rivista anarchica
anno 39 n. 344
maggio 2009


cibo

Anarchia: dottrina sociale e politica che propugna l’uguaglianza e l’abolizione di ogni autorità accentrata.
Ricetta: rimedio, indicazione scritta o orale delle norme per preparare un composto, sistema, espediente.

Menù per aspiranti cuochi anarchici
di Luther Blissett

“ricette anarchiche” di Rino De Michele & Altri Autori, coedizione ApARTe°/Venezia e La Fiaccola/Ragusa, pagg. 120, euro 14,00, formato 22x22cm, interamente illustrato. Per richieste uguali o superiori alle 5 copie si applica lo sconto del 40%. Richiederlo a: Giovanni Giunta, via Tommaso Fazello 133, 96017 Noto (SR), ccp n.78699766, oppure per email a: info@sicilialibertaria.it e aparte@virgilio.it.

Vi avviso subito, state attenti poiché questo è un menù magari di non faticosa realizzazione ma in, compenso, abbastanza complesso.
Intanto si presenta subito una domanda alla quale dare una sicura risposta: il tutto verrà proposto a chi di queste pietanze ne avrà già una qualche conoscenza o converrà cercare di incuriosire e conquistare nuovi palati? Vi consiglio di rischiare scegliendo la seconda opzione che mi sembra senz’altro più attraente. Potrete così comporre, con pazienza, un menù di storie, in un certo modo, anarchiche; circostanze spesso comuni ma con sapori che rimandano a note a margine che, a loro volta, straripano affermandosi sugli altri elaborati. Un menù esposto a chi sconosce l’anarchismo o sa su di esso solo le informazioni inquinate dai pesticidi del potere. Non esaustivo ma che, comunque, riesce a solleticare le papille gustative e ad incuriosire ulteriormente eventuali commensali.
Visto che avete accettato di essere pazienti, iniziate con il procurarvi gli ingredienti necessari al compimento dell’opera e risolutivi per il buon esito dei piatti che si andranno a preparare. Essi sono: Fulvio Abbate, Vittore Baroni, Roberto Bartoli, Fabio Bonvicini, Rosanna Boraso, John Cage, Antonio Cardella, Beppa Casarin, Fiamma Chessa, Andrea Chiarantini, Alberto Ciampi, il C.I.R.A. di Lousanne, Giulia Contri, Tonia Copertino, Mariateresa Crespini, Rino De Michele, Joe Fallisi, Pietro Ferrua, Kiki Franceschi, Pasquale Grella, Angelina Landrini, Jean-Marie Lazzara, Massimo Liberatori, Tania Lorandi, Ruggero Maggi, Antonio Marchese, Stefano Marinucci, Enrico Minato, Simone Montelli, Maria Pia Moschini, Nadine, Lucio Niccolai, Nurzen Gungor Amuran, Sandro Omassi, Malek Pansera, Marina Padovese, Barbara Paganin, Pietro Ricca, Maria Salcuni, Fabrizia Scaramuzza, Franco Schirone, il Simposio Permanente Ventilati Patafisici Benacensi, sir Oliver Skardy, Giacomo Tachis, Tiziano Vecchietti, Riccardo Venturi, Pierluigi Visentin, Ivano Vitali e, per chiudere, Wu Ming2 q.b.
Ora avete dinanzi tantissima roba, magari non sempre fresca ma indubbiamente genuina e saporita. Così separata, per questo menù, è, a prima vista, inutile. Voi non scoraggiatevi, ogni ingrediente ha le sue qualità e l’accostamento, l’unione, l’amalgama in vari composti dell’uno con l’altro vi permetterà di fare la vostra bella figura.
Potete iniziare con i fritti della festa dei lavoratori che, dopo l’esaltazione degli inni proletari e il dovuto ricordo delle vittime della repressione, usavano accompagnare queste prelibatezze con buoni bicchieri di vino Ateo.
Passate poi alle robuste zuppe toscane, ai risotti delle mondine e degli avvocati sovversivi, o preferite la pasta? Allora qui gli spaghetti la fanno da padrona (anche se quest’ultima espressione è poco adatta per degli anarchici) e poi gli strozzapreti (già è meglio), i pizzoccheri e i pici. Andate alla grande!, prepareremo l’esotico cus-cus delle gradevoli villeggiature nelle isole e, in barba all’ascetismo del perfetto rivoluzionario, nientemeno vi si proporrà di placcare d’oro delle comunissime lasagne. Ancora pasta del cuoco tradito e gli spatzli della romantica postina.
Inoltre, se proprio non riuscite a guardare le galline in altro modo, apritevi agli indigeribili polli turchi, alle cataste di fettine di manzo alla pizzaiola, agli aromi degli scampoli di maiale bollito e a quello delle teutoniche verze. Alla trippa come azione dadaista, agli involtini di topo arrostiti alle fiamme delle doghe aromatizzate al vino Bordeaux. E ancora, potete preparare wurstel eretti come candele verdi, zuppe di agguerrito agnello spagnolo e baccalà anarcosindacalista. Court-boullon nel quale far nuotare infelici aragoste, moeche veneziane dalla farcitura automatica per cuochi pigri... così finiscono i secondi di carne e ci sarebbero altre ricette di pesce ma qui vogliamo tralasciarle. Potete ancora approntare ottimi contorni: fagioli ‘olle ‘otenne post belliche con cardi adatti alle strade ferrate e cipollotti della rassegnata servitù minorile, funghi che hanno saputo regalare piccole fortune, troni di polenta di castagne e sorti di pane istintivamente ostili ai rastrellamenti fascisti. Si prospettano occasioni eccezionali anche per gli alieni del pianeta Vega, in fondo nellla Cintura di Orione.
Non cedete alla stanchezza, abbiamo la possibilità di intonare qualche canzone celebrativa di alleggerimento, siamo provvisti degli antichi testi quasi esatti, ... ma qui vi abbandono, proseguite da soli, probabilmente numerose illustrazioni potranno sostenervi.
In ultimo, tuttavia, un’ulteriore domanda (più a me stesso) e un saluto sincero: chissà se, anche attraverso delle semplici ricette, gli anarchici riusciranno a cambiare questo stupido mondo?, e buona lettura, buon appetito a tutti.

