rivista anarchica
anno 40 n. 355
estate 2010


dossier Ventotene

Dietro quei volti (fieri)
di Massimo Ortalli

Un gran bel libro ci racconta la storia dei confinati antifascisti sulla piccola isola pontina. E si sofferma sui rapporti con la popolazione locale.

 

Chi ha dimestichezza con la storia contemporanea e, in particolare, con quella dell’antifascismo, spesso si imbatte in qualcuna di quelle suggestive foto nelle quali gruppi più o meno numerosi di persone si sono messi in bella posa, con il vestito della festa e la dignità sul volto, a formare plastiche composizioni d’insieme. Sono, queste, le foto, di quella involontaria ma compatta comunità dei confinati che il regime fascista mandava a “villeggiare”, in condizioni drammatiche, in isole sperdute e irraggiungibili, colpevole solo di essere irriducibilmente ostile alla la dittatura e di non barattare il proprio decoro e la propria fede antifascista con una libertà vigilata ottenuta a prezzo dell’abiura. Sono le foto di coloro che, usciti dalle carceri o rientrati dall’esilio, dovevano poi scontare, in sovrapprezzo, una ulteriore pena di tre, cinque, dieci anni di confino, non per aver commesso reati ma perché il duce non tollerava chi non soggiaceva al suo “fascino” e il regime aveva paura che la loro avversione alla dittatura potesse contagiare il felice popolo italiano. Del resto basta osservare quelle espressioni e quei volti composti, dai quali traspare la lucida consapevolezza delle proprie ragioni, per capire come il fascismo avesse mille ragioni per temerli e per isolarli.

Regolamenti e regole

Se a volte la località del confino era una piccola e sperduta località del sud più profondo (basti pensare al Cristo si è fermato ad Eboli, del confinato Carlo Levi), molto più spesso era nelle remote isole del mediterraneo che venivano mandati gli oppositori. Ventotene, l’isola pontina al largo delle coste laziali, fu una di queste, e delle più importanti perché “frequentata” da migliaia di confinati, soprattutto dopo la chiusura della colonia di Ponza. Se non mancano le memorie illustri nelle quali questi “reietti delle isole” – molti di loro poi sarebbero diventati classe dirigente della nuova Italia – ricordano e descrivono gli aspetti salienti e più “politici” della loro permanenza nell’isola, vissuta ovviamente come una dolorosa ed eroica parentesi in una località assolutamente estranea, mancava ancora, forse, uno studio dall’interno, capace di raccontare la vita quotidiana della comunità dei confinati non tanto nella sua più nota dimensione politica quanto, piuttosto, in quella della routine giornaliera.
Fatta di regolamenti e obblighi ma anche di auto organizzazione, di abitudini e convenzioni e pure di fantasiosi espedienti, di rapporti con la popolazione, la milizia e la polizia e, al tempo stesso, con le organizzazioni politiche di provenienza, e così via. Quanto mai utile e interessante, quindi, il lavoro di Filomena Gargiulo, appena uscito per una neonata casa editrice (Filomena Gargiulo, Ventotene isola di confino. Confinati politici e isolani sotto le leggi speciali 1926-1943, Genova, L’ultima Spiaggia, 2009, euro 20,00), nel quale l’autrice descrive, dopo una meticolosa e paziente ricerca, tutti i momenti, anche quelli meno noti o, apparentemente, meno importanti, dell’involontario soggiorno marinaro.
Come si sa il confino di polizia, erede dell’inumano domicilio coatto di fine ottocento, fu lo strumento con il quale il regime fascista intendeva sbarazzarsi, senza eccedere nella carcerazione, degli elementi che potevano turbare la pesante tranquillità nella quale sembrava abbandonarsi il popolo italiano dopo i feroci anni dello squadrismo e della violenza statale. E così al confino, senza processo ma con la semplice delibera di una apposita commissione provinciale, venivano mandati non solo, come è ovvio, i politici ma anche elementi “atti a turbare l’ordine pubblico” quali testimoni di Geova, evangelici, fascisti dissidenti, ladruncoli e truffatori, omosessuali dichiarati, o incauti critici sentiti dire, magari all’osteria, che il tal gerarca rubava o il tal altro andava a puttane. Negli anni, quanti ebbero la ventura di subire tale sorte furono parecchie migliaia, in gran parte politici appartenenti a tutte le organizzazioni antifasciste. Preponderanti, a Ventotene come nella altre isole, i comunisti, seguiti dagli anarchici e poi dai socialisti, non pochi anche, e di grande spessore intellettuale, i militanti di Giustizia e Libertà. Dopo la sconfitta della rivoluzione spagnola infoltirono le fila dei confinati i miliziani rimpatriati a forza dalla Francia o dagli altri paesi.
Le regole del confino a Ventotene, definita la Cajenna d’Italia – puntigliosamente ricostruite e riportate dall’autrice in un lungo e impressionante elenco di tre pagine – erano particolarmente dure, intese non solo a impedire tentativi di evasione, di comunicazione con l’esterno o di organizzazione politica nell’isola, ma anche a sfiancare ed umiliare, nella loro quotidianità, le vite dei confinati. A farle rispettare non solo le forze di polizia o i numerosi carabinieri presenti nell’isola, ma anche la milizia fascista, particolarmente crudele, come è facile immaginare, e vessatoria. Anche i rapporti con la popolazione erano attentamente controllati e del resto gli isolani si mantennero sempre freddi e diffidenti, sia per paura di essere coinvolti come complici di possibili evasioni, sia per atavica diffidenza nei confronti di quegli “intellettuali” venuti da fuori. Le calunnie del potere, poi, tanto odiose quanto efficaci, facevano il resto.
Sono molti gli episodi riportati in questo prezioso volume, relativi alle inevitabili proteste che tale insieme di regole e divieti dovettero causare fra gente fiera come gli oppositori politici. Se è rimasto famoso il rifiuto di salutare romanamente le autorità, come avrebbe voluto l’arroganza del direttore della colonia – rifiuto che aggiunse altri anni di galera a coloro che, e tra questi il nostro Failla, non accettarono di sottostare a tale umiliazione – meno noto è il “processo dei polli”, così detto perché una riunione clandestina della corrente comunista fu, da questi, fatta passare per una conviviale cena a base di pollo arrosto. Se in casi come questo l’astuzia dei confinati aveva ragione dell’occhiuta sorveglianza, resta che l’elenco delle proteste e dei relativi procedimenti repressivi è impressionante, impressionante e speculare all’elenco di obblighi e divieti precedentemente citato.

