rivista anarchica
anno 39 n. 349
dicembre 2009-gennaio 2010


dibattito

Noam Chomsky alla corte di Chávez
di Octavio Alberola

L’intellettuale americano va a Caracas e loda in maniera sperticata la rivoluzione bolivariana e il suo leader. Come è possibile?

 

Contrariamente a quanto molti pensano, la capacità di dare adito a delle menzogne e di accettare ciecamente la falsità, per quanto irreale e grottesca possa essere, non è una prerogativa degli stupidi e degli ignoranti. Il noto studioso Noam Chomsky ha appena dimostrato che anche prestigiosi intellettuali, acuti e perspicaci, possono essere abbindolati arrivando ad accettare atteggiamenti e manovre politiche che possono essere considerate, sotto ogni punto di vista, demagogiche, ingannevoli e autoritarie. Credendoci o, almeno, facendo finta di crederci.
Non è certo una novità vedere un intellettuale di alto rango cadere in tale contraddizione. Già ai tempi dell’Unione Sovietica e della Cina maoista si era verificato il fenomeno alquanto irrazionale dei “compagni di strada”, quegli intellettuali che davvero avevano creduto – e molti di loro in buona fede – che in quei paesi si stesse instaurando il “socialismo” e si arrivasse a creare l’“uomo nuovo”, fino a quando i fatti li avevano costretti a vedere cosa fossero in realtà quei regimi. Ma nonostante questo, anche se in molti casi tali annebbiamenti non erano motivati dalla richiesta di un qualche tipo di ricompensa e sembravano essere sinceri, pure fatalità antropologiche, è logico chiedersi come e perché si siano potuti verificare. E anche se sembra più facile pensare che è semplicemente per l’illusione di convincimento, da cui nessun essere umano – compreso il più razionale – può essere escluso, nel caso di Chomsky non possiamo dimenticare che lui nel passato ha combattuto contro questa illusione di convincimento.
E allora è giusto domandarsi come può un uomo, apparentemente capace di ragionare, di analizzare criticamente quello che sta succedendo nel mondo, andare oggi in Venezuela a elogiare il “socialismo del XXI secolo”, senza accorgersi di quanto sia castrista la mentalità del suo inventore, il Comandante Chávez, e non vedendo il carattere populista fortemente grottesco di quella che viene chiamata la “rivoluzione bolivariana”.

Noam Chomsky

Ma è lo stesso Chomsky?

