Die Megageile
Küken-Farm
Ricevo spesso libri e cd da voi che leggete la A/Rivista Anarchica: mi chiedete di ascoltare e di commentare, molto raramente chiedete recensioni. Io generalmente leggo e ascolto tutto o, più sinceramente, ci provo. Lavoro fuori città e passo un bel po’ di tempo in treno ogni giorno e porto con me qualcosa da leggere e un walkman. Non sono capace di leggere ed ascoltare musica contemporaneamente: voglio concentrare le attenzioni (ve lo devo in qualche modo, no?). Leggo, qualche volta rileggo. Oppure ascolto, a volte riascolto: ogni tanto succede che certi vostri cd sotterranei mi inchiodano gli auricolari addosso, e poi vi riascolto a casa e vi porto con me, tendo ad attaccarmi a queste vostre musiche in maniera tentacolare.
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Tra i tanti, incontro alla Vetrina di Firenze Gianpiero. So solo il nome. So che viene da Palermo, magro magro, occhiali, molto ma molto giovane. Con una manciata di altre ragazze e ragazzi sta a fare folla attorno a un banchetto, libretti e volantini e fotocopie a testimoniare creatività e sbattimenti, insofferenza a tutto volume e sogni in arrampicata verticale, sulle facce e nel movimento del corpo quel misto di irriducibilità e agitazione e voglia di ridere che caratterizza quell’età anagrafica che gli è propria (e qui mi viene da sospirare: facendo una stima veloce potrei essere comodamente coetaneo dei loro padri). Viene fuori che Gianpiero suona la batteria, anzi suonava: il suo amico chitarrista White Rabbit si è poi trasferito a studiare altrove, hanno delle registrazioni fatte in casa in diretta, poca roba una mezz’oretta, le hanno raccolte in un cd casalingo duplicato in poche copie distribuite agli amici. Tutto qua. Mi dà una copia di questo cd, io lo tengo là, mah, grazie, non so. Ci si saluta, tanto in questi due giorni ci si vede ancora perché la Saschall non è vasta come Tien An Men, buona fortuna, ciao.
Il walkman ovviamente me lo sono portato dietro, solo che sfiga massima vuole che le pile cariche sono restate a casa e quelle quasi scariche si scaricano definitivamente sulla strada per Firenze. Il cd resta là nella borsa, ogni tanto se cerco qualcosa mi capita sotto le dita e lo tiro fuori per guardarlo. Una copertina semplice e minima, grigia, ci leggo sopra “Die megageile küken-farm” che non so tradurre e che presumo tedesco ma poi forse no (poi, a casa, gironzolando in rete scopro con una certa sorpresa che è il titolo di un film porno). Non guardo neanche dietro la copertina, metto via.
La colonna sonora della Vetrina di Firenze è una nuvola spessa e uniforme fatta di silenzi mediolunghi e di un misto anarchico nostalgico, un range che va da De André ad Alessio Lega agli inni ufficiali ed intoccabili ed immancabili, che rimbomba sotto la tenda e si intreccia alle voci, al rumore naturale che riverbera attorno ai passi ed alle sedie trascinate, al soffio delle pagine di libro che scivolano una sull’altra. E suono di nomi chiamati forte, e abbracci e bestemmie e inviti a bere. Succede a un certo punto che la colonna sonora della Vetrina di Firenze cambia forma e colore. Non me ne sono accorto subito. Diventa una nuvola nera e bagnata, minaccia fulmini, ruggisce. Non me ne sono accorto subito. Cos’è ‘sta roba? Un punto interrogativo che serpeggia, viene fuori che una copia del cd di Gianpiero e del suo compagno chitarrista è andata ad infilarsi nel lettore, e assieme a Pietro Gori e a Faber e a Caterina Bueno adesso c’è lo spirito nero di Robert Johnson, lo spirito nero di J. B. Lenoir, lo spirito nero di Leadbelly… Come suona nero e sporco il blues a Palermo. Come suona arrabbiato e disperato il blues a Palermo. Come suona inatteso e sorprendente il blues che scivola fuori da questo disco casalingo ed approssimativo, registrato in diretta, fatto con pochi soldi e tanta incoscienza. Sporco, energico, arrabbiato e disperato, dove ogni colpo sui tamburi è una martellata addosso a un muro e ogni frustata sulle corde della chitarra un pugno in faccia a chi ci costringe a questa vita a metà. Bella roba che ti resta dentro, roba nera di un nero che si attacca al cuore e non lo molla più.
Le registrazioni sono facilmente rintracciabili e scaricabili in rete. Su YouTube ci sono delle riprese tremende, probabilmente fatte con un telefonino, di loro che suonano “Preachin’ blues”. Gianpiero lo trovate cliccando su http://www.autistici.org/ilprimitivo.
