rivista anarchica
anno 41 n. 359
febbraio 2011


cinema

 

Perché è importante vedere i documentari

Sempre più film inutili nelle sale, sempre meno immagini capaci di suscitare curiosità. Questa è la dura realtà che governa il nostro mercato audiovisivo(e non solo quello italiano). Allora è necessario uscire dalle logiche imposte di un cinema di semplice intrattenimento e andarsi a cercare un cinema più a misura di pensiero, di semplice riflessione.
Il cinema documentario ha da sempre la missione di intervenire sulla realtà, svelando aspetti segreti, sconosciuti o più semplicemente nascosti. Ha una funzione di approfondimento e a volte anche intervento diretto. Il documentario oggi ha una sua vocazione precisa. Non si tratta più di rendere le cose visibili ad un occhio esterno, ma trasparenti. Ci vuole la capacità di fornire un accesso inedito, stupefacente, strabiliante o più semplicemente coinvolgente, perchè l’immagine (in senso lato) resta, prima di tutto, emozione e pensiero. Si potrebbe perciò avanzare il sospetto che solo dove finisce l’idea di cinema (per chi ce l’ha o pensa di averla), lì comincia il mondo della vera ricerca, un mondo fatto soprattutto di voci (non ci si occuperà mai abbastanza del sonoro dei film...), di ombre (il cinema come forma di luce) e di fantasmi (non si riesce a non pensare al cinema dei grandi maestri se non in forma di tributo).
Non si può raccontare nessuna storia senza stupore, senza cioè quel sentimento di meraviglia che ci apre alla curiosità e all’interrogazione. E in questo il documentario si distacca dal cinema di finzione. Si permette una libertà e un coraggio che muove contaminazioni, forme inedite e salti imprevedibili. Questo cinema, così poco considerato e rispettato, con i suoi affetti, le sue illusioni, le sue sorprese, sembra collocarsi in prossimità di un mondo nuovo. Ma di quale mondo? Questa frase di Henry Bergson, penso illumini bene la sostanza del discorso. “Lo slancio di vita consiste in un’esistenza di creazione. Esso non può creare in modo assoluto, perchè incontra davanti a sè la materia, cioè il movimento opposto al proprio; ma esso si impadronisce di questa materia, che è pura necessità e tende a introdurre in essa la maggior somma possibile d’indeterminazione e libertà.”
Tutto questo per dire che l’autorialità è si aspetto importante, determinante per la costruzione (e per la scelta) di un’immagine, ma non è il problema principale. L’autorialità esiste nel cinema di finzione e nel documentario, anche se al cinema è più riconoscibile perchè nel cinema si tende a fare sempre lo stesso film. Nel documentario ciò è più difficile, anche perchè il linguaggio cambia ogni qual volta si cambia situazione o argomento affrontati.

Nel mondo della produzione delle immagini, la televisione ha ucciso ogni possibile forma d’etica. Solo il documentario la mantiene ancora, perché riflette e produce senso.
Il vero precipizio è questo e siamo tutti lì, in fila sul baratro. Il nostro oggetto di contemplazione è la banalità quotidiana. Il nostro oggetto di desiderio non è più il sesso o il voyeurismo , ma la curiosità e la penetrazione nel santuario della banalità.
Un processo che porta all’annientamento della seduzione, del simbolo, dell’ironia. Un fenomeno di sterminio progressivo del mondo reale a favore di un mondo iper-reale e perfetto che ne è solo la riproduzione. Persino i fatti storici vengono isolati dal loro contesto e diventano l’oggetto di cronaca banale o pericoloso revisionismo. Il passato appare come una sorta di parco divertimenti, inutile alla comprensione del presente, noioso se serve a riflettere sul presente e sul futuro, o se ci aiuta a crescere.
Tutto questo non è un processo automatico e inevitabile, ma un disinganno profondo, una disillusione. La televisione (e tutto quello che si porta dietro) ha disintegrato non solo l’immaginario (e la coscienza politica aggiungerei) di chi la vede, ma anche di chi produce immagini e racconta storie. Ha annullato o pesantemente fiaccato la presenza e la riflessione politica, sociale e culturale, ha reso superficiale la realtà, l’ha trasformata e forse, definitivamente uccisa. Ecco perché i documentari, visti come spiriti liberi, che per loro natura non sono governati ne governabili, danno così fastidio in Tv e di conseguenza devono sparire dai palinsesti e mai affacciarsi nelle sale. Grande è la minaccia che prospettano: restituire il senso e il sentimento alle immagini, di conseguenza favorire una presa di coscienza.

Dall’epoca dello specchio, che rifletteva la nostra identità, siamo passati all’epoca dello specchio opaco, che disperde la nostra identità. Forse è anche per questo che facciamo così fatica a pensare un racconto, una storia che valga la pena essere raccontata. A cominciare da quello che vediamo intorno a noi, i rapporti, gli amori, gli affetti, il lavoro, la politica, la società, la famiglia. Faccio fatica a comprendere come tutto sia diventato così anonimo, privo di slanci e di coraggio, freddo, usuale, logoro. E faccio fatica a comprendere perché non ci sia un cinema che riesca a raccontare tutto ciò in modo nuovo.
Sul sito Il documentario.it – notizie e informazioni sul mondo del cinema del reale.

Bruno Bigoni