

Un aspetto fondante di questo modo di pensare gli esseri umani e le istituzioni auspicabili affonda le proprie radici nell’affermazione secondo la quale né la “natura” né la “divinità” hanno dato libertà all’uomo. Affermazione che si colloca in una contrapposizione frontale con le concezioni eteronome che spiegano l’origine sia degli esseri umani, sia delle loro creazioni sociali e culturali mediante istanze sacre (la Natura o gli Dèi).
Un altro aspetto parimenti fondamentale – paradossale e tragico – consiste nella coscienza della situazione data dalle coordinate socio-storiche, che pesano negativamente, minacciando l’emergere di ogni alternativa. Il pensiero e le esperienze libertarie di autogestione sorgono sia a livello individuale sia in modalità collettive, all’interno di un ambiente contaminato e aggressivo, che in generale soffoca e reprime il loro sviluppo. Lourau, nel suo libro El Estado y el inconsciente (2) analizza il modo in cui le strutture della personalità e le strutture istituzionalizzate siano percorse da un immaginario che alimenta e riproduce modalità autoritarie.
Per altro verso, e in opposizione a questa rappresentazione di uno spazio politico “disegnato” ai fini dell’espansione permanente della libertà, lo “Stato” è un principio differente e contrapposto, che, in quanto paradigma organizzativo, si basa su e promuove la dominazione di una minoranza e la dipendenza degli altri. Nel corso della storia questo principio autoritario si è sviluppato basandosi sulla debolezza degli individui e delle forme associative che erano andati creando storicamente, raggiungendo un certo fulgore in civiltà efficienti e imperialiste, ma sviluppando al contempo forme ed esplosioni di resistenza e opposizione.
L’anarchismo emerge nella storia come la proposta che si nutre di un immaginario radicale, in lotta e mescolato con altre reazioni all’autoritarismo, che per lo più non sono altro che proposte di cambiamento di élite che aspirano al dominio. D’altro canto, e da sempre, è stato presente, all’interno di tutte le società e culture inventate dagli esseri umani, come tendenza in fermento. Più di recente si esprime come movimento specifico, che si costruisce parallelamente e in contrapposizione all’emergere del capitalismo e dei suoi strascichi di tipo fascista o leninista.
Nella breve e violenta storia che abbraccia gli ultimi due secoli, il movimento anarchico, assillato dalla repressione e sopportando le proprie immaturità, non ha avuto né gli spazi né i tempi di requie necessari a riflettere ampiamente e a fondo sulle forme istituzionali di una futura “società anarchica”. Nel fuoco dell’azione, sia per resistere sia per organizzarsi e creare alternative, ha dovuto dare soluzione alle cose più urgenti e, nel farlo, i suoi metodi e le sue strutture nascenti si sono contaminate.
Tuttavia la riflessione sui fini e sui mezzi, continua a essere necessaria e ineludibile, come il compito di liberare il cammino che ci porterà alla concretizzazione di queste idee, cammino che non ha fine e che va dispiegandosi in una storia che non è ancora fatta, ma che in ognuno dei suoi momenti, in ogni presente, trova il terreno fertile dell’azione diretta, l’unico territorio e l’unica tecnologia adatti ad affermare, collettivamente, il desiderio di autonomia politica e la pervicace passione per la libertà, insita in ogni essere umano.