Senso di solidarietà e comunanza

Come si diceva, le forme di organizzazione tra persone affini ideologicamente e cementate dalla comune fede antifascista, non potevano non essere numerose. E significative, soprattutto per un senso di solidarietà e di comunanza talmente alto da far passare, non sempre ma spesso, in secondo piano l’insopprimibile senso di appartenenza per il proprio partito o il proprio ideale. Se le mense nate per sostentare anche gli indigenti e calmierare la borsa nera, infatti, erano organizzate e gestite rigidamente in base alla collocazione politica, la biblioteca era invece una sorta di spazio comune nel quale tutti, nessuno escluso, cercavano di portare un contributo, anche il più piccolo, per poterla arricchire. È addirittura toccante leggere come la biblioteca di “Confinopoli” fosse assiduamente frequentata e con quanta attenzione si cercasse di impedire che almeno quell’isola di cultura non dovesse trasformarsi, anch’essa, in un’isola di ignoranza e repressione. Per non parlare poi dell’altra biblioteca, quella clandestina e sconosciuta alle autorità, nella quale si trovavano celati, nelle forme più ingegnose, i testi sacri della vulgata marxista, anarchica, liberalsocialista.
Come si può immaginare, la vita al confino non era solo una ginnastica intellettuale o un ininterrotto e appassionante confronto ideologico fra le tante anime dell’antifascismo. Era anche, come è ovvio, un succedersi di gesti quotidiani, di attese, di speranze, di momenti di svago, di forme di socializzazione, era, insomma, ciò che si provava nella libertà, amplificato però dalla attesa di momenti migliori e ristretto dalla feroce rigidità dei controlli: l’arrivo del postale, ad esempio, o la visita finalmente concessa di un famigliare, o una semplice passeggiata fra gli scogli, o la partita a carte all’osteria, l’ascolto della radio e la semplice lettura di un quotidiano, fosse anche schierato con il regime, tutto quello che dovrebbe appartenere alla normalità e che qui diventa una conquista ottenuta a prezzo di sofferenze.
Gargiulo descrive minuziosamente questi passaggi, ripercorrendoli dalla istituzione della colonia fino alla fine, quando nel 1943, con l’arrivo degli inglesi, viene finalmente soppressa. Accanto alla vita dei confinati, si sofferma su quella dei militi, in un certo senso anch’essi “confinati” in un’isola sperduta e, con particolare attenzione, su quella degli abitanti di Ventotene. Se i rapporti con i primi sono facili da immaginare, è interessante vedere come quelli degli isolani fossero segnati dalla diffidenza e, spesso, dall’ostilità. Nonostante che i numerosi “forestieri” fossero una non indifferente risorsa economica per le scarse finanze dei ventotenesi. Ma evidentemente la soffocante propaganda del regime non poteva non avere dato adito ad arte a questo stato d’animo, che solo negli anni, e nella consapevolezza dell’inganno che si era voluto creare, si trasformerà nell’orgoglio di aver ospitato e vissuto a fianco della parte migliore del paese.
Oggi Ventotene è davvero un luogo di villeggiatura, facilmente raggiungibile e non più isola sperduta. Meta anche, fino a pochi anni orsono, di commoventi viaggi della memoria che le varie associazioni di ex-confinati sentivano di dover fare, per non dimenticare e, soprattutto, perché altri sapessero e non dimenticassero. Ancora restano alcuni dei fabbricati della cittadella confinaria, e ancora sull’isola vive qualcuno che, allora ragazzo, può ricordare quella esperienza tanto drammatica quanto particolare. I vecchi manufatti sono in disfacimento, e i testimoni sono sempre meno. Fortunatamente oggi nascono libri come questo.

