rivista anarchica
anno 41 n. 362
maggio 2011


nucleare

Criminale indecisione al potere
di Andrea Papi

I tragici fatti di Fukushima svelano la vera intrinseca natura del mondo globalizzato. Si tratta di dire no non solo al nucleare, ma a qualsiasi sistema di potere centralizzato.

 

“Google news” del 13 marzo riporta testualmente che l’incidente subito dalla centrale atomica di Fukushima sta già suggerendo ai progettisti degli impianti nucleari alcuni miglioramenti. Era il terzo giorno dopo il devastante tsunami all’inizio dell’allucinante disavventura giapponese. Ancora tecnici e politici riferivano che non c’erano pericoli per la salute, che non ci sarebbero state fuoriuscite di radiazioni e rassicuravano incautamente, forse spudoratamente, che nulla di quella desolazione che la televisione propinava 24 ore su 24 era paragonabile a Cernobyl. Poi la situazione è precipitata giorno dopo giorno, anzi ora dopo ora, con un ritmo inesorabile e spietato, attraverso il sistema mediatico d’informazione sempre sotto gli occhi del mondo intero, che seguiva coinvolto emotivamente, perché ormai più o meno tutti sappiamo, d’istinto o per scienza, che i guasti del nucleare non si limitano mai al territorio che li genera.
Nell’ascoltare o nel leggere le diverse voci ufficiali di tecnici e politici governativi, avevo la netta impressione che loro stessero vivendo la cosa come se si trattasse di un esperimento di laboratorio: cercavano di cogliere le indicazioni utili a mettere a punto il ferale giocattolino, spinti dalla foga e dalla sagacia della sfida di renderlo migliore di volta in volta. Nei loro discorsi appariva implicito che le prossime centrali che avrebbero costruito sarebbero state migliori di quelle fatte finora, senz’altro più sicure ed efficienti, in grado di affrontare con maggiore capacità di tenuta il prossimo tremendo disastro naturale, o la prossima incontrollata inefficienza. Impressione pienamente confermata dalle prime dichiarazioni di esponenti della maggioranza di casa nostra, i quali con grande sicumera dichiaravano che non bisognava farsi prendere dalle emozioni, che bisognava “andare avanti”, che il previsto piano energetico nucleare non sarebbe stato cambiato.
Nel giro di tre giorni questa irritante ostentata sicurezza d’intenti cominciò poi ad attenuarsi, fino alla contraddittoria decisione per cui le centrali italiane si sarebbero fatte soltanto se non si fossero opposte le regioni. Siccome di fatto nessuna regione le vuole, non poteva che trattarsi di una finta decisione, una proposta comicamente e assurdamente al di fuori di ogni piano razionale di dislocazione dei futuri siti. Un modo ambiguo e incertissimo di dichiarare che le si vorrebbero, ma che non sarà possibile farle. Buffo e assurdo tentativo di salvare capra e cavoli, che esprimeva una posizione talmente spudoratamente incoerente da afflosciarsi da sola. Due giorni dopo il ministro dello sviluppo economico Romani dichiarava ufficialmente che era necessaria una seria riflessione sull’atomo, mentre il ministro per l’ambiente Prestigiacomo veniva colta in un fuorionda a preoccuparsi, si fa per dire, della credibilità politica: «…non possiamo mica perdere le elezioni per il nucleare…» (News “Il Fatto Quotidiano” del 19 marzo). Poi a dodici giorni di distanza dal disastro il consiglio dei ministri ha approvato la moratoria di un anno per il ritorno dell’Italia al nucleare. Una mossa quasi sicuramente studiata per affossare il prossimo referendum.