Come può Chomsky commettere lo stesso errore che hanno commesso, il secolo scorso, famosi intellettuali dell’epoca, alcuni celebrando Stalin, e altri, alcuni anni più tardi, esaltando Mao e il suo “libretto rosso”? Loro perché credevano che nella Russia e in Cina si stesse costruendo il “vero comunismo”, e Chomsky perché è convinto che oggi in Venezuela si sta creando “un mondo nuovo, un mondo diverso”.
Come ha potuto dimenticare che quegli intellettuali, con il passare del tempo, si sono visti costretti a recitare il mea culpa per la cecità ideologica che aveva impedito loro di vedere cosa si nascondesse dietro al discorso rivoluzionario stalinista e maoista? Lo stesso totalitarismo, responsabile della morte di milioni di persone, morti per fame o per le torture, che oggi ha ispirato a Castro una dittatura che a Cuba dura da cinquant’anni, e di cui Chávez è un devoto ammiratore.
Ma la cosa sorprendente nel Chomsky di questi ultimi anni, non è solo quest’apparente amnesia storica, ma che si sia fatto sedurre dalle lusinghe di quel castrista istrionico (“Sei veramente il benvenuto, […] era ora che ci facessi visita e che il popolo venezuelano ti vedesse e ti ascoltasse dal vivo”) e lo abbia ringraziato per le sue “care e generose parole”. A cui bisogna aggiungere la buffonata di avergli detto quanto “emozionante” fosse per lui “vedere come in Venezuela si stesse costruendo un altro mondo possibile e vedere uno degli uomini che aveva ispirato questa situazione”.
La cosa più sorprendente di questa conversione alla fede messianica, simile alle celebri conversioni al cattolicesimo (quelle di Baudelaire, Peguy, Claudel, etc.), è che il miracolo è arrivato dopo il crollo del “socialismo reale” d’ispirazione sovietica e, in Cina, dopo l’instaurazione del capitalismo proprio grazie a quel Partito Comunista che Mao aveva lasciato al potere. Beh, diversamente da quei giovani intellettuali “idealisti” che avevano acclamato Stalin e Mao prima che si avverassero questi importanti fatti storici, Chomsky ha avuto modo di conoscerli in vita e per questo è ancora più incomprensibile che ora sembri essersene dimenticato. Soprattutto ora, quando il fallimento del messianesimo rivoluzionario ha confermato in maniera indiscutibile le loro profezie.
Stiamo assistendo da tempo alla strumentalizzazione di Chomsky, in molte direzioni. E questo nonostante la sua posizione etica, i suoi riferimenti ideologici e il suo comportamento politico si trovino agli antipodi di quello che difendono e adorano molti di quelli che oggi vorrebbero averlo come mentore. Ce ne accorgiamo leggendo i suoi libri, sempre se escludiamo che il Chomsky di oggi non sia lo stesso di quando scriveva: “Viviamo in un periodo di corporativismo del potere, di consolidazione del potere, di centralizzazione. Questo può andare bene se sei un progressista, come ad esempio un marxista leninista. Dagli stessi presupposti ne susseguono tre importanti esiti: il fascismo, il bolscevismo e la tirannia corporativa. Nascono tutti più o meno dalle stesse radici hegeliane” (Chomsky, Class Warfare, p. 23). Per non parlare di quanto scrisse poi a proposito del paese uscito dal colpo di Stato bolscevico dell’ottobre del 1997 che, per Chomsky, era responsabile dell’eliminazione delle strutture socialiste emergenti in Russia: “Sono gli stessi bruti comunisti, i bruti stalinisti di due anni fa, quelli che oggi hanno in mano le banche” e che sono loro “i gestori entusiasti dell’economia di mercato”. E da qui il suo pessimismo: “Quelli che cercano di associarsi alle organizzazioni popolari e aiutano la popolazione ad organizzarsi autonomamente, quelli che appoggiano i movimenti popolari in questo modo, semplicemente non potranno sopravvivere in tali circostanze di accentramento del potere”. (Chomsky, Comprendre le pouvoir, pp. 7-11).
Com’è possibile allora che oggi commetta lo stesso errore commesso un tempo dai “compagni di strada” pro-cinesi – che avevano conosciuto la cecità comparabile (e riconosciuta) a quella della generazione che li aveva preceduti, quella dei vecchi stalinisti arrivati solo dopo molto tempo all’autocritica – nonostante lui stesso fosse stato un testimone critico di tale cecità? La cosa grave, nel caso di Chomsky, è che non gli è servito a nulla conoscere e denunciare quelle esperienze!
Il caso di Chomsky ci spinge anche a interrogarci sul “mistero” di questa strana convivenza, all’interno di un solo spirito umano, dell’intelligenza più acuta con la credulità più ottusa. E ci stupiamo ancora di più se pensiamo che, a quei tempi, lui era stato tra chi con maggior intensità aveva criticato la cecità in cui erano incorsi molti dei suoi colleghi intellettuali che costituivano con lui la créme dell’intelligenza occidentale: i Sartre e altri grandi filosofi, storici, giornalisti o universitari di un certo rilievo.

