rivista anarchica
anno 39 n. 344
maggio 2009



a cura di Marco Pandin

 

Pseudocanzoni

Mi sono accorto subito che c’è qualcosa che non va. Proprio all’inizio, direi proprio al primo colpo di plettro sulle corde della chitarra elettrica, prima canzone: mi sono detto “Occhio, Marco, qui dentro le cose non sono come sembrano. Qui qualcuno ti vuol fregare”. Quel qualcuno è Luciano Margorani, chitarrista da un bel po’, curioso da sempre, sperimentatore da ancora prima. In queste sue canzoni succedono cose strane: è abbastanza riconoscibile il “contenitore”, cioè la forma delle canzoni, ma è quello che Luciano ci ficca dentro che mi suona strano, che mi spiazza. Direi che per costruirle Luciano s’è ingegnato a mescolare schegge raccolte in giro in trent’anni di ascolti: schegge di suono, voce, riverberi, impressioni, copertine di dischi tenute in mano come carte geografiche, cose dette da un palco una volta, gesti visti fare anni prima con gli occhi di ragazzo e poi mai dimenticati. Tutti ingredienti strani per costruire canzoni, e infatti lui le chiama “Pseudocanzoni” penso per cautelarsi, magari per dire “ve l’avevo detto” quando ormai è troppo tardi.

Luciano Margorani

Non sono canzoni normali, ecco. È che non si sa come prenderle, da che parte iniziare a raccontarle: cominciano un po’ così con queste chitarre da altrove, poi qualcuno canta un testo e quel qualcuno è Umberto Fiori (“la voce” degli Stormy Six e ho detto tutto, mi sembra che aggiungere parole sia solo uno spreco), oppure è Elaine di Falco (una lista di avventure lunga un chilometro, dai Caveman Shoestore a Hugh Hopper ai Walkabouts). Detta così è banale, eppure c’è qualcosa che va oltre e che non so come raccontarvi perché questa non è solo una raccolta di cose per chitarra-e-voce più ospiti mediamente importanti. Qui dentro il tempo non segue le regole del nostro mondo, e le suggestioni dei suoni mescolano con leggerezza ieri e oggi e l’altro ieri e domani e dopodomani e chissà fra quando in una linea spezzata e imprevedibile come il volo dei passeri. Potrebbero essere cose degli anni Settanta ritrovate e suonate oggi, o pezzi nuovi pensati e cantati e suonati da musicisti di allora. Ci sono anche dei passaggi strumentali, come panorami brevi ai quali non fai in tempo ad abituarti e che a un certo punto si interrompono. Dall’ascolto si esce spaesati, come se si fosse attraversata una bolla nel tempo. La confezione per mille motivi è ridotta all’osso e mancano i testi, e questo costringe all’attenzione e spinge al riascolto. Dimenticavo, in mezzo ci sono Chris Cutler che suona la batteria in cinque pezzi e Fabrizio Spera degli Ossatura in altri due. Il cd, è chiaro, non gira per negozi e fiere (e ce ne sono numerose copie offerte a sostegno di A/Rivista Anarchica). Contatti: www.lucianomargorani.it.


Radio Zastava

Com’è finito questo cd nella mia buca delle lettere? Chi me l’ha spedito? Vediamo… Marco Kappel. Uhm, il nome non lo ricordo, ma dev’essere senza dubbio qualcuno lì fuori che mi vuole bene. Grazie. Il cd mi piace. Mi piace mi piace mi piace. Mi piace per cento motivi, primo di tutti perché va controcorrente, anzi senza corrente: non ci sono chitarre elettriche né sintetizzatori sintetici, insomma il gruppo funziona benissimo anche senza spina. Due percussionisti, una fisarmonica e quattro fiatisti, un repertorio esplosivo di ballabili naturali senza ogm, roba da metter su una festa improvvisata in quattro e quattr’otto in qualsiasi posto. Roba da scatenarsi di felicità senza premeditazione, delirio a sfinimento.

Radio Zastava

Non ci sono trucchi in studio, il cd è registrato dal vivo al teatro di Comeglians, molto molto a nord di Udine, immagino staranno ancora tentando di grattar via dalle pareti l’allegria e la gioia di quelle serate. Ditegli di lasciar stare, tanto non ci riusciranno: questa è musica che non si consuma, è musica che resta, che non si lava via. Resta lì come un fantasma burlone, ad infestare luoghi, teste e sogni. Non c’è una distribuzione commerciale, o almeno non so se c’è. Scrivetegli a radiozastava@gmail.com e cercateli su myspace.com. Io adesso corro a rimetter su il cd un’altra volta e a correre in tondo fino a non poterne più. Com’è bello stare qui ad ascoltare: riempie il cuore di primavera e io di musica e primavera ne ho bisogno, ne ho una voglia immensa.