Perché l’uomo non è uno, bensì molteplice; ed è nell’interazione collettiva che la società si costituisce, è nella libertà dell’altro che la mia libertà si riconosce. Ed è nella sua servitù che la libertà – la mia libertà e quella degli “altri” – si limita. Con una simile impostazione, Colombo torna a porre l’accento sulla capacità costituente che caratterizza gli esseri umani, riaffermando un concetto “volontarista” di Landauer: “Il socialismo è possibile e impossibile in qualsiasi epoca; è possibile quando esistono gli uomini adatti che vi aspirano, vale a dire, che lo fanno; ed è impossibile quando gli uomini non vi aspirano o pretendono soltanto di aspirarvi, senza poterlo realizzare”.
Se le persone credono che lo Stato e tutte le forme che gli assomigliano – chiese o partiti – sono considerate naturali, o sono assunte come un dato della realtà e pertanto come qualcosa di duro, stabile, immodificabile, si adatteranno (o saranno domati) e faranno proprie le forme sociali che trovano nel mondo in cui nascono: l’autorità, la religione, la tradizione. La naturalizzazione delle entità interessate a istituire la dominazione è ciò che spiega il motivo per cui, nella maggior parte degli individui, si radicano così facilmente la mancanza di ribellione e il conformismo, che induce grandi massi di persone, salvo sporadici eventi della storia, ad accettare un ordine sociale di sfruttamento, miseria e servitù, a vantaggio di una minoranza che detiene tutti i privilegi.
Nei modi e nelle tecniche di socializzazione che fanno di un soggetto un appartenente a un gruppo, a una classe, a una cultura, si nascondono i processi di riproduzione della dominazione, quell’alchimia che si sedimenta nel potere politico responsabile della trasformazione dell’arbitrarietà culturale in un fatto di natura.
Però, come dimostra Amedeo Bertolo, se tanti individui sono “fabbricati” dal sistema per fare propria l’obbedienza rispetto alla legge (al costituito), nelle forme associative emerge la possibilità della critica, e la capacità di decidere concordemente le norme e le istituzioni autonomamente elette (il costituente). I gruppi umani non sono forme passive, in attesa, nel costante rinnovamento dei loro membri, che tutti si integrino tranquillamente e senza conflitti nelle norme stabilite e nei valori dominanti; la violenza di base, prodotto dell’espropriazione del potere politico in mano a una élite, mobilita le passioni e scaglia gli uni contro gli altri all’interno della stessa classe, ceto o famiglia, costringendo alla ripetizione del gesto appreso, della parola autorizzata e del catechismo sacralizzato. Uomini e donne, in qualche modo isolati, in mezzo alle “folle solitarie” nell’arco delle loro vite, sono spinti impercettibilmente verso questa situazione fatale delle società, che è il regno del costituito, il regno che potremmo definire parafrasando uno scrittore francese: “Inventa, crea, e morirai perseguitato come un criminale. Copia, ripeti e vivrai felice come un imbecille” (Balzac). Le lotte intestine che nascono nei movimenti che pretendono di essere alternativi sono un’ulteriore espressione di questa rigenerazione dei valori dominanti. Sono gli stessi compagni a essere maggiormente inquisitori e intolleranti, poiché pretendono che la libertà e l’autogestione rispondano a modelli unici.