La bici sopra Berlino
Mi fa sempre piacere ritrovare un vecchio compagno di strada, un amico di tanti anni fa. Nel caso di Max Mauro il piacere raddoppia e triplica: lo ricordo con emozione assieme agli Inzirli, gruppo punk deragliante e imprendibile, e amo il suo stile di scrittore, quel suo modo così dolce di guardare le cose e raccontarle mettendo le parole insieme una dopo l’altra come perline colorate e ogni tanto una luce, un riflesso malinconico, una striscia d’ombra. Vi avevo segnalato tempo fa un suo libro assai curioso “Patagonia controvento”, ora eccone un altro abbastanza fresco di stampa “La bici sopra Berlino” (edizioni Ediciclo, www.ediciclo.it, 12,00€).
Come il precedente, anche questo libro non racconta una storia ma un intreccio di storie, o meglio mette insieme pezzi di storie che non hanno un vero e proprio inizio e magari sembra non vadano a finire da nessuna parte e si perdono, come un torrente che sprofonda nel Carso scegliendo una strada buia che conosce solo lui. Si potrebbe dire che la differenza sostanziale tra i due testi sta nella zona geografica, prima la Terra del Fuoco e ora il cuore della Germania riunificata, di cui e da cui Max ci scrive: i due libri condividono biciclette e spaesamento, entrambi sembrano raccontare di terre lontanissime da qui eppure così poco esotiche, niente spiagge e abbronzature né discoteche in evidenza, ma pedalate a velocità variabile in mezzo a due tappe che offrono inspiegabilmente un certo odore povero senza tempo fatto di naftalina e minestra di verdura e tazze di karkadé.
Poi, anche dentro a queste nuove pagine non ci sono personaggi,ma persone: sembra un album di fotografie raccontate bene e in movimento, dove ti si accumula nella testa un affollamento di facce e sorrisi. Sembra di sentire la voce viva della gente, persone vere che si muovono ognuna a suo modo ed entrano ed escono dagli occhi con una depressione o un sogno ricorrente tra le mani, che popolano strade che si trasformano in vene nere dentro quartieri grigi e poi si sciolgono in quell’ibrido di periferia e campagna che si attraversa veloce sopra a un treno aspettando altre case, altre stazioni sotto il cielo marrone. Qui siamo sopra a una bici ma ad un certo punto ci si perde, e Berlino si dissolve. Spariscono le case, i palazzi, le colonne e le piazze.
Resta la gente. La gente, ecco. Qui dentro si incontra tanta gente: piccoli assembramenti di ragazzi di età indefinibile e intraducibile che si lasciano andare alla deriva seduti sul marciapiede ad annegare dentro bottiglie di birra a poco prezzo, spettri del totalitarismo con addosso ancora l’uniforme della Stasi che scivolano silenziosi rasente ai muri, vecchi ciclisti con attaccata alla faccia la polvere della strada e vecchi professori che portano sulle spalle come un cappotto invernale la polvere delle biblioteche. Incontri che non hanno nome, perché il nome non importa. Eccetto uno, che ha il nome di Siegfried Kracauer, sfuggito al nazismo e morto all’anagrafe ma che continua a vivere per stare vicino alle persone che hanno bisogno di lui. Il libro ha una colonna sonora confusa, non fatta di canzoni o comunque spezzoni distinguibili ma di suoni ruvidi incollati male tra loro, irti di certe sequenze sinfoniche sforbiciate dai pomeriggi d’autunno alla radio, tempeste metalliche improvvise e senza arcobaleni finali, e crolli, e pietre, e tamburi, e frenate sull’asfalto. Il sole c’è, ma se ne sta in disparte, distratto, a guardare dall’alto ogni tanto questo formicaio senza un commento, dietro una nuvola, o due, o mille.
Mi piace come Max scrive. Mi piace la sua tendenza a soffermarsi su particolari marginali che, mano a mano che si procede nella lettura, acquistano consistenza, forma e gusto: persone appena intraviste che sono protagonisti di storie affascinanti ma segrete, oggetti piccoli e gesti quotidiani che si rivelano chiavi per aprire porte, presenze sottovoce indecise tra il colore reale e il bianco e nero dei film di una volta, smottamenti nel cuore come capelli rossi piantati nella testa di un amico di bevute di una sola sera che però non scorderai mai. Proprio come un abbraccio forte, forte e inaspettato e tumultuoso, che ti ritrova stretto tra le braccia di un compagno che avevi perso di vista a un concerto vent’anni e passa prima. E cominci a ridere, a ricordare, a volare e a ridere ancora.
Max Mauro tiene una specie di “diario pubblico irregolare” che ha chiamato “My home is where I am happy” ispirandosi a Charles Manson, titolo che ha anche usato per un suo libro “La mia casa è dove sono felice” (KappaVu, 2005). Lo trovate su http://maxmauro.wordpress.com.
Marco
Pandin
stella_nera@tin.it
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“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto
I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.
Una copia 15 euro
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Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare” cd+dvd
Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.
Una copia cd+dvd 15 euro
Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui |
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