Radio Zastava

Viper Songs

Stefano Giaccone e Peter Brett

“Non ho mai scritto molto, o meglio: ho quasi sempre buttato via quel che scrivevo”. Mi è sempre rimasta dentro questa frase così amara di disistima, Stefano: un grumo di parole che avevi sputato, con disillusione o forse con rabbia, per “presentare” una tua raccolta di scritti, “La prima stagione”, 1990. Così come mi sono rimasti dentro, con le tue canzoni e le tue poesie, molti altri pezzi di te. Questo, ad esempio: “Non desidero più esser letto” (un frammento che avevi scritto da qualche parte nel 1997 e poi ficcato disordinatamente assieme ad altri scampoli dentro “Nera ed altro”, un’altra delle tue raccolte sotterranee di poesie rimaste sottoterra, un libretto artigianale con questa dedica autografa a pagina tre: “Il più inutile dei regali: poesie”. Come ti sbagliavi, amico mio. Come sbagliavi a ritagliare per te degli orizzonti così stretti, come sbagliavi a misurare la tua capacità di vivere, di inventare, di viaggiare, invecchiare, parlare, farti ricordare.
Com’eravamo giovani, allora. Ho qui tra le mani le tue “Viper songs” appena pubblicate (La Locomotiva, distr. Venus – contatti: www.la-locomotiva.com) e sorrido soddisfatto: ti ascolto e mi accorgo dalle sfumature della tua voce che sei ancora capace di sorprenderti, che non sei stanco di camminare, che ogni posto ti sta stretto. Come sei andato lontano, e quanti incontri avrai fatto, quanti racconti avrai scambiato, quante parole e quanta musica hanno abitato i tuoi sogni. Sei cambiato sì, ma ti ho riconosciuto subito perché porti sempre con te qualche traccia di ieri: qui hai preso tre canzoni che avevi scritto tanto tempo fa, e che per fortuna hai deciso di non allontanare da te, di non gettare via. Sono come tre vecchie fotografie: il tempo è passato ma hanno i tuoi occhi di sempre, riaccendono ricordi di discussioni eterne sempre più agitate e inutili attorno a un paio di bottiglie di vino, velluto e cartavetrata e chiodi e fuoco in alternanza rapida, e poi silenzio. Discussioni che si spezzavano, sempre, mai risolte.
Quante volte abbiamo litigato senza una ragione precisa, o magari per un groviglio di ragioni che sono rimaste tutte lì a prendere pioggia e ad arrugginire da qualche parte in gola. Perché ci siamo scoperti diversi da come credevamo, perché ci siamo ritrovati lontani. Potrebbero essere questi rumori forti e poi questi vuoti improvvisi e lunghissimi che ci accomunano, Stefano: forse è per questo che ti voglio bene nonostante le differenze che ci siamo buttati in faccia e le lontananze che facciamo sempre fatica a colmare. Mi ricordo di quella volta che sei andato via, per tutta una serie di motivi che erano solo tuoi e che a me sembravano tutte scuse. Poi hai messo radici lì dall’altra parte delle montagne e del mare, radici poi per modo di dire, quelle radici sottili ed effimere che riesce a mettere uno come te che non sa neanche dormire tranquillo. Una compagna, due figli bellissimi.
Ti sei fatto anche un bel giro di nuovi compagni: Gill e Dylan li conosco, sono stati anche qui a casa mia, sono straordinari. Non conosco (ancora) Peter Brett ma magari verrò a trovarti e me lo presenterai: la sua voce ha il suono familiare di rovine, stelle comete, albe nuove a ricominciare. Mi piace questa unione di parole e suono, è sempre stata un po’ un tuo chiodo fisso da “Corpi sparsi” ai tuoi lavori su Allen Ginsberg e Edwin Muir. E queste canzoni di vipera, lo dico a te e a tutti quelli che stanno leggendo questa segnalazione in forma di lettera aperta, sono bellissime perché arrivano a toccarti il cuore. Non le ascolterò spesso perché vanno troppo dentro, scavano inesorabilmente nell’anima senza badare a cavi tranciati e condutture interrotte, e adesso per me è un periodo difficile. Ti ringrazio e ti abbraccio. Continua a camminare, non fermarti.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it


“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.

Una copia 15 euro

Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui

Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

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