La Comune di Parigi

Io pugno intrepido
per la Comune ...
dal canto “Dimmi bel giovane”, parole di Francesco Bertelli

Il socialismo rivoluzionario, cioè l’anarchismo, ha appena tentato la sua prima dimostrazione notevole e pratica con la Comune parigina.
Michael Bakunin

La sconfitta con i prussiani provocò la caduta dell’impero francese e la nascita di una nuova repubblica. La presidenza del consiglio fu assegnata allo storico Adolphe Thiers (1797-1877), che guidò un governo conservatore. Mentre ancora il primo ministro stava trattando la pace con la Prussia, a Parigi, il 18 marzo del 1871, scoppiò la sollevazione.
Il popolo rifiutò obbedienza al governo di Thiers, i soldati si rifiutarono di sparare sulla folla e puntarono le loro armi contro gli ufficiali. Fu proclamata la Comune, cioè un’istituzione municipale alla quale venne affidato il compito di amministrare la città. Protagonista del moto rivoluzionario non fu questa volta la borghesia liberale, ma la parte più povera della popolazione. Operai, piccoli artigiani e commercianti, ridotti alla disoccupazione e al fallimento dalla guerra, artisti, intellettuali di orientamento federalista proudhoniano (1), si ribellarono a una classe dirigente ritenuta corresponsabile dell’umiliante sconfitta.
Con la proclamazione della Comune, il popolo parigino volle avviare un’esperienza politica di democrazia diretta. La nuova istituzione avrebbe dovuto infatti garantire libertà di coscienza, di espressione, di riunione e di lavoro. Al suo interno svolsero un ruolo particolarmente attivo le forze socialiste e anarchiche, che meglio esprimevano i bisogni dei ceti popolari. La Comune proponeva di creare una Francia confederata di comuni, formato da organismi analoghi eletti in tutte le principali città del Paese.
Il presidente Thiers reagì duramente: un esercito di 100.000 uomini investì la capitale per abbattere il governo rivoluzionario. Dopo un lungo assedio, il 21 maggio, le truppe penetrarono nella città, disperatamente difesa da 30.000 cittadini inquadrati nella milizia popolare. La lotta infuriò per otto giorni tra le strade su cui erano state erette le barricate; infine i difensori furono costretti alla resa. Essi lasciarono sul terreno 25.000 morti; inoltre 47.000 parigini furono immediatamente fucilati o arrestati, processati e condannati, altri ancora deportati, come l’anarchica Louise Michel (2), nelle caienne coloniali.
Le lezioni della Comune di Parigi furono tre: una confederazione decentrata di comunità è necessaria per una forma politica di una società libera; un governo non è necessario né in una comune, né al di fuori di essa; è necessario unire la rivoluzione politica ed economica, cioè fare una rivoluzione sociale.
La ricetta illustra con spietata nitidezza la situazione venutasi a creare con l’assedio della città di Parigi, la disperazione dei resistenti costretti a nutrirsi con ogni cosa potesse essere masticata. I parigini portarono a tavola i ratti descrivendone il sapore come un incrocio tra quello del maiale e della pernice. D’altronde les entrecotes à la bordelaise sono sempre state un classico della cucina gallica. I topi delle cantine di Bordeaux, scuoiati e sviscerati, bagnati con un composto di olio e scalogno, erano allegramente arrostiti sul fuoco ricavato dalle doghe di vecchie botti da vino in disuso.

