rivista anarchica
anno 40 n. 354
giugno 2010


 

Un appello
Per il Cile

Il Comitato Lavoratori Cileni Esiliati ha prodotto questo appello per la campagna di solidarietà per il popolo mapuche e per il popolo cileno colpito dal terremoto.

Vogliamo precisare alcune cose che possono aiutare i compagni e tutti quelli che sostengono questa campagna a capire i fatti che si sono verificati in Cile prima e dopo il terremoto.
Come voi sapete il nostro Comitato si è sempre distinto per essere sempre dalla parte dei più deboli. In Cile prima del terremoto c’erano già 100 detenuti che si battevano per recuperare la terra, tutti condannati attraverso processi farsa e addirittura con testimoni incappucciati che testimoniavano contro i Mapuche. Tutto questo è stato documentato e denunciato dalle Associazioni che si occupano della difesa dei diritti Umani e per questo motivo all’interno delle Nazioni Unite i governi Cileni sono stati chiamati e ammoniti a rispettare i diritti umani del popolo Mapuche. Oggi ci sono in attesa di processo più di 500 Mapuche, lo stato non li riconosce come prigionieri politici e neanche come rappresentanti di questa etnia. Il popolo Mapuche, sono anni che lotta per la restituzione della propria terra che lo Stato Cileno tiene occupata e colonizzata ancora prima dell’800, infatti, queste terre sono state sottratte e occupate militarmente nel 1880 e da allora questo popolo vive in pochissime porzioni di territorio nonostante essi siano 2 milioni. Un milione vive sul territorio e l’altro milione è stato costretto ad emigrare nelle grandi metropoli del Cile per andare a fare i lavori più umili e gli tocca subire il razzismo dei Cileni, dei cattolici e della borghesia benpensante che li ritengono degli ubriaconi e buoni a nulla. Con questa scusa lo Stato Cileno sostiene la tesi che essi si trovano in queste condizioni per colpa di loro stessi.
La borghesia, i capitalisti, i latifondisti proprio quelli che oggi si arricchiscono sfruttando il territorio e depredando le migliori risorse naturali come l’acqua, i giacimenti minerari e milioni di ettari che sono utilizzati dell’industria della cellulosa. (...) Ora il terremoto ha messo in evidenza di nuovo tutte le contraddizioni dei governi della concertazione che in 20 anni non ha fatto niente per restituire la terra ai Mapuche, anzi lo Stato ha messo a disposizione dei latifondisti e delle imprese multinazionali che depredano questo territorio una grande forza armata che ha come obbiettivo quello di difendere l’usurpazione fatta con la forza incarcerando, ammazzando e facendo delle perquisizioni continue in tutte le comunità Mapuche, distruggendo tutto, con la scusa di cercare armi, cosa che non hanno mai trovato e con questo si è arrogato il diritto di militarizzare il territorio. Nei 20 anni di concertazione il Cile è stato governato con la costituzione del 1980 dal genocida Pinochet.Le leggi sul lavoro e quelle sindacali sono quelli della dittatura pertanto non c’è contrattazione collettiva, il livello sindacale è molto basso, perché i lavoratori Cileni la stragrande maggioranza vivono con contratti a termine; l’istruzione va avanti con la legge organica della dittatura quindi privatizzata, gli stessi dicasi sulla sanità Cilena.
Inoltre in Cile ci sono ancora dei detenuti politici incarcerati nel periodo della dittatura: La concertazione nei suoi 20 anni non li ha liberati; solo alcuni sono stati liberati e condannati allo esilio a vita lontano dal proprio paese e dai loro famigliari e se per caso vorrebbero tornare oggi indietro sarebbero messi in prigione perché l’accordo era quello per rimanere liberi e dopo tutti questi anni è rimasto lo stesso.

