rivista anarchica
anno 41 n. 365
ottobre 2011


ricordando Ferro Piludu

Un grande grafico (che non se la tirava)
di Luciano Lanza, Fabio Santin, Paolo Finzi

Il direttore di “Libertaria”, un redattore di “ApArte” e uno della nostra rivista ricordano il compagno recentemente scomparso, schiantatosi a terra, a 81 anni, con la sua passione di sempre: l’aliante.

 

Luciano Lanza
Salud y anarquia Ferro Piludu

«Mai di domenica» e forse anche Ferruccio (Ferro, per i compagni anarchici e gli amici) Piludu avrebbe dovuto seguire l’indicazione del famoso film. Così non è stato e domenica 21 agosto Ferro si è schiantato cadendo con il suo aliante a Ortona dei Marsi, vicino al Parco nazionale d’Abruzzo. Ferro aveva tre passioni: il volo a vela, la grafica e (last but not least) l’anarchia.
Nel mondo dei grafici romani Ferro era considerato uno dei capiscuola e un innovatore. Non a caso suoi lavori sono stati presentati al Museum of Modern Art di New York, alla Triennale di Milano, all’Internationalen Design Zentrum di Berlino. E aveva anche vinto il premio World Gold Cover per le copertine di quasi tutti i dischi di Sergio Endrigo. Ma questi per Ferro Piludu erano lavori, quelli con cui si guadagna per vivere e per poter lavorare gratuitamente alle cose che appassionano. E per lui voleva dire l’editoria anarchica.
Già agli inizi degli anni Settanta si avvicina alla redazione del settimanale Umanità Nova, testata fondata nel 1920 come quotidiano da Errico Malatesta, uno dei nomi più importanti dell’anarchismo italiano. E rinnova la veste grafica del settimanale. Poi nel 1973 si dedica anche all’impaginazione e alla veste grafica del mensile A rivista anarchica. Nella tipografia di Carrara fondata e gestita da anarchici si stampano i due periodici e in quella città così carica di ricordi di lotte libertarie Ferro imprime il suo slancio innovativo alle due testate.
All’inizio degli anni Ottanta rivoluziona la grafica del trimestrale Volontà, altra testata storica fondata nel 1946 da Giovanna Berneri (la vedova di Camillo Berneri ucciso nel maggio 1937 a Barcellona da sicari comunisti durante la guerra civile) e da Cesare Zaccaria. Poi nel 1981 le Edizioni Antistato pubblicano il suo libro per una grafica militante: Segno libero. Ripubblicato nel 1986 da Elèuthera. E per vent’anni Piludu progetterà le copertine di questa casa editrice libertaria, sicuramente la più conosciuta nel panorama editoriale italiano.
Infine il canto del cigno: nel 1999 Piludu progetta la grafica di un nuovo trimestrale: Libertaria, sottotitolo Il piacere dell’utopia. È la rivista in cui immette tutte le sue energie e formule inventive.
Adesso questo percorso si è bruscamente interrotto.
Salud y anarquia, Ferro Piludu.

