rivista anarchica
anno 41 n. 364
estate 2011


cinema

 

Tra idea ed esperienza

Capita spesso vedendo un film di avere la consapevolezza che la storia che stanno raccontando sia credibile solo per il fatto di essere ben recitata. La storia è così così, un po’ traballante, le immagini un po’ già viste, ma lui/lei sono fantastici e valgono il prezzo del biglietto. Molti dei film che vediamo si reggono su questa capacità che l’attore ha di saperci trasmettere emozioni e sentimenti. Ecco perché parliamo di attori. E per farlo con cognizione di causa e senza addentrarci nel magico mondo dello star system, dobbiamo affidarci a chi del lavoro dell’attore ne ha fatto una ragione di vita. Konstantin S. Stanislavskij, grande attore e regista russo (1863 – 1938) ha sistematizzato e teorizzato il processo creativo che l’attore svolge ogni qual volta interpreta una parte. Fare l’attore non è un lavoro come gli altri, richiede coraggio, disciplina interiore e una grande dose di costanza e curiosità.
Il processo creativo che l’attore compie per interpretare una parte (qualunque parte) viene dall’interno. L’espressione è qualcosa che nasce, è agitata, è stimolata, è guidata dagli avvenimenti interni. L’attore deve saper attingere al suo sentire interiore per poter agire sulla scena. Per poter creare ogni volta un nuovo personaggio, l’attore deve diventare un altro se stesso, far dilatare il suo io creativo, sviluppare tutte le possibilità consce e inconsce. Questo è il senso e il fine del lavoro dell’attore su se stesso. Cosa sarebbero stati Marlon Brando, James Dean, Paul Newman, Al Pacino, senza questa capacità di attingere alle proprie emozioni. Come avrebbero potuto interpretare quei personaggi così veri e al contempo così forti che il cinema ci ha passato?
Ancor oggi, l’attore che vuole arrivare al cuore del suo pubblico, deve analizzare se stesso e le proprie dinamiche interiori, deve diventare consapevole di quello che è e di quello che può diventare. Tutta la ricchezza o la povertà del personaggio e di tutto quello che l’attore presenta sulla scena dipenderà sempre dalla sua capacità di mettersi in gioco.
Cosa cerchiamo al cinema? Prima di tutto, credo, la verità di ciò che vediamo. La riconoscibilità, la verosimiglianza delle storie che ci vengono raccontate. Per un attore è vedere e dire ciò che è presente, vivo, autentico. Farci vedere ciò che veramente vede. Non quello che sembra di vedere. Raccontare la verità, per un attore, è percorrere un processo fatto di esperienze organiche autentiche. Solo così noi spettatori potremo credergli. Ma si può andare oltre. Per un attore, la parola esperienza ha un valore assoluto e ben diverso da quello che gli diamo noi comuni mortali.
Che cosa costituisce un’esperienza per un attore? Qual è la sua natura? L’esperienza (nella vita e quindi anche quando si recita) è inconsapevole. Non segue un processo cosciente. La mente non è mai molto utile quando arrivi al momento dell’’esperienza. La mente lavora in modo lineare. Qualsiasi cosa la mente ti dica dell’esperienza, è sbagliata.
C’è differenza tra idea ed esperienza. Pensa all’idea di stanchezza e alla stanchezza vera e propria. Pensa a cosa vuol dire vivere un dolore o semplicemente immaginarlo, o cosa significa per te baciare una donna o un uomo da cui sei attratta/o, sentire il caldo del sole sulla pelle o il gelo del vento sulla faccia. Queste sono esperienze. Cercare cioè delle risposte emotive e non razionali in relazione a ciò che accade. E i bravi attori su questa strada si muovono. Decidono di vivere la scena che interpretano, invece che pensarla e poi recitarla meccanicamente.
Esprimere emozioni vere, per un attore, non significa essere “emotivamente agitati” o emozionarsi a comando” perché viene richiesto, ma lasciare che ciò accada realmente sulla scena, cercare una vera emozione dolorosa che muova e guidi il nostra agire e faccia nascere le emozioni in quel terreno che è la logica del personaggio che facciamo vivere. L’attore tende per sua natura a cancellare i conflitti interiori che sono quelli che generano l’esperienza, che è l’anima stessa della messa in scena.
Solo lasciandosi andare al proprio sentire si trova la natura dell’esperienza
L’arte di esprimersi, il suo segreto (che vale per gli attori ma anche per ognuno di noi) sta in larga parte nella qualità delle domande che ci si pone. In questa arte non esistono ricette. Rimane tuttavia una chiave importante che se usata aprirà molte porte.
Siamo terrorizzati dal non avere risposte. Avere risposte immediate quando vogliamo esprimerci equivale ad essere morti. Cerchiamo risposte a tutto e poi ci domandiamo come mai siamo così refrattari ad essere vivi, agili, pronti e forse anche curiosi! Siamo stati abituati ed educati ad avere una vita fatta di risposte giuste. Ma dobbiamo imparare a essere liberi, a ritenere che a una domanda possano corrispondere molteplici risposte giuste. Vale la pena provare…imparando dal lavoro degli attori.

Bruno Bigoni