Massimo Ortalli


dossier Ventotene

Ultima spiaggia

Dal 2002 una libreria
dal 2009 una casa editrice.
In mezzo al mare.

L’idea di aprire una libreria a Ventotene era nell’aria da molti anni e si concretizzerà solo a partire dall’estate 2002.
Per due anni viene installato un gazebo in via Granili dove sono in esposizione i libri in una condizione di disagio e precarietà. Nonostante questi limiti l’iniziativa riscuote da subito un buon successo sia da parte degli abitanti dell’isola che dei turisti.
Dal 2004 la situazione si stabilizza con l’apertura di un vero negozio in piazza Castello, nei locali che un tempo furono della farmacia.
Oggi, la scelta dei volumi da proporre al pubblico viene effettuata seguendo quelli che sono gli orientamenti e i suggerimenti del pubblico che fruisce di questo servizio. Libri di buona letteratura; storia locale, con particolare riferimento al periodo storico del confino politico; natura e ambiente, flora e fauna marina e terrestre; marineria e subacquea; volumi dedicati ai ragazzi e ai bambini più piccoli; attualità politica e sociale.
Nel periodo primaverile, quando l’isola è invasa dai ragazzi dei campi scuola, la libreria diventa il luogo di partenza per le escursioni, alle cisterne, a villa Giulia, a Santo Stefano. I ragazzi la affollano con la loro gioiosità.
La libreria si è caratterizzata nel tempo come un polo di attrazione per il pubblico più attento culturalmente che frequenta l’isola, divenendo un luogo di socialità e di incontro imprescindibile. Lalibreria ha svolto anche un ruolo di stimolo per le attività emanifestazioni culturali che si svolgono sull’isola nel periodo estivo.
Altro fattore che distingue la libreria è il costante impegno nella ricerca di documenti, fotografie, volumi rari e introvabili che trattano di argomenti inerenti la storia dell’isola.
Un pubblico attento e partecipe che sollecita con continue idee l’attività della libreria. Fra i turisti occasionali e amanti dell’isola da vecchia data, sono molti quelli che hanno avuto parenti e conoscenti che vi hanno passato un periodo della loro vita come confinati politici. Lasciano le loro testimonianze, portando foto e documenti, libri e memorie, sperando di vedere in futuro, una maggiore attenzione per questa vicenda storica che ha segnato profondamente la storia d’Italia.
Da questa realtà è nata l’idea di proporsi anche come editori di volumi su queste tematiche.
Nel 2009, è nata l’Ultima Spiaggia edizioni, che per ora ha editato due volumi di buon successo: Memorie di un Ex-terrorista, su un episodio della storia dell’ergastolo di Santo Stefano, scritta nel 1953 da Giuseppe Mariani; Ventotene, Isola di confino, di Filomena Gargiulo, sulla storia del con fino politico.

Sono in preparazione altri volumi interessanti che presenteremo nell’estate 2010.
Il primo volume sarà dedicato alla figura di Ernesto Rossi che fu confinato a Ventotene e qui scrisse con Altiero Spinelli il “Manifesto di Ventotene”: Ernesto Rossi. Pianificare la libertà. Il dirigismo liberale da Ventotene agli esordi della Repubblica (1939-1954), di Simonetta Michelotti.
Il secondo volume è dedicato alla figura di Luigi Settembrini che venne incarcerato a Santo Stefano per la sua attività antiborbonica: Luigi Settembrini. L’ergastolo di Santo Stefano, a cura di Riccardo Navone.

Siamo sicuri di poter affermare che l’isola di Ventotene è un grande serbatoio di storia e di storie che vale la pena di alimentare per valorizzare sempre di più la sua unicità e la sua vocazione di isola della pace.