L’11/3/2010 in Cile si è insediato nel governo Sebastian Pinera sostenuto dall’Unione Democratica Indipendente (UDI), dagli industriali, dai latifondisti, dai commercianti, dal ceto-medio e dal dipartimento di Stato Americano. Allora tutti questi insieme, sono quelli che si sono opposti con tutti i mezzi che disponevano per evitare che il genocida Pinochet fosse processato per i crimini commessi dall’esercito contro il popolo Cileno e contro il popolo Mapuche. Il 10/12/2006 il dittatore è morto senza essere stato processato e né condannato. Le vittime della dittatura sono più di 20mila compagni assassinati, 5mila scomparsi e centinaia di migliaia di Cileni Esiliati. Ora i criminali sono i responsabili del genocidio, la stragrande maggioranza di loro hanno vissuto liberi in Cile senza mai pagare per questi crimini tutto questo grazie all’accordo fatto dalla concertazione nel 90 con il primo governo civile di Patricio Arwin. È arrivato il governo Pinera tutti questi criminali finiranno la loro vita nell’impunità totale perchè l’UDI era il partito di Pinochet e dei militari e oggi loro sono di nuovo al potere e si prevede un futuro nero per i Cileni e per i Mapuche che dovranno trovare per forza una strada nuova di liberazione e uguaglianza che lascia definitivamente il luccichio dei partiti della concertazione che ha riportato al Cile allo stesso punto che si trovava nell’89, quando la questione era la continuazione della dittatura o la democrazia.
I Cileni hanno sostenuto la scelta della democrazia sostenuta dalla concertazione, ma sono stati traditi di nuovo come nell’11/9/73 dove la sinistra Cilena e il governo dell’Unità Popolare hanno portato alla più grande sconfitta dei lavoratori lasciandoli da soli e disarmati contro un esercito genocida eppure le armi il governo dell’Unità popolare c’è l’aveva, il popolo è andato al massacro disarmato e abbiamo avuto 17 anni di dittatura. Questo insegna che la cosiddetta sinistra Cilena o concertazione come voglia chiamarsi non ha mai avuto in mente né nei suoi progetti la liberazione dal capitalismo cileno e internazionale dei lavoratori che ha preteso di rappresentare.
Ora per noi è importante che questa campagna a favore dei terremotati sia sostenuta ampiamente da tutti, perché non solo dobbiamo soccorrere a tutti quelli che hanno bisogno, ma dobbiamo far sì che il nostro sostegno può servire a tutte le organizzazioni di base che oggi propongono di cambiare la realtà alla quale sono stati costretti a vivere e a cercare con un grande sforzo di dare vita a un progetto per liberare il popolo Cileno dall’eredità Pinochetista e dalla concertazione che non era altro che la continuazione economica neoliberista dei militari.
Questo è il motivo per il quale il nostro Comitato fa questo appello per sostenere il popolo Mapuche, i libertari e le organizzazioni di base che oggi sono presenti sul territorio.
Chi vuole aiutarci può farlo prendendo contatto con l’associazione Comitato lavatori cileni esiliati cell. 320 6784640 –33 56990774 – 0144 372860 oppure versando direttamente sul c/c: comitato lavoratori cileni esiliati – Cassa di risparmio di Rivalta Bormid, Iban IT 20 U 06075 4855 0000 0000 15604.

 

