rivista anarchica
anno 40 n. 350
febbraio 2010


canzone d’autore

a cura di Alessio Lega

 

Nello spirito del “Tenco”

Musica sulla carta di Enrico de Angelis

Anche quest’anno la rassegna del Club Tenco di Sanremo ha ospitato, fra i giornalisti accreditati, chi scrive questa rubrica musicale, consolidando – se mai ve ne fosse bisogno – le ragioni di una continua attenzione di “A rivista anarchica” alle proposte di quest’istituzione culturale, fra le ultime a muoversi in totale indipendenza dalla morsa assassina e banalizzante dei mass media.

Tre giorni a Sanremo nell’atmosfera “divertente, scherzosa, scanzonata” voluta e concertata degli organizzatori e degli aficionados della rassegna, sono un bel respiro d’aria pura.
Bella l’allegria, per nulla posticcia, della storica infermeria del teatro, istituzione nell’istituzione, trasformata come di consueto in mescita di vino, che festeggiava in quest’occasione il ventesimo compleanno di tutte le sue luci e – per dirla alla veneziana – di tutte le sue ombre.
Bella come sempre la profondità delle proposte che si possono ascoltare dalla platea, la struggente e malinconica potenza espressiva di un tanghista marcio di sentimento e ironia quale l’ospite straniero Daniel Melingo.
Bella e geniale la decostruzione linguistica cui Max Manfredi sottopone le sue storie – che riescono ad essere assieme epiche e frammentarie, narrative e liriche – in quel capolavoro della maturità ch’è “Luna persa”, il suo album giustamente riconosciuto quale migliore della stagione passata.
Bella e sferzante la carica di energia positiva con cui gli Yo Yo Mundi tratteggiano, in alcune canzoni, la terribile storia della divisione “Acqui”, massacrata dalla Wehrmacht a Cefalonia, in dispregio di ogni regola scritta della civiltà e di ogni superstizione dell’onor militare. Per la cronaca, gli Yo Yo Mundi sono una delle più belle realtà della musica indipendente italiana, proprio e anche perché affiancano, alla perizia compositiva e al dinamismo esecutivo, uno straordinario radicamento nella loro Acqui Terme.
E questo per non fare che tre esempi.

Enrico de Angelis (della serie: come passa il tempo)

Testimone di movimenti

Ma da Sanremo quest’anno sono tornato soprattutto con un ponderoso volume sotto il braccio, e di questo voglio parlare, perché, pur non essendo il libro in questione direttamente legato al premio né alla rassegna, ne è senz’altro una premessa, un supporto, una conseguenza. Le citazioni che seguiranno in corsivo sono parole tratte da questo libro e… occhio agli anni in cui sono state scritte!

Ciò non vuol dire che le canzoni debbano essere poesie, ma possono diventarlo: la canzone è una espressione d’arte particolarissima, un delicato impasto di parole e musica che, insieme, diano l’impressione di un “momento” in modo più immediato e facile della poesia, in bilico fra la banalità e lo snobismo intellettualistico (1967)

Di solito in questa rubrica mi occupo solo di canzoni e di chi le canta, dentro nei dischi e nei concerti. Di solito in questa rubrica parlo dei cantanti, degli autori delle più disparate provenienze, del loro difficile stare al mondo, soprattutto quando non cantano ciò che i padroni del mondo vogliono sentire.
Se questa volta parlo di un libro, appena uscito per i tipi di un piccolo editore, senza battages pubblicitari e senza pompe accademiche, è perché l’ha scritto un uomo schivo, un giornalista tanto serio da decidere di dimettersi – dopo quasi 35 anni di mestiere attivo sulle colonne di un quotidiano – il giorno in cui ha definitivamente preso atto del punto di decadenza, da lui giudicato irrecuperabile, della politica culturale del giornalismo italiano.
Non crediate però che Enrico de Angelis sia un barricadero assatanato, un provocatore a oltranza, un maître à penser della dissidenza intellettuale: coi suoi modi sornioni e un po’ gatteschi, da gentiluomo d’altri tempi, Enrico è solo un grande testimone di movimenti umani e culturali, talmente empatico e partecipe da riuscire a diventare organizzatore e fomentatore d’intelligenza: operatore culturale, come direbbe lui stesso, tanto per citare uno dei premi che annualmente assegna l’istituzione culturale di cui è uno dei fondatori e l’attuale direttore artistico, appunto il Club Tenco.
Il libro di cui vi parlo è il diario di bordo di quarant’anni della sua navigazione musicale.