Hugo Chávez

In nome dell’antimperialismo

È tutto veramente misterioso, considerando che sono stati pochi gli intellettuali che in un secondo tempo non hanno dovuto confessare di essersi sbagliati e di riconoscere che Chomsky aveva avuto ragione mettendo in evidenza la cecità che li aveva spinti a commettere quel gravissimo errore di interpretazione del passato. Chomsky come ha potuto dimenticarselo? È vero che nemmeno la cecità degli antichi stalinisti – mille volte confessata e analizzata in articoli, interviste e libri- è servita da lezione ai giovani maoisti occidentali, dato che a distanza di vent’anni riproducono lo stesso tipo di smarrimento. E con lo stesso orgoglio e fatuità dei loro predecessori. Ma in loro prima ci fu l’adesione cieca a quello che si presentava come una rivoluzione emancipatrice. A Chomsky sta succedendo il contrario: prima è venuta la denuncia, l’analisi obiettiva, razionale, rigorosamente critica, e poi la cecità…
È anche vero che l’antimperialismo statunitense di Chomsky lo ha spinto a una relativa discrezione verso l’autoritarismo crescente dei sandinisti nel loro esercizio del potere negli anni Ottanta in Nicaragua e, da alcuni decenni, anche verso la dittatura castrista. E questo nonostante tra le vittime di quest’ultima ci fossero persone con molti punti in comune con i militanti antimperialisti pro-cubani del resto dell’America Latina.
Sarà forse questo ostinato antimperialismo la ragione per cui per lui la cosa principale è denunciare le ingiustizie generate da questo paese su scala planetaria, a spingerlo a schierarsi in modo tanto sconcertante nei confronti di quello che succede nel continente americano?
Effettivamente, anche se Chomsky continua a considerarsi “anarchico-libertario”, è chiaro che per lui le considerazioni ideologiche devono passare in secondo piano e che si deve porre una sorta di graduatoria tra le ingiustizie divise secondo il grado di pericolosità planetaria dei bianchi contro cui si dirige la critica. Il problema è che questo relativismo politico permette a molti marxisti-leninisti, populisti e politici, la cui unica preoccupazione è la conquista del potere, il suo esercizio e la sua conservazione, di ricorrere al riparo solo degli argomenti antimperialisti di Chomsky invece che preoccuparsi dell’aiuto da apportare alla popolazione per organizzarsi autonomamente. Ed è un vero e proprio problema, perché Chomsky nulla fa e nulla dice per dissuaderli dal farlo. Anzi, mantenendosi con tanta perseveranza in questa immorale discrezione e lasciandosi ritrarre accanto ai Castro e ai Chávez si rende complice – anche se le sue lodi sono discrete e di convenienza – delle buffonerie e delle derive autoritarie, dittatoriali, di questi nuovi oligarchi.
Ma sfortunatamente, l’ostinazione di voler mantenere tale divisione manichea (perché si ritiene meno pericoloso l’accesso al potere di questi populisti dei disastri che causa l’imperialismo yanqui nel mondo) non solo non serve a impedire tali disastri (questi populisti stanno continuando a fare affari con le multinazionali dell’impero) ma contribuisce a smobilitare i popoli e a rendere ancora più difficile il compito di chi sta veramente combattendo contro la dominazione planetaria del Capitale e dello Stato.
È possibile che, vista l’età, Chomsky non riesca a vederlo: ma è impossibile pensare che non sia cosciente della distanza che lo separa da tutti quelli che ricorrono ai suoi argomenti contro l’imperialismo yanqui e che, invece, dimostrano di essere molto reticenti, per interesse o comodità, a denunciare le forme di dominio imposte da questi populisti presunti rivoluzionari.

Octavio Alberola

Questo articolo è originariamente apparso nel supplemento del Boletín n. 12, settembre 2009, di “Cuba libertaria”, organo del GALSIC (Gruppo di Appoggio ai Libertari e Sindacalisti Indipendenti di Cuba).
La traduzione dal castigliano è di Arianna Fiore.

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In breve sarà possibile consultarla – come per le precedenti edizioni – anche su: http://www.nodo50.org/ellibertario/cubalibertaria.html.