Sudafrica / non solo
Mondiali di calcio

Tra i ventimila giovani che a Soweto, nel 1976, protestavano contro l’insegnamento obbligatorio dell’afrikaans c’era anche una giovanissima Theresa Machabane. Qualche anno dopo sarebbe stata conosciuta come l’unica donna dei “sei di Sharpeville”, torturati e condannati a morte dal regime dell’apartheid. Sedici anni prima, ancora nel grembo materno, Theresa era sfuggita al piombo della polizia che a Sharpeville, il 21 marzo1960, sparò sui manifestanti uccidendo deliberatamente decine di donne, uomini e bambini. Sessantanove secondo i dati ufficiali. “Ma – spiega Theresa – tutti sanno che i morti furono di più”. Lei nacque quattro mesi dopo “con una manifestazione di protesta stampata nel dna e segnata nel destino”. Nel 1976 era andata a vivere con la zia a Soweto per poter studiare. Aveva sedici anni quando, insieme agli altri studenti, scese in piazza per bruciare i libri scolastici scritti in afrikaans, una lingua simile all’olandese del 1600, quando i primi colonizzatori erano sbarcati in Sudafrica. E anche stavolta la polizia sparò e uccise. Il primo a morire si chiamava Hector Peterson. La foto che lo ritrae in braccio al fratello che cerca di portarlo in salvo diventò famosa, ma Hector era già morente. Theresa si salvò perché riuscì a nascondersi in un giardino. “Gli spari –racconta – durarono per tutta la mattinata”.
I ragazzi di Soweto si rifacevano ai principi della Black Consciousness, il movimento fondato nel 1973 da Steve Biko. “Consapevolezza Nera” proponeva agli africani una rinnovata dignità, un nuovo atteggiamento per rompere con un passato di “schiavi che fanno supinamente il gioco dell’oppressore impauriti come pecore”. Arrestato a Port Elizabeth il 19 agosto 1977, Biko subì l’interrogatorio il 6 settembre. Il giorno dopo era ridotto in stato di incoscienza per le percosse e le torture. Costretto a rimanere in piedi “per piegare ogni sua resistenza”, come dichiarò uno dei carnefici davanti alla TCR (Truth and Reconciliation Commission), aveva osato sedersi. Una sfida intollerabile per i suoi carcerieri. In quelle condizioni, praticamente in coma,venne caricato su una camionetta della polizia e trasferito a Pretoria con un viaggio di oltre mille chilometri. Cinque giorni dopo era morto senza aver ripreso conoscenza. Ai suoi funerali parteciparono più di quindicimila persone e Desmond Tutu pronunciò l’orazione funebre.