(...) Accanto ad una spaventosa decadenza qualitativa della cosiddetta “canzone di consumo” (un campo ben distinto coi suoi pochi pregi e i suoi infiniti difetti, ma che qui ora non rientra nel nostro campo di interesse) si sta avendo, all’inverso, una riscoperta (...) della “canzone d’autore”, quella cioè che, nata in italia circa dieci anni fa, plasmò sulla radice di uno spirito schiettamente italico o addirittura folkloristico i moduli raffinati e anticonformisti della celeberrima scuola francese di chansonnier dai nomi altisonanti come Vian, Ferré, Brassens, Mouloudji, Brel, Aznavour (...) (1969)

Sulle pagine di questa rubrica s‘è già affacciato il nome di Enrico de Angelis, cosa abbastanza naturale se pensiamo che è il primo ad aver usato la definizione di “canzone d’autore” per il nostro genere favorito.
Già molti anni fa alcuni suoi interventi mi avevano folgorato e introdotto a figure essenziali della poesia cantata: la biografia artistica ed esistenziale di Piero Ciampi, che introduceva la pubblicazione in libro di “Tutte le opere” del cantautore anarchico livornese da lui curata, un libro su Paolo Conte, un magistrale saggio su Jacques Brel, ecc.
Poi ho avuto la fortuna di conoscerlo e il privilegio di ottenere una sua prefazione per un mio libro.

Enrico de Angelis, Musica sulla carta,
2009, Editrice Zona - 538 pagine, 25 euro

Dove batte il cuore

Oggi però la pubblicazione di “Musica sulla carta”, uscito fuori collana per l’editore Zona, colma tutt’a un tratto un vuoto e pone un punto di riferimento imprescindibile per chi si occupa di canzone d’autore.
Questo è il libro di una vita, una raccolta cronologica di scritti – molto prevalentemente di tema musicale, qualcuno teatrale – apparsi fra 1969 e il 2009. Tutti più o meno brevi, a volte bozzetti e medaglioni, più spesso articoli di dimensioni contenute in una, due, massimo tre pagine, rappresentano un miracolo di concisione, chiarezza e profondità.
Un miracolo di completezza anche, non c’è quasi artista degli anni ’70, ’80 o ’90 che sia sfuggito all’attenzione critica di de Angelis. Questo libro è dunque, con le sue cinquecento e passa pagine, il manuale che mancava, un’inesauribile fonte di informazioni, oggettivamente la più completa storia della canzone d’autore italiana disponibile in libreria.
Gli articoli ovviamente sono articoli, la correttezza dell’autore ha voluto che li si riproducesse senza falsificanti revisioni, emendando giusto “alcuni minuti dettagli cronachistici”, ma proprio per questo il libro possiede il valore aggiunto di documentare le tappe di un pensiero critico vivo, in evoluzione, che, cambiando qualche volta parere e precisando i gusti, reca la traccia di una grande coerenza attraverso lo svolgersi della storia, l’evolversi (e a volte l’involversi) del linguaggio della canzone, dei modi e delle forme della sua spettacolarizzazione.
L’ideale distanza fra il teatro Ariston, con i lustrini e le paillettes in primo piano per il carrozzone del festival di Sanremo, e lo stesso teatro quasi spoglio o adorno delle coreografie che fanno da sfondo alla rassegna del Tenco, ben rappresenta la visione della canzone che emerge da questo libro, senza acrimonie di sorta: de Angelis sa conservare intatta la curiosità della prima vocazione e cerca instancabilmente il buono anche nella canzone pop, così come talvolta non lesina critiche ai nomi sacri di Gaber o De Gregori. Però è chiaro dove batte il suo cuore, è evidente cosa lo emoziona davvero.

