rivista anarchica
anno 39 n. 347
ottobre 2009


esperienze

Con Bookchin sottobraccio
di Selva Varengo

Prima la tesi di laurea sul pensatore americano anarchico ed ecologista. Poi la sua pubblicazione in un libro e un giro di conferenze e dibattiti.
Il senso di un’esperienza nel bilancio di una giovane militante.

Quando la redazione di “A” mi ha chiesto di trarre un piccolo bilancio provvisorio del giro di presentazioni del mio libro (La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin, edizioni Zero in Condotta, Milano 2007) per raccontare le reazioni riscontrate, il tipo di pubblico coinvolto e l’interesse o meno verso le teorie bookchiniane, ci ho riflettuto un po’, mi sono infatti chiesta a chi mai potrebbero interessare le mie impressioni raccolte in questi mesi, visioni strettamente personali e sicuramente ininfluenti da un punto di vista oggettivo; ma poi mi sono detta, perché no?
Quando nel dicembre 2007 è uscito il mio libro ero fermamente convinta dell’importanza, soprattutto per le nuove generazioni come la mia, di riscoprire un pensiero come quello offertoci da Bookchin in grado di fornire strumenti utili e spunti di riflessione per affrontare meglio la questione ecologica che attanaglia i nostri tempi e che è diventata ormai una presenza costante all’interno del dibattito pubblico, sia strettamente politico che più ampiamente sociale. Ritenevo infatti – e ritengo – ancora valida la sua tesi principale, ovvero la necessità di una critica radicale della società per risolvere la crisi ecologica alla quale è impossibile porre rimedio con semplici interventi riformisti e ‘cosmetici’ o con cambiamenti esclusivamente di stampo individuale; non mi aspettavo però certo di suscitare così tanto interesse, sia tra le compagne e i compagni che di ecologia si occupano nelle loro lotte quotidiane su territori sempre più devastati, sia tra coloro che con Bookchin si sono già confrontati in passato per poi riporlo magari in libreria tra le letture giovanili, ma anche tra studiosi di ecologia e storia del pensiero politico, e persino tra coloro che di ecologia sociale e di Bookchin non avevano mai sentito parlare ma che, stufi di una banale retorica ambientalista erano – e sono tuttora – alla ricerca di un nuovo modo di pensare la crisi ecologica.
Murray Bookchin (14.1.1921-30.7.2006)

Grande interesse

Ma forse c’era da aspettarselo, bastava osservare il grande proliferare di testi sull’ecologia di vario tipo con impostazioni teoriche e politiche tra loro molto differenti, bastava prendere nota del grande successo editoriale di Latouche e degli altri teorici della decrescita, il Nobel dato ad Al Gore e il diffondersi sempre più di una sensibilità ecologica e di un’economia “verde”, spesso purtroppo solo di facciata e legata a mere motivazioni economiche (basti pensare alla diffusione dei prodotti bio all’interno delle grandi catene di supermercato). In ogni caso, poco dopo l’uscita del libro e soprattutto in seguito alla comparsa su “A” dell’introduzione al volume (“A” 332, febbraio 2008), oltre a diverse segnalazioni e recensioni ho iniziato a ricevere inviti per presentare il pensiero di Bookchin in circoli anarchici, centri sociali, ma anche librerie, arci, centri culturali,... (talmente tanti inviti che non ho ancora avuto modo di aderire a tutti; anzi coglierei qui l’occasione per scusarmi con chi è ancora in attesa).
Questo a riprova dell’interesse che l’ecologia sociale è in grado di riscuotere ancora oggi e dell’attualità della problematica ecologica che, volenti o meno, ci riguarda in prima persona. Nel mio piccolo giro di presentazioni – che, essendo io di Milano, ha avuto origine proprio da questa città (all’Ateneo Libertario, all’arci Scighera, al Torricelli e persino alle Domeniche filosofiche sui Navigli) e che mi ha portato un po’ in giro per il Nord Italia (Bergamo, Firenze, Novara, Brescia, Manerbio,...) con sconfinamenti anche in Svizzera (al Circolo Carlo Vanza di Locarno e al Liceo di Bellinzona) – ho avuto modo di incontrare compagni vecchi e nuovi, ma in particolare sono rimasta molto piacevolmente colpita dalla presenza di un pubblico giovane e molto giovane che ha mostrato curiosità e grande interesse oltre che verso la proposta bookchiniana anche nei confronti delle idee anarchiche più in generale, dimostrando il bisogno di un confronto aperto e orizzontale sulle questioni poste dall’anarchismo senza aver timore di porre domande che potrebbero essere giudicate banali da militanti di vecchia data ma sulle quali è in realtà importante continuare a confrontarsi, soprattutto per le nuove generazioni che si trovano a vivere in un contesto decisamente non rivoluzionario caratterizzato dal ritiro nel privato, da una delega totale ad altri su tutto ciò che non riguarda strettamente l’individuo e quindi anche per la risoluzione di qualsivoglia problema sociale e ambientale, e dal modello egoistico del self made man incentrato sul consumo e proposto come unico modo per raggiungere felicità e benessere.

Selva Varengo con il cane Luna

In ogni incontro, dopo una breve presentazione del pensiero di Bookchin nelle sue linee essenziali, si è sempre sviluppato, in modo spontaneo e diverso in ogni contesto, sia un dibattito molto ricco su questioni strettamente ambientali e ecologiche; sia momenti di condivisione e racconto delle numerose lotte presenti sul territorio, guidate in prevalenza da comitati locali spesso alla ricerca di nuovi strumenti teorici e politici per far fronte alla crescente devastazione ambientale e alla sempre più diffusa costruzione di veri e propri eco-mostri; inoltre hanno trovato ampio spazio riflessioni più o meno approfondite sulla necessità di un cambiamento radicale visto come l’unico mezzo per risolvere, prendendo spunto dalla riflessione di Bookchin, non solo la questione sociale ma anche quella ambientale; e infine si sono sviluppati, come già accennavo prima, numerosissimi interrogativi, soprattutto da parte del pubblico più giovane di ambo i sessi, riguardo alle questioni poste dall’ecologia sociale, alla fattibilità della proposta bookchiniana, ma anche più in generale su temi quali la democrazia diretta, la possibilità di un’organizzazione sociale altra, le suggestioni neoprimitiviste e la possibilità o meno di far convergere sindacalismo ed ecologismo, la pratica dell’azione diretta e l’importanza dello sviluppo di una mentalità non gerarchica in grado di rapportarsi in modo orizzontale con il diverso, sia esso di un altro genere, di un’altra razza o di un’altra specie.
Tirando le somme, questa passeggiata “con Bookchin sottobraccio”, oltre ad avermi dato l’occasione di tessere importanti relazioni personali, mi ha permesso non solo di rendermi conto, se mai ce ne fosse stato bisogno, della vitalità e ricchezza di coloro che, con numerosissime sfumature e interessi tra loro spesso profondamente diversi, si riconoscono all’interno della grande famiglia libertaria e anarchica, ma ha fatto sì che potessi anche constatare l’interesse che il pensiero di Bookchin è ancora in grado di suscitare tra coloro che – pur diversi per età, genere, formazione politica e impegno più o meno militante – portano, per dirla con il buon vecchio Durruti, un mondo nuovo nel loro cuore.

Selva Varengo