Una società profondamente divisa

Dopo gli ultimi colpi di coda (stragi di manifestanti, esecuzioni capitali, squadre della morte per eliminare i dissidenti...) anche il regime dell’apartheid, dello “sviluppo separato”, finì. Con la Truth and reconcilation Commission, torturatori e vittime, miliziani degli squadroni della morte e guerriglieri, membri dei servizi segreti e parenti degli scomparsi, hanno avuto la possibilità di raccontare, parlare delle infamie commesse o subite. Non tutti ci riuscirono. Talvolta i ricordi apparivano intollerabili, ma in qualche modo il nuovo Sudafrica sembrava essersi liberato della propria storia insanguinata. Forse non completamente.
I vecchi simboli dell’odio razziale sono riapparsi il 9 aprile a Ventersdorp. Era il giorno dei funerali di Eugène Terreblanche, assassinato il 3 aprile da due neri suoi dipendenti che non erano stati pagati per il lavoro svolto. Le bandiere del Movimento di resistenza afrikaner (AWB), fondato nel 1973, si richiamano esplicitamente al nazismo, sia per i colori bianco e rosso che per la variante a tre braccia della svastica. Da molto tempo i nostalgici dell’apartheid non radunavano più di diecimila persone. Per onorare questo discendente degli ugonotti francesi si sono mobilitati non solo gli esponenti della galassia dei gruppuscoli di estrema destra, ma anche molti simpatizzanti. Forse un campanello d’allarme, una conferma che, dopo un lungo periodo di defezioni, le possibilità di reclutamento si stanno nuovamente allargando. Venute meno le speranze di poter invertire il corso della storia e di creare uno stato riservato al volk (“popolo”) afrikaner, l’estrema destra sembra trarre alimento da quella che è sempre stata una delle sue risorse principali: la paura. L’uccisione del leader razzista non sarebbe un caso isolato.
Dal 1994, anno delle prime elezioni multirazziali, numerosi altri proprietari di fattorie sono morti in circostanze analoghe. Molti di più, naturalmente, i salariati agricoli che hanno subito maltrattamenti dai proprietari bianchi. Anche Eugène Terreblanche, accusato di aver picchiato e ridotto in fin di vita un suo dipendente, era stato condannato a cinque anni di carcere. Tornato in libertà nel 2004, si definiva “born again” per aver ritrovato la fede dietro le sbarre.
Mentre Andre Visagie, segretario generale dell’AWB dichiarava che “questa morte è una dichiarazione di guerra della comunità nera del Sudafrica alla comunità bianca”, Andrew Ford, leader del BNW, non ha perso l’occasione per dirsi “in guerra con i bastardi neri”. Entrambi hanno poi invitato i paesi partecipanti ai Mondiali di calcio del 2010 a “non inviare le loro squadre”. Da Visagie altre minacce e appelli alla vendetta nei confronti di Julius Malema, leader della Lega della gioventù dell’African national congress (Anc) considerato “responsabile dell’omicidio”. Recentemente, davanti agli studenti universitari di Johannesburg, Malema avrebbe intonato una vecchia canzone della lotta antiapartheid, Dubula Amabhunu baya raypha, in cui si chiede di “uccidere i Boeri”.
L’attuale Sudafrica rimane una società profondamente divisa, con milioni di poveri (in stragrande maggioranza neri) e una minoranza, bianca e nera, di benestanti. Situazione che alimenta il diffondersi della criminalità e della violenza. Uno spiraglio potrebbe venire dalla realizzazione di quella riforma agraria che era nei programmi dell’Anc, ma che procede con estrema lentezza.
Al funerale non sono mancati aspetti folcloristici. Decine di Hell’s Angels, in fila indiana con le loro rombanti motociclette e l’enorme bandiera dell’AWB, dalle dimensioni di campo da calcio, distesa sui prati intorno alla chiesa dove si svolgeva la cerimonia. Le vicine township erano state poste sotto stretta sorveglianza per impedire spedizioni punitive da parte dei militanti razzisti.
Nello stesso giorno il Sudafrica veniva turbato dai minacciosi comunicati del ramo maghrebino di Al Qaeda. L’organizzazione di Bin Laden ha preannunciato attentati negli stadi durante i mondiali di calcio che si svolgeranno fra giugno e luglio. Il messaggio, diffuso in un sito islamico e ripreso dalla tv Usa Cbs, sembra provenire dallo stesso gruppo responsabile del sequestro di Sergio Canale e Filomena Kaboree.
Nel macabro comunicato si legge che i campionati “saranno trasmessi da decine di emittenti e attraverso i nostri attentati, in un solo momento, tutto il mondo potrà venire a conoscenza delle sofferenze dei bambini musulmani e delle nostre donne”. Cinque nazioni (Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) vengono segnalate in modo particolare in quanto “partecipanti alla guerra crociata contro l’Islam”. Il governo sudafricano conferma di essere già intervenuto per sventare altri piani terroristici di cui i servizi segreti erano venuti a conoscenza.
Nel frattempo proseguiva la discussione in merito al progetto di una centrale a carbone di Medupi che potrebbe avere il sostegno finanziario della Banca mondiale, in contraddizione con le intenzioni dichiarate di voler sviluppare le energie rinnovabili. A usufruire dei finanziamenti (3,7 miliardi di dollari per un costo totale di 17,3 miliardi) sarebbe la compagnia sudafricana Eskom, ma la scelta del carbone viene contestata sia dai paesi finanziatori che da molte Ong. Appare evidente l’ambiguità di alcune istituzioni internazionali come la Banca mondiale che, mentre sostengono di voler combattere il riscaldamento globale, forniscono aiuto ai progetti a base di energie fossili. Le sei unità della centrale, la quarta al mondo per dimensioni, dovrebbero raggiungere una potenza di 4800 megawatt (MW) e far aumentare del 12% il potenziale elettrico del Paese. Una giustificazione, secondo la Banca mondiale, verrebbe dalla scarsità di elettricità che grava sullo sviluppo dell’intera regione.

Anche in Cina, Brasile, India...