Note

  1. Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865). Nato a Besancon da una famiglia poverissima.
    Iniziò a lavorare come tipografo e si trasferì a Parigi, dove, nel 1839, pubblicò il suo primo libro, “De la célébration du dimanche”, seguito l’anno successivo dal famoso “Qu’est-ce que la proprieté?”. Le sue opere gli causarono problemi con la giustizia: fu, infatti, accusato di oltraggio alla religione e incitazione all’odio per il governo. Nel 1842 si spostò a Lione e si dedicò alla stesura di altri due importanti scritti: “De la création de l’ordre dans l’humanité” (1843) e “Systéme des contradictions économiques ou Philosophie de la misére” (1846). Tornato a Parigi partecipò alla rivoluzione del 1848 e fu eletto deputato dall’Assemblea Nazionale. Nel 1849 fondò la Banca del Popolo per realizzare i principi della mutualità che aveva già strenuamente difeso. In seguito ad un attacco sulla stampa a Luigi Bonaparte, fu condannato a tre anni di carcere. Durante la detenzione sposò (1850) un’operaia parigina, futura madre delle sue quattro figlie, e scrisse “Les confessions d’un révolutionnaire”. La pubblicazione, nel 1858, del libro “De la justice dans la Révolutions et dans l’Eglise”, irritò ancor di più il governo e culminò in una nuova condanna e nella confisca del lavoro. Dopo alcuni anni trascorsi in Belgio ritornò in patria, dove diede alle stampe, come risposta ad alcune polemiche, “Du principe fédératif et de la nécessité de reconstituer le parti de la révolution”. Nel 1864 uscì il suo testamento ideale e spirituale “De la capacité politique des classes ouvriéres”. (da: “Il pensiero anarchico”, Atlanti della filosofia, Filippo Pani e Salvo Vaccaro, Demetra, 1998)
  2. Louise Michel nasce a Vroncourt il 29 maggio del 1830. È stata anarchica e insegnante. Appassionata educatrice apre scuole libertarie persino in Oceania, dove viene deportata su condanna della corte marziale, dopo i fatti della Comune di Parigi. Nel corso della sua tumultuosa vita, entra in contatto col gruppo “I diritti delle donne” che rivendica la stessa educazione e lo stesso salario per uomini e donne. Diventa segretaria della “Società democratica di miglior morale”, per aiutare le donne costrette alla prostituzione; è tesoriera di un Comitato di soccorso ai profughi russi. Aderisce all’internazionale dei Blanquisti; partecipa alla Comune; diventa anarchica e fonda la “Lega per le donne”; entra ed esce di prigione, fa conferenze, lavora, raccoglie fondi e, quando necessario, sa anche sparare. Muore a Marsiglia il 9 gennaio 1905.

Involtino di topo
di Pierluigi Visentin detto “il Picchio”

Disossare il topo con cura
e spianare la carne dovrai
dolcemente: per la battitura
batticarne di legno userai.

Non avendo cognac sottomano
né Borgogna e neppure Pinot
la fettina in aceto nostrano
tu frollare farai per un po’.

