In Inghilterra, nel 1792 viene dato alle stampe il libro A Vindication of the rights of woman, scritto da Mary Wollstonecraft, compagna di vita di William Goodwin. Come si evince dal titolo, il testo costituisce un’appassionata difesa dei diritti delle donne. Ci troviamo nel cuore di una società misogina e ginofobica e tali idee non potevano non urtare la rigida morale dell’epoca. Infatti, nello stesso anno compare un libello anonimo, il cui titolo ricalca quello del volume sopracitato: A vindication of the rights of brutes. L’autore sostiene un argomento a suo avviso paradossale: pensare di riconoscere dei diritti alle donne non sarebbe che l’inizio di una china pericolosa, la quale avrebbe condotto all’affermazione dell’esistenza di diritti anche al mondo animale.
L’intento dello scritto, il cui scopo satirico è evidente, se da un lato rispecchia bene l’ottuso moralismo del tempo, dall’altro offre – sia pur involontariamente – a noi che osserviamo retrospettivamente la vecchia polemica, l’opportunità di mettere fra loro in stretta relazione le diverse visioni relative alla supposta supremazia di una cultura sulle altre (razzismo), di un genere sugli altri (sessismo), di una specie animale sulle altri (specismo). E, riconoscendo tutto questo, possiamo provare ad allargare lo sguardo, opponendo a una prospettiva che – secondo le regole di una rigida gerarchia – trova la sua ragion d’essere nel tagliare, separare e dividere, un’altra via, che (“in direzione ostinata e contraria”) scopre invece la sua energia proprio nella capacità di includere e abbracciare, sapendo procedere per cerchi via via più ampi; non con l’intento pericoloso di uniformare e incasellare, ma al contrario con la passione di approfondire il valore della differenza: fra culture, fra generi, fra specie.
Il libro di Tom Regan (unanimemente riconosciuto come leader intellettuale del movimento animalista) Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, recentemente riedito in forma arricchita dalle edizioni Sonda, si colloca proprio in questa prospettiva. Si tratta di un’elaborazione decisamente originale nell’ambito del pensiero occidentale, anche se, d’altro canto, è possibile collocarla all’interno di un orientamento di matrice giusnaturalistica. Egli, nella sua lunga attività di filosofo, ha elaborato una riflessione, quanto mai articolata, che ha come passaggi decisivi i concetti di diritti morali inalienabili, di valore inerente e di “soggetto-di-una-vita”, riferibili non solo alla specie umana ma anche al mondo animale. Chi rientra in tali categorie è un qualcuno, a pieno titolo, non un qualcosa inerte, da manipolare senza remore; è, a tutti gli effetti, un soggetto di vita e non una vita senza soggetto. Va aggiunto che per Regan non tutte le specie animali rientrano in queste definizioni, il suo discorso è infatti rivolto principalmente al mondo dei mammiferi e degli uccelli (ma egli dichiara di preferire eccedere in quanto a prudenza morale includendo anche i pesci).
|
Enormi interessi economici
In questo libro l’autore sa accompagnare con passo paziente e fermo il lettore perplesso lungo le varie tappe di un percorso, tutt’oggi eccentrico rispetto al comune sentire e che pertanto non gode di buona stampa. Alcuni capitoli costituiscono proprio delle risposte alle domande più frequenti rivolte al pensiero animalista. Ma la parte più toccante di tutto il volume è costituita dai capitoli dedicati alle varie forme di sfruttamento degli animali: in cibo, in abbigliamento, in spettacolo, in strumenti per la ricerca. Tanto per fare qualche esempio: ogni anno, negli Stati Uniti, vengono macellati circa dieci miliardi di animali d’allevamento, trattati unicamente come merce di un investimento economico; per questo gli animali ritenuti improduttivi subiscono sorti ancora peggiori (come i pulcini maschi nell’allevamento di galline ovaiole che finiscono tritati vivi). Ancor più terrificante è la sorte degli animali da pelliccia: quasi la metà delle foche catturate vengono scuoiate vive; o il caso degli agnellini persiani, che producono quel tipo di lana pregiata conosciuta come astrakan, i quali vengono uccisi in un lasso temporale compreso fra i quindici giorni prima della nascita (in questo caso viene uccisa anche la madre) e uno/due giorni dopo, poiché in seguito il vello perde la sua particolare forma arricciata e divenendo liscio, diminuisce notevolmente il suo valore di mercato.
|
Questi fatti raccapriccianti sono solo la punta di un iceberg che troppo sbrigativamente non si vuole guardare, per paura, per pigrizia o per interesse. E sono proprio gli enormi interessi economici che ostacolano, esercitando tutto il potere a loro disposizione, il sorgere di una nuova sensibilità verso il mondo animale. Ad esempio, sempre negli USA, nel 2000 sono stati spesi circa ventun miliardi di dollari solo per spese inerenti alla caccia intesa come sport.
Ma dietro il calcolo economico e la ricerca del profitto c’è ancora qualcosa d’altro che merita indagare, si annida quella prospettiva antropocentrica che ha scandito pesantemente la storia del pensiero occidentale. Ci riferiamo all’idea dell’esistenza di una differenza ontologica irriducibile, radicale, fra l’uomo e le altre specie viventi. Il libro di Regan va allora colto proprio in questo cambio di prospettiva, in questo invito alla discontinuità, non certo per dimenticare in modo sbrigativo le ingiustizie, presenti e passate, patite dall’uomo (e un esempio di questa possibilità di legare fra loro la rivendicazione di una piena comunità umana e la partecipazione alla muta sofferenza animale lo troviamo in un illuminante libriccino di Rosa Luxemburg, Un po’ di compassione, pubblicato un paio di anni fa da Adelphi). Tom Regan, nel prologo del libro ci tiene a ribadire che non sarebbe mai diventato un difensore dei diritti animali se prima non fosse stato un difensore dei diritti umani, specialmente di coloro “che non possono comprendere o che non hanno la forza di rivendicare i loro diritti”. E così aggiunge: “Ogni successo che potremo conseguire nel futuro richiede la cooperazione di altri esseri umani con i quali condividiamo questo fragile pianeta”.
Stimolante e vivace dibattito
Concludiamo con un’ulteriore considerazione. Da tempo è in corso, su “A” come su altre pubblicazioni libertarie, un dibattito riguardante la necessità di un cambiamento di paradigma nel pensiero anarchico, così da rispondere in modo adeguato e calibrato alle sollecitazione dei tempi. Si parla di post-anarchismo, come di nuovi anarchismi. Si citano pensatori postmoderni, da Lacan a Foucault, fino al decostruzionismo; così come si attinge alle suggestioni di alcuni fisici teorici, quali David Bohm o Geoffrey Chew. Proprio all’interno di questo stimolante e vivace dibattito dovrebbe trovare piena ospitalità anche una riflessione riguardante l’oltrepassamento della visione antropocentrica, inclusi gli esiti che ciò comporta.
Gary Snyder, il noto poeta americano della beat generation e sostenitore dell’ecologia profonda e del bioregionalismo, ebbe a dire una volta che uno dei limiti della sinistra è stato il prevalere di una concezione antropocentrica, che traccia il confine allo sfruttamento delle classi lavoratrici, aggiungendo subito dopo che il suo “piccolo contributo alla dialettica della sinistra è stato di estenderla agli animali, alle piante, a tutte le forme di vita”. Il libro di Tom Regan può esserci di aiuto, a pieno titolo, per compiere questo tratto di strada.
Federico Battistutta