Il Sud Africa infatti rimane il maggior fornitore di energia verso i paesi confinanti. Secondo i responsabili del progetto “non esisterebbero alternative al carbone a breve termine”. L’anno scorso gli Stati Uniti si erano astenuti al momento di votare il progetto Medupi al consiglio dell’African Development Bank che sta già finanziandone la costruzione. Sarkozy, in un incontro dell’ottobre 2009 con Les Amis de la Terre, aveva assicurato che la Francia avrebbe vigilato affinché “i finanziamenti pubblici siano coerenti con gli obiettivi di lotta contro il cambiamento climatico”. Le associazioni ambientaliste hanno espresso ulteriore preoccupazione per l’apertura di nuove miniere che dovranno rifornire l’impianto di almeno 14,6 milioni di tonnellate annue di carbone, la quantità necessaria per far funzionare l’impianto.
Inoltre, sostengono Les Amis de la Terre “dell’elettricità prodotta da Medupi beneficeranno soprattutto le industrie minerarie e metallurgiche”. Ma il problema non è soltanto sudafricano. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, in paesi come la Cina, la Russia, l’India e il Brasile, l’aumento delle capacità energetiche a base di carbone tra il 2010 e il 2020 dovrebbe arrivare a duecentocinquantamila MW.

Gianni Sartori

Abusi sessuali
E morale clericale

Il fenomeno della pedofilia è stato sia in passato che oggi presentato dal Vaticano come un incidente di percorso, pur trattandosi di una presenza percentuale molto alta che certo indica un problema grave e diffuso.
La grande frequenza di pedofilia omosessuale dimostra semplicemente che un alto numero di persone sceglie la strada del sacerdozio per vivere in un ambiente omo-sessuale, contemporaneamente reprimendo il proprio naturale orientamento gay.
Ma i pochi dati a disposizione dimostrano che il “celibato” è anche, con una considerevole percentuale, “turbato” da molestie sessuali verso donne,e non solo bambine. Tutto ciò invita a tener conto che in realtà ogni soggetto mantenuto passivo, e considerato incapace di testimoniare a se stesso e agli altri la lesa dignità, può essere attraente per persone che vivono in stato di repressione sessuale. Non è mio interesse discutere delle possibilità di sublimare o meno le energie dell’Eros, da parte di quei “sacerdoti-asceti” o “angeli” che Papa Ratzinger vorrebbe al suo servizio. Forse questo invito, per l’Occidente, ricorda più gli osceni martiri auto-inflitti e le punizioni sadiche dei conventi, che la serenità Ghandiana, l’astrazione invece che l’esperienza.
Voglio invece sottolineare quello che secondo me è il nodo di questo scandalo che agita i tabloid internazionali. Il fatto che ora, più che in passato, si sia creata un’onda mediatica su queste denunce è perché parte del clero, soprattutto quello minore, ha smesso di tacere i casi. Di fronte al disinteresse del Vaticano per questi episodi e per il disagio creato dalle pubbliche denunce, alcuni hanno deciso di smettere di portare solo su di sé il peso sia morale che giudiziario delle vicende.
Perché, si chiedono, siamo noi a dover pagare i danni dell’imposizione del celibato e delle scelte delle gerarchie romane di gestire il clero pedofilo con i trasferimenti?
Su ciò, nonostante il Vaticano abbia in queste settimane ricordato come Papa Ratzinger, anche come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede avesse imposto regole più ferree che in passato rispetto la pedofilia, occorre sottolineare come in realtà queste regole appartengano sempre e comunque al contesto del processo inquisitorio interno, e non riguardino affatto né la necessità del ricorso alla giustizia civile né la considerazione piena del danno esistenziale inferto alla vittima.
Paolo Flores d’Arcais pone su Micromega delle domande retoriche a Federico Lombardi, autore della Nota sugli abusi pubblicata in sei lingue sul sito del Vaticano: è vero che in realtà la “Guida alla comprensione delle procedure della Congregazione riguardo alle accuse di abusi sessuali” diffusa di recente dal Vaticano riporta la frase “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte.” Ma questa non è presente nel documento cardine che dispone il comportamento delle gerarchie dal momento in cui esse vengono informate di un abuso, il “De Delictis Gravioribus” redatto dalla Congregazione stessa e ad essa riservato, pubblicato solo in latino e poi in italiano e latino sul www.vatican.va.