La fettina tu asciugala, e dopo
metti il sale e provvedi a pepare;
le animelle tagliuzza del topo
e in padella tu falle saltare.

Quindi aggiungi la salvia tritata
con l’erbette di prato più fini;
dell’impasto la carne spalmata
indi arrotola a farne involtini.

Una scheggia di legno a impedire
l’apertura tu sistemerai;
gli involtini provvedi a guarnire
con le foglie di salvia che hai.

Metti in pentola di terracotta
gli involtini, e falli arrostir.
La Comune continua la lotta,
e per sempre “Vivre libre, ou mourir!”.

Involtino di topo
da: ApARTe°9, dicembre 2003

Se ci riuscite, catturate un topo e disossatelo con cura. Spianatene la carne battendola delicatamente con un attrezzo di legno e per qualche ora, immagino mancando vino o cognac, fatela frollare in acqua e aceto.
Dopo averla asciugata salate la fettina e, se possibile, pepatela.
Preparate un trito con salvia, erbette di prato ed aggiungetelo alle animelle dell’animaletto precedentemente tagliuzzate e saltate in padella. Fare un impasto e realizzate l’involtino impedendone l’apertura con una scheggia di legno. Decorate la porzione con una grossa foglia di salvia.
Cuocete in umido e sempre “Vivre libre, ou mourir!” per la Comune.

 

Piccola storia (tratta da una testimonianza di Agnese F.)
di Beppa Casarin

Agnese nel 1943 aveva 12 anni, viveva in una famiglia di mezzadri in un paese dell’entroterra veneziano: 10 adulti, 25 bambini. Vita dura in quegli anni anche per i bambini: lavoro e fatica, fame e pellagra, freddo e geloni “Se viveva co gnente, no ghe zera gnente”. C’era la guerra.
Agnese quell’anno finiva la quinta elementare e come tante altre bambine della sua età, per sopravvivere, andò a fare la servetta in una famiglia di signori del suo paese.
Lei sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, così era già capitato a sua sorella più grande, a sua cugina, alla sua compagna di banco. Non sapeva immaginare come sarebbe stata questa nuova esperienza.
I sentimenti che la accompagnavano non erano la curiosità o il desiderio di realizzarsi, una bambina di 12 anni, soprattutto in quegli anni, difficilmente faceva progetti per il futuro. Uno era l’obbiettivo: guadagnarsi il pane per non essere di peso alla famiglia. Lei sentiva solo di avere tanta paura. Paura di parlare. Paura di sbagliare. Paura di essere. Ma particolarmente paura dei signori e, in questo caso, padroni. Una paura così profonda che si sarebbe portata dentro fino a quando arrivò il momento di insegnare ai suoi figli il coraggio.
Agnese dei signori ne aveva sempre sentito parlare, li aveva visti, sì!, passeggiare nella piazza del paese, la domenica mattina quando andava alla messa con le sorelle; aveva visto il medico del paese passare per strada con il suo calesse... I signori erano per lei un mondo sconosciuto, diverso, di cui, forse per educazione, ne percepiva il potere.
E così, una mattina alle 7, dopo aver bevuto una tazza di caldo caffè d’orzo, Agnese indossò gli zoccoli del padre, come faceva quando andava a scuola, e partì per compiere il proprio dovere di serva.
Certo che fu una scoperta per lei entrare in quella casa così bella! Piena di libri! Piena di quadri appesi ai muri! Piena di mobili e con le tende alle finestre!
Quella mattina lavorò tanto cercando di fare al meglio quello che la signora le ordinava di fare.
A l’ora di pranzo la chiamarono in cucina per mangiare. Un tavolino era preparato per lei, un tavolo grande era preparato per i signori.
E, obbedendo piacevolmente a questo ordine, Agnese pensava tra sé e sé: “Chissà cossa che sarà bituai magnare i signori!??!”
Si mangiò con gusto le cipolle e una fetta di polenta.

 

Cipolline all’Agnese
di Beppa Casarin

Far rosolare in olio d’oliva le cipolline novelle. Quando assumono un po’ di colore aggiungere mezzo bicchiere d’aceto e un bicchiere di latte fresco.
Aggiungere sale e far cuocere fino a quando il latte si trasforma in grumi e le cipolle sono tenere al tatto della forchetta.