Luciano Lanza

Ferruccio Piludu


Fabio Santin
Il suo approccio pragmatico

Alla mia età sono ormai convinto che la prima impressione è quella che conta, quasi sempre.
Così successe con Ferro Piludu: nell’ormai lontano 1970 si tenne a Roma un convegno sulle tre scuole di design esistenti in Italia a rischio di chiusura: all’appuntamento parteciparono, oltre a grandi nomi come Argan, Anceschi ecc.., anche docenti e studenti – questi ultimi, visti gli anni che correvano, piuttosto agitati. La mia attenzione fu attirata da un docente dell’istituto romano, Ferro appunto, il cui intervento, a differenza di altri molto dotti e astrusi, si distingueva per l’approccio molto pragmatico e dalla parte di noi studenti in guerra aperta con istituzioni e ministero.
Con un certo piacere ritrovai qualche tempo dopo lo stesso Ferro, che con la stessa tenacia e candore era alle prese con il mondo della stampa anarchica: svolgeva da pari suo un’operazione di svecchiamento, anche drastico, intervenendo con piglio sicuro e “professionale” su manifesti, riviste, case editrici ecc.. Dei manifesti, uno per tutti,quello del “primo maggio anarchico” del 1977, nel quale giganteggia su fondo nero solo una porzione di “A” cerchiata con il triangolo rosso dell’occhiello che non poteva non richiamare il cuneo rosso di El Lisitskij.
Per le riviste il discorso si fa lungo ma credo che il rinnovamento di “A-rivista” sia rappresentativo soprattutto se si pensa alla copertina del numero 62 del febbraio ’78, quella nera con il simbolo della Rai ripetuto e ricoperto da sempre più numerosi drappi rossi.
Non mi dilungo sui suoi lavori e collaborazioni nel campo dell’editoria anarchica, sicuramente lo farà qualcuno più preparato, ma mi soffermo volentieri sulla sua figura professionale di grafico, completamente autodidatta, come ci tiene a far sapere nell’introduzione del suo lavoro “Segno Libero” pubblicato da Antistato nel 1981: Ferro scopre che “sbagliare non è sicuramente colpa (né peccato) ma, piuttosto, la maniera più rapida per conoscere, per scoprire..”
Dopo anni di mestiere finalmente scoppia il ’68 e il passaggio da ambienti esclusivi come gli Art Director’s Club e Scuole d’Elite a scuole di campagna, sedi anarchiche, vecchi magazzini perché “dalla parte giusta si sta sicuramente meglio, intanto più allegri e poi con più voglia di fare, di cercare, di scoprire..”
Nel 1974, con altri amici, mette in piedi il “gruppo artigiano ricerche visive” lavorando per la Rai, scuole pubbliche e private, ancora per attività politiche, organizzando corsi e seminari di grafica militante per realtà libertarie e gruppi di base. La sua instancabile attività professionale profusa anche per enti pubblici e privati, nel settore dell’informazione, dell’immagine aziendale nei programmi di identità grafica e di preparazione del personale , lo porteranno ben presto a rappresentare una delle tendenze più significative della comunicazione visiva italiana degli anni ‘70; la stessa Arflex, un’azienda all’epoca all’avanguardia nel settore del design e dell’imbottito, nella necessità e intuizione di far conoscere anche in modo non tradizionale l’immagine dell’azienda, commissionò ai nomi più noti e innovativi della grafica italiana di quegli anni una serie di 20 manifesti: sicuramente quello di Ferro è uno dei più creativi con il raffinato gioco grafico del suo nome-cognome ripetuto e sovrapposto all’infinito. Di nuovo l’Arflex, per la presentazione a Roma dell’innovativo “imbottito Serpentone” propose poi ai migliori artisti e operatori della comunicazione visiva di interpretare liberamente il tema: ne nacque un’esposizione di opere uniche che suscitò notevole interesse. T ra i 19 invitati compare il “gruppo artigiano ricerche visiveh e lo stesso Ferro Piludu che realizzarono due tra le opere più significative: in particolare quella di Ferro era una sagoma di persona seduta moltiplicata e sovrapposta appunto in forma snodata e sinuosa di serpente!
Nell’ultimo incontro, due anni fa, venne a trovarmi a Venezia. Si parlava della mitica testata di Lotta Continua quotidiano, che lui aveva ideato accostando al logo l’immagine stilizzata di un particolare delle barricate di Parma; tra i tanti discorsi si era pensato di affrontare in un numero futuro di ApARTe il tema della grafica anarchica, per una volta in maniera esauriente.
Mi resta ora il rimpianto di un progetto irrealizzato o di un impegno che prima o poi dovrò affrontare. Anche per Ferro.

Fabio Santin


Paolo Finzi
Un maestro (raro) che non voleva esserlo

Ferro era un grande. Anche nel senso che quando entrò nella giovane vita di “A” per farci ragionare sul senso e sui modi della grafica editoriale, aveva quasi il doppio dell’età media di noi redattori di “A” (Aurora, Fausta, Gianni, Luciano, il sottoscritto, ecc).. E comunque era di un’altra generazione (o due) rispetto a noi. Era il 1974 e nella tipografia anarchica da poco aperta a Carrara da Alfonso e Dino il volto così curioso, segnato da profonde rughe come quello di marinaio di lungo corso, era familiare al bottegaio anarchico Secchiari, a Mauro del bar attaccato alla tipo, a quel piccolo mondo un po’ anarchico un po’ simpatizzante che girava intorno alla Tipo.
Era un grande, Ferro, un grande grafico – e il ricordo di questo suo aspetto artistico e professionale lo ha appena tracciato Fabio Santin, altro grafico, anarchico, che ha segnato profondamente un’intera stagione della nostra rivista. Ferro verso la metà degli anni ‘70, Fabio sul finire degli anni ‘80.
A me piace ricordare il caro amico Ferro, persona di grande stile e finezza, ma per nulla “puzza al naso”. E qui sta la sua grandezza, proprio nel non “tirarsela”. Nel suo campo, era un bel po’ avanti a tutti noi: aveva una visione d’insieme, una capacità di individuare soluzioni, un’attenzione ai particolari che a volte ci pareva magica. Le sue mani tremanti si avvicinavano all’acetato, al tavolo luminoso, all’improvviso smettevano di tremare e ti posizionavano quel box, tagliavano quella foto, ecc. ecc. come tu non te lo saresti aspettato.
Non era tanto modestia (in realtà ho sempre pensato che Ferro fosse ben conscio del proprio valore quanto lo era dell’importanza del proprio lavoro), era molto di più: Si trattava in effetti della conseguenza pratica della sua concezione della grafica (e, a monte, del lavoro umano) come di un qualcosa che doveva nascere non dai tecnici, dai super-specialisti, ma direttamente da chi lavorava “sul campo” – nel nostro caso, dai redattori.
Era come se Ferro sentisse dentro di sé la “missione” di aiutare noi delle redazioni a chiarirci bene che cosa volevamo dire, a sintonizzarci con i lettori, per poi scegliere – su quella base – che cosa fare, come proporre i testi, come impaginare, ecc..
Quando ci incontrammo per l’ultima volta, a Milano, al circolo dei Malfattori, in occasione di un concerto del comune amico e compagno Carlo Ghirardato, scherzammo come sempre. “Tocca Ferro” era quel che gli dicevo sempre quando ci abbracciavamo e ci rimandava nel ricordo a 35 anni prima. Ferro, che già allora era grande, ormai aveva 80 primavere sulle spalle. Gli occhi affaticati e inficiati da una malattia. Il volto da vecchio, rugosissimo marinaio di lungo corso. Ma all’alba dei suoi