Arretratezza culturale

Lasciando da parte lo sconcertante clownesco dilettantismo di casa nostra, che purtroppo non possiamo fare a meno di citare perché ci riguarda direttamente, a livello internazionale si sono invece registrate una serie di revisioni importantissime e pesanti che hanno cominciato a mettere seriamente in discussione la politica energetica fin qui condotta a livello globale. Per prima la Merkel ha annunciato la chiusura provvisoria di sette vecchi reattori nucleari, nel giro di breve seguita da diversi stati che da decenni promuovono un’intensa politica energetica nucleare, compresi Svizzera, Russia e gli USA, che dopo qualche tentennamento hanno annunciato con Obama una serie revisione del piano di aggiornamento energetico. La Cina ha deciso di sospendere la costruzione delle sue nuove centrali mentre l’India, nonostante abbia sottolineato la particolare sicurezza dei suoi impianti, ha affermato la necessità di un controllo della sicurezza nelle centrali atomiche. Persino l’Australia, paese con il 31% delle riserve mondiali di uranio, nel giro di pochi giorni ha assunto una posizione sfavorevole nei confronti dell’atomo.
Mentre i vari governi discutevano e le autorità giapponesi, con in testa la Tepco, la società che gestisce l’impianto, cercavano continuamente di minimizzare ciò che stava accadendo, nella centrale nucleare di Fukushima, in particolare in quattro reattori, si consumava giorno dopo giorno il disastro della fuoriuscita di radiazioni e del continuo pericolo di fusione del nocciolo. Ma i responsabili si comportavano in modo molto irresponsabile, dicendo e non dicendo, facendo intendere, sostanzialmente raccontando continuamente balle. La popolazione giapponese, già prostrata dagli effetti devastanti del terremoto e dello tsunami, si trovava ulteriormente accasciata dalla disinformazione e dalla impossibilità di conoscere la propria reale condizione. Gli stessi USA dopo una settimana hanno denunciato al mondo che le autorità giapponesi non dicevano la verità su quello che stava succedendo. Del resto la Tepco si era già distinta nel divulgare notizie false in occasione di precedenti incidenti, mentre per oltre vent’anni aveva consegnato agli enti di controllo centinaia di dati falsificati. Non a caso la popolazione giapponese, ampiamente abituata a non credere alle loro affermazioni, nelle interviste giornalistiche mostrava compatta il proprio scetticismo e la propria non fiducia nei confronti delle autorità e dei responsabili Tepco.