Nogent-le-Rotrou (Normandia), 31 marzo 1997: riunione
progettuale e conviviale tra compagni francesi,spagnoli, italiani e
latinoamericani; in senso orario Rossella Di Leo, Amedeo Bertolo,
Rubén Prieto (seduto a sinistra), Estela Péries, Vicente Martí
(seduto a destra), Floreal Palanca, Eduardo Colombo
(foto di Alicia Mazzolla Palanca)

Quando tutto diventa possibile

Possiamo però pensare che la servitù volontaria non si esaurisce nel conformismo. Ci sono certamente forme più attive di sottomissione allo Stato, come modo inconscio, che derivano dall’interiorizzazione della legge in una società androcentrica, patriarcale e oligarchica. Il desiderio di comandare o di dominare predispone facilmente all’obbedienza, esperienza che si ripete nel tessuto istituzionale che abbraccia la vita quotidiana, con la riaffermazione della differenza tra dirigenti e diretti, tra chi comanda e chi ubbidisce. A tale dicotomia si somma lo scontro di innovatori e inquisitori persino all’interno dello stesso movimento libertario. La paura della libertà è un’altra espressione della resistenza al cambiamento.
Nonostante tutto, e sotto la spinta delle frustrazioni e degli arbitri, questo ordine del mondo, nella reiterazione delle sue crisi, resta esposto alla critica, ed è da qui che sorge la possibilità di cambiarlo. Benché il popolo soffra di una malattia mortale, “il cui sintomo è questa caparbia volontà di servire”, nell’avvicendarsi delle generazioni, la lotta per la libertà provocherà, come già ha prodotto, quei vertiginosi momenti della storia che chiamiamo rivoluzioni, dove, di colpo, tutto diventa possibile. Lì potrà nascere un nuovo blocco immaginario, una nuova società aperta all’autonomia dell’uomo. Questa novità vive un processo di gestazione nella molteplicità delle reazioni e riflessioni, momenti di rifiuto dell’esistente e tentativi di esperienze che prefigurano quanto si desidera.
Forse non è esagerato affermare che, fino alla comparsa del nuovo paradigma espresso dall’anarchismo post-illuminista, la funzione di quasi tutta la filosofia politica classica e moderna è stata “la giustificazione dell’autorizzazione politica alla coercizione”, vale a dire, in altre parole, l’autorizzazione a legittimare il diritto del potere (dello Stato) a ottenere, con la forza se necessario, l’ubbidienza dei suoi sudditi.
Nascosto sotto le vesti del diritto, e come dimostra la teoria della Ragion di Stato, ogni potere politico in quando potere sovrano – delegato da dio o dal popolo – è, è stato e sarà, assoluto, come diventa evidente quando la sua stessa esistenza è messa in discussione e quindi assume le forme della dittatura (controrivoluzioni preventive, come le definisce Luigi Fabbri).
Le idee libertarie, soprattutto quando sono rappresentate da movimenti, spezzano tale stabilità provocata e sostenuta, stimolando la creatività e dando impulso alla capacità costitutiva, all’autonomia. In quanto teoria politica, si fonda su alcune proposizioni di base che alimentano la riflessione e spingono all’azione (partendo dalla differenza tra anarchia e anarchismo o anarchismi).
Come sintesi utilizziamo il costrutto concettuale di Colombo, secondo il quale: “L’anarchia è la configurazione di uno spazio politico non gerarchico, organizzato da e per l’autonomia del soggetto dell’azione”. Di qui la necessità di creare forme concrete, che consentano il gioco delle autonomie nelle loro istituzioni, sempre e continuamente emendabili e aperte al cambiamento.

Allora possiamo progredire in una costruzione pensata e attuata che abbia come base i seguenti postulati:

  1. La base dell’anarchismo, dal punto di vista della filosofia politica, è un relativismo radicale.
    Ma tale relativismo “relativizzato” parte dal presupposto che “la libertà e l’uguaglianza costituiscono l’unico spazio politico nel quale la diversità può esistere”.
    Allora, siamo di fronte al proposito e alla proposta di una totale rottura con qualsiasi eteronomia, per cui: gli uomini costruiscono il proprio mondo, si danno regole, norme o convenzioni proprie, che presiedano alle loro azioni. Tutto sta nella storia, nello storico-sociale, ma l’anarchismo non è “storicista”.
    Come afferma Castoriadis: “La storia è creazione di forme totali di vita umana. Le forme storico-sociali non sono ‘determinate’ da ‘leggi’ naturali o storiche. La società è autocreazione. La società e la storia creano la società costituente in contrapposizione alla società costituita”.
  2. L’anarchismo punta sul principio di preferenza.
    Per tutti gli uomini [per tutti gli uomini e le donne] la libertà è preferibile alla (è meglio della) schiavitù. Per tutti gli uomini [per tutti gli uomini e le donne] la dignità è preferibile alla (è meglio della) ignominia.
    L’anarchismo è un’etica e un ethos, essendo una teoria politica, che affronta e si oppone alle teorie e ai sistemi di dominio. Invece di credere in un fondamento sacro dei valori sui quali basare la vita, dobbiamo affrontare l’idea, e fare nostra la ventura, che siamo i creatori di questi valori e accettare lo scomodo compito di mantenere lo spirito critico nei confronti di questi stessi valori.

Rifondare l’anarchismo

Qui si ferma quello che non è altro che un lungo commento al contributo di Eduardo Colombo, espresso nel libro citato. Penso che forse sia opportuno aggiungere alcune considerazioni incluse nella relazione presentata al Colloquio svoltosi nel 1999 all’Università di Tolosa, dal titolo L’anarchismo ha un futuro?. La motivazione di quell’incontro è stata simile a quella che ci ha spinto a riunirci in quella che abbiamo chiamato Rete di cultura libertaria.
Oggi come sempre è necessario “rifondare l’anarchismo: inventare gli anarchismi”.
In attesa di commenti o altri contributi, un saluto libertario.

Rubén Prieto
(traduzione dal castigliano di Luisa Cortese)

1. Pubblicato in Italia con il titolo: Lo spazio politico dell’anarchia, Eleuthèra, Milano 2008.
2. René Lourau, L’état-inconscient, Les Éditions de Minuit, Paris 1978; trad. it. Lo Stato incosciente, Eleuthèra, Milano 1988.