In esso si precisa che le cause aperte dalla Congregazione sono soggette al segreto pontificio e non si fa minimamente accenno alla denuncia alle autorità civili. Il documento è stato redatto dall’allora Prefetto ed ora Papa, e siglato come fondamentale da Papa Giovanni Paolo II nel 2001.
La Congregazione per la dottrina della fede, in questo documento, viene indicata come l’unica dirigente i tribunali costituiti per affrontare questi casi di violenza, i quali vengono definiti “Delicta contra mores” (Delictum contra mores, videlicet: delictum contra sextum Decalogi praeceptum cum minore infra aetatem duodeviginti annorum a clerico commissum.), contro la morale e non contro la persona, nel filone che aveva ispirato anche il Codice penale italiano a considerare la violenza sessuale contro le donne... delitto contro la morale, per fortuna eliminato grazie alle battaglie femministe. La similitudine tra la violenza sessuale tout court, condotta contro le donne, e gli abusi sessuali del clero è lampante: le vittime non sono/non erano il soggetto della giustizia ma l’oggetto di un regolamento di conti interno al patriarcato.
Ciò conferma ciò che scrive sul Washington Post da Sinéad O’Connor rispetto alla Chiesa Irlandese, lasciata sola dal Vaticano con la patata bollente, “Nell’ottobre del 2005 un rapporto del governo ha raccolto più di cento accuse di abusi sessuali commessi da sacerdoti tra il 1962 e il 2002. La polizia non ha aperto un’inchiesta: fu detto che i sacerdoti accusati soffrivano di “problemi morali”.
“Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati”. Scrive il Papa il 19 marzo scorso ai cattolici irlandesi, senza nominare la Congregazione che, unica, viene indicata quale responsabile della gestione dei casi secondo regole da lui stesso scritte, e poi ai sacerdoti rei : “Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti.” Alludendo quindi ai tribunali ecclesiastici.
Federico Lombardi, ora, si dissocia dalla linea della “giustizia separata” tenuta dai suoi confratelli rispetto ai casi di pedofilia, ma dà preminenza al problema morale interno alla Chiesa, come il gesuita Gianfranco Ghirlanda che nel suo “Doveri e diritti implicati nei casi di abusi sessuali perpetrati da chierici” nel 2002 ricordava: “certamente non ci sembra un comportamento pastorale quello di un vescovo o di un superiore che, ricevuta la denuncia, informano del fatto l’autorità giudiziaria civile...”.Ora Lombardi afferma nella sua Nota che “Accanto all’attenzione per le vittime bisogna, poi, continuare ad attuare con decisione e veracità le procedure corrette del giudizio canonico dei colpevoli e della collaborazione con le autorità civili per quanto riguarda le loro competenze giudiziarie e penali, tenendo conto delle specificità delle normative e delle situazioni nei diversi paesi.” Ma dopo aver parlato di “collaborazione” coi civili, insiste a considerare prioritaria la cura morale non solo dei colpevoli ma anche delle stesse vittime, riducendo alla sola comunità ecclesiale (separata) il problema, nella convinzione che alle vittime stesse debba per forza interessare la permanenza nella religione e la guida spirituale del clero.
Capire quanto la mentalità del Maschio Vaticano sia chiusa in un universo solitario, nel quale conta solo la propria obbedienza alle regole della corporazione e non quanto i propri gesti danneggiano gli altri, è capire come sia debole ora l’invito alla penitenza di questo Papa, perché a nulla serve la penitenza se non a gonfiare ancora il Super-io, se non si cambiano davvero le regole e si accetta di prendere in considerazione il punto di vista altrui, e ci si rende capaci di un diverso approccio alla realtà, al di fuori dei sacri recinti e da quella presunzione di immunità (e de-responsabilità) tanto comune anche alla classe politica e funzionale, anzi necessaria, al potere gerarchico.

Francesca Palazzi Arduini