Il tratto più straordinario di questi scritti resta la loro misura, la loro completezza: da buon giornalista de Angelis si preoccupa di fornire sempre informazioni (che più si riferiscono ad anni lontani e più preziose risultano) sui luoghi, sui tempi, sugli umori, sulle storie dei suoi autori, dei suoi cantanti, dei suoi attori, ma nel breve spazio che ha a disposizione non tralascia di fare ragionamenti critici, ipotesi teoriche, insomma di disseminare il lavoro culturale quotidiano di una riflessione di ampiezza e coerenza più generale.
Molti leggendo questo libro saranno colpiti dal “fiuto”, dalla preveggenza che ne emerge, Enrico, se non proprio sempre il primo, sarà stato fra i primi a scrivere di Guccini, di Conte, di Branduardi, di Capossela... io però resto commosso dallo spazio altrettanto rilevante dato ai grandi dimenticati, ad artisti che, senza conoscere la fortuna e il successo dei loro colleghi, hanno segnato il loro tempo. Dove, se non in questo libro, potrete leggere di Alfredo Cohen, di Juri Camisasca, di Duilio del Prete, piuttosto che di Corrado Sannucci?
Rari sono gli interventi sugli artisti stranieri, ma, anche in questi sporadici casi brilla la radicalità delle scelte, chi se non lui avrebbe potuto parlare di Violetta Parra, di Wolf Biermann, di Lluis Llach sulle disattente e frettolose pagine dedicate agli spettacoli dai giornali quotidiani?

Giovanna Marini, carica come sempre d’entusiasmante energia, non canta soltanto, ma spiega ciò che canta e canta ciò che spiega, introducendo o inframmezzando ogni pezzo con decine di “informazioni” che fanno luce com’è giusto e indispensabile, su tutto il contesto etnico, geografico, storico e sociale in cui prende vita il canto. Quasi a rappresentare questa connessione intima tra espressione canora e globale realtà della condizione popolare, la Marini espone le sue informazioni con una stupefacente carica musicale che finisce per confonderle col brano vero e proprio e trasformarle esse stesse in canto. (1975)

Un discorso a parte di assoluto rilievo merita l’attenzione che de Angelis dedica alla canzone engagée, totalmente emarginata dagli schermi televisivi, ma, soprattutto negli anni ’70, fortemente presente nelle piazze e non solo nei teatri. Nei numerosi articoli dedicati agli spettacoli di Ivan della Mea, di Giovanna Marini (una inesausta passione del nostro), di Margot (la Margherita Galante Garrone già attiva coi Cantacronache), di Gualtiero Bertelli, di Paolo Pietrangeli (gustosissima in proposito la descrizione della contestazione portata proprio al cantante della contestazione), o all’ennesima riproposizione delle canzoni di lotta di Brecht, si coglie il segno e l’intento di partecipare al grande cantiere sociale e politico aperto in quegli anni in Italia anche per mezzo del linguaggio della canzone.

Rimane una considerazione da fare. Al di là del valore intrinseco e incancellabile dei testi, quanto concretamente la forza polemica e rivoluzionaria di Brecht si trasferisce nelle situazioni contingenti in cui egli viene rappresentato, nei modi e nei luoghi in cui viene proposto, nel pubblico che oggi, in Italia, “va a teatro”? E quanto invece lo spettatore non finisce per adoperare snobbisticamente anche Brecht come pura innocua provocazione o come “classico” astratto e già lontano, per digerirlo insomma con tutta tranquillità? (1975)

Man mano che avanzano gli anni ’80 e il riflusso caccia nell’ombra fantasmi e speranze collettive, svuotando gli slogan di ogni reale impatto sociale, la canzone d’autore resta uno scandaglio gettato nel profondo dell’animo umano, nelle storie personali che a volte si saldano in una percezione comune.
Enrico de Angelis non disarma, anche se il suo occhio sembra cogliere in certi spettacoli graffianti di Fo, di Grillo, di Luttazzi, l’afflato sociale che un tempo era appannaggio della canzone e il suo orecchio è invece catturato dal genio musicalissimo e intimista di Paolo Conte.
Certo le formule e le capacità di confronto con la realtà cambiano parecchio nei 40 anni di storia che il volume di de Angelis raccolgono, ma appunto questo è uno dei pregi del libro, che si chiude con uno scritto in morte di Virgilio Savona (settembre 2009), componente del quartetto Cetra e cantautore impegnato, ricercatore di musica popolare e compositore colto per adulti e per bambini. Ecco, nel rigore, nella gentilezza e nel professionismo non arido di quell’artista si riflettono anche le migliori caratteristiche del giornalismo di Enrico de Angelis.

Alessio Lega
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