rivista anarchica
anno 40 n. 357
novembre 2010


dossier gli Anarchici contro il fascismo

Coatti e baldi
di Camillo Levi

Nelle varie isole di confino gli anarchici costituirono una vivace comunità, secondi per numero solo ai comunisti.

 

L’8 novembre 1926 fu pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” il decreto che istituiva il “Tribunale Speciale per la difesa dello Stato” e le “Commssioni provinciali per l’assegnazione al Confino di Polizia”. Ma fin da prima di quel decreto molti anarchici furono relegati su quelle isole sperdute nel Mediterraneo che già erano state utilizzate alla fine dell’800 per tenervi raccolti (ed isolati dal mondo esterno) i sovversivi.
Al confino, gli anarchici costituirono sempre un gruppo compatto e battagliero, e seppero combattere la dittatura fascista anche in quelle dure condizioni. Basti pensare alle condanne al carcere subite da 152 confinati politici che nel 1933 organizzarono a Ponza le proteste contro i continui soprusi della direzione della Colonia; numerosi, fra questi condannati, gli anarchici (Failla, Grossuti, Bidoli, Dettori, ecc.). L’anno successivo l’anarchico Messinese, confinato ad Ustica, prese a schiaffi il direttore della Colonia che voleva obbligarlo a fare il saluto romano. La ribellione contro simili soprusi si estese progressivamente ad altre isole, in particolare a Ventotene ed a Tremiti, portando a nuove condanne contro compagni nostri.
Uniti da stretti vincoli di solidarietà, gli anarchici riuscirono a far giungere e circolare clandestinamente fra i compagni alcuni testi anarchici e sostennero nel contempo vivaci polemiche con gli altri confinati. Particolarmente tesi furono sempre i rapporti fra confinati comunisti ed anarchici poiché i primi, ligi alle direttive politiche provenienti dal Partito e da Mosca, fecero sempre di tutto per ostacolare l’attività politica dei libertari. Ad acutizzare questa polemica giunsero, a partire dal 1936, le notizie dal fronte spagnolo, che, seppur senza precisione, riferivano di scontri armati fra anarchici e stalinisti.

Taranto, 1947. Arturo Messinese e Alfonso Failla, due dei
protagonisti anarchici delle lotte dei confinati contro
l’imposizione del saluto romano

Ribelli ad ogni autorità, gli anarchici tennero costantemente un comportamento fiero e deciso, e furono sempre ritenuti i più pericolosi e sediziosi dalle autorità del confino; questa pessima (e meritata) fama presso le alte gerarchie fasciste fu causa di nuove persecuzioni e condanne e spesso dell’allungamento della pena di confino senza neppure una parvenza di processo. Accadde così che alcuni compagni, pur condannati inizialmente a pochi anni, dovettero restare sulle isole fino al 1943, quando, con la caduta del fascismo in luglio, esse furono “smobilitate”.
Significativa al riguardo la liquidazione del confino di Ventotene, dove era stato concentrato un numero elevato di anarchici. Quando giunse la notizia della caduta del fascismo i primi ad esser liberati furono i militanti di Giustizia e Libertà, cattolici, repubblicani e testimoni di Geova; per cui in un primo tempo rimasero a Ventotene solo comunisti, socialisti e anarchici. Quando però il maresciallo Badoglio chiamò al governo Roveda per i comunisti e Buozzi per i socialisti, questi pretesero ed ottennero la liberazione dei carcerati comunisti e socialisti, trascurando gli anarchici ed i nazionalisti sloveni. Si ruppe così quel vincolo di solidarietà che, al di là delle accese polemiche, aveva pur sempre legato le varie comunità politiche di confinati di fronte al comune nemico fascista. Nonostante alcuni militanti dei partiti di sinistra cercassero di rifiutarsi di partire per non lasciar soli gli anarchici, il grosso dei confinati se ne andò libero, noncurante di quelli che erano costretti a restare sull’isola. Gli anarchici, dopo una decina di giorni dalla partenza degli altri, furono trasportati, per nave e poi in treno, fino al campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (Arezzo). Durante questo lungo viaggio di trasferimento molti compagni cercarono di fuggire, eludendo la stretta vigilanza di poliziotti e carabinieri, ma solo uno riuscì nel suo intento. Appena giunti nel campo gli anarchici ebbero a scontrarsi con le autorità e due compagni nostri furono immediatamente segregati in cella; questo diede l’avvio alle proteste ed alla continua agitazione degli anarchici (fra i quali ricordiamo Alfonso Failla, la cui testimonianza riportiamo qui di seguito) che giunsero a scontrarsi violentemente con le forze dell’ordine del campo. Successivamente, comunque, alcuni riuscirono a fuggire ed andarono a costituire le prime bande partigiane delle zone circostanti. Solo nel settembre le guardie se la squagliarono ed i compagni lasciarono il campo, appena prima che arrivassero tedeschi.

Camillo Levi