Un’enorme bomba atomica

Ciò che colpisce grandemente in questo dibattito internazionale è l’arretratezza culturale che fa da sostrato alle argomentazioni, rendendo la qualità stessa del dibattere del tutto inadeguata a sostenere la vera e profonda emergenza della questione in atto. Dovrebbe essere la visione delle cose e del mondo il riferimento che permette di far luce per riuscire a scegliere con saggezza e cognizione di causa, non i calcoli e gl’interessi che si fanno riparo delle tante approssimazioni con cui si giustifica l’ambiguità delle scelte, se non dei veri e propri errori criminali. Per visione delle cose e del mondo intendo una chiarezza d’idee che nasce sostanzialmente dalla chiarezza data dalla conoscenza delle cose per come sono, in modo da riuscire a farsi un quadro complessivo corrispondente al vero e coerente. Solo così ci si può trovare in grado di fare scelte lungimiranti e mirate, capaci di venire incontro ai bisogni senza creare danni irreparabili.
Quando succede che nell’analizzare mentre è in atto il disastro incombente, fra l’altro della smisurata portata cui abbiamo assistito, i progettisti degli impianti nucleari lo interpretano come un suggerimento per alcuni miglioramenti, proprio come se invece che di fronte a una tragedia di portata biblica ci trovassimo in un laboratorio sperimentale, evidentemente non ci può essere né chiarezza d’idee né visione di un quadro complessivo coerente. Oppure non interessano né l’una né l’altro perché le scelte vengono fatte per motivi del tutto avulsi da una qualsiasi visione delle cose e del mondo. Più semplicemente, si fa per dire, rimangono abbarbicati alla misera ristrettezza mentale dell’interesse personale o di parte, al di là e contro ogni ragionevolezza ed ogni altra questione o problema.
In particolare per una questione così fondamentale come l’energia nucleare, ottenuta attraverso la fissione, lo stesso principio delle bombe di Hiroshima e Nagasaki, non si può rimanere ancorati a logiche probabilistiche sicuritarie. Ragionare in termini di sicurezza ad altissima probabilità vuol dire destinarsi a priori ad un’elevatissima esposizione del rischio. Il che significa che a priori si accettano le conseguenze sempre devastanti (per esseri umani, vegetazioni e tutte le specie viventi, oltre che per gli equilibri ambientali) del fuori controllo della fissione nucleare, illudendosi di aver calcolato con esattezza che la probabilità di un incidente è considerata minima. È vero che l’incidente nucleare è molto raro, ma è altrettanto vero che è migliaia di volte più pericoloso di ogni altro. Come sottolinea Tozzi, geologo di fama tra i massimi esperti in Italia, se a una centrale gli si rompe il sistema di raffreddamento diventa esattamente come un’enorme bomba atomica.
Inoltre c’è la questione mai risolta delle scorie nucleari radioattive, cioè quei materiali che, trovandosi nel reattore o nei pressi, sono soggetti a una continua emissione di radiazioni, dal semplice bullone alle componenti metalliche più grandi (pareti, contenitori ecc.). Al termine del ciclo di vita della centrale nucleare, questi oggetti devono essere trattati come rifiuti speciali da trattare con molta attenzione in quanto fortemente radioattivi, quindi pericolosi. Poiché le scorie radioattive decadono nel tempo, si osserva che i prodotti di fissione sono pericolosi per circa 300 anni, gli attinidi minori per circa 10.000, il plutonio per circa 250.000. Problema sicuramente non risolvibile e quanto è stato fatto finora, gli stoccaggi, non possono esser considerati una soluzione. Tutti i centri di stoccaggio hanno natura “temporanea”, per rispondere al criterio di reversibilità delle scelte. Non conoscendo con precisione le conseguenze dello stoccaggio delle scorie radioattive nel tempo, si rende così possibile un loro futuro trasferimento in altri luoghi. In altre parole vengono creati luoghi pericolosissimi, ad alta densità radioattiva, che non si sa con esattezza come possono reagire e cosa possono provocare nel tempo, che soprattutto debbono essere interrati perché, per la loro intrinseca altissima pericolosità, non possono essere esposti.
Mi sento di dire che di fatto le centrali nucleari sono bombe innestate ad altissimo potenziale di aggressività distruttiva. Da un punto di vista metaforico e simbolico sono una dichiarazione di guerra in tempo di pace, non ad un nemico qualsiasi, né reale né potenziale, ma a noi stessi, da parte di oligarchie spregiudicate ed affaristiche che, o non si rendono conto di quello che fanno (il che non le rende meno pericolose), oppure hanno in spregio il resto dell’umanità.

Chi decide della nostra vita?

Quanto è successo in questi giorni in Giappone alla centrale di Fukushima è di una limpidezza che non può lasciare adito a dubbi. Solo gli ipocriti e i bugiardi non riescono e non vogliono ammettere ciò che appare con lapalissiana evidenza: da questa tragedia emerge con forza un doppio fallimento, sia di una concezione del mondo centralistica e autoritaria, sia di un modello di società basato su una devastante produzione di energia utile soprattutto a sostenere consumi insensati, in spregio alla natura e all’umanità. I tragici fatti di Fukushima svelano la vera intrinseca natura del mondo globalizzato: un sistema che produce morte, perché genera conflitti e incentiva la guerra per risolverli, che si regge sullo sfruttamento e la rapina sistematica per arricchire un’elite predatrice, la quale per mantenere il proprio trend di vita non si fa scrupoli ad avvelenare il pianeta, distruggere la biodiversità, impoverire i contesti naturali, schiavizzare gli esseri umani.
Per sperare di raggiungere una visione delle cose e del mondo che ci permetta di far luce per riuscire a scegliere con saggezza e cognizione di causa, sarebbe il momento giusto per cominciare, finalmente anche se in grave ritardo, a porci delle domande non più eludibili e indispensabili e ad azzardare risposte radicali e rivoluzionarie. Ma non solo nucleare sì o nucleare no. Siccome tutto è intrinsecamente collegato e interconnesso, dovremmo chiederci cosa e quanto produrre, come e quanto e per chi e per che cosa lavorare. Dovremmo chiederci seriamente chi, a parte noi stessi, ha il diritto di decidere della nostra vita e deciderci a riappropriarci della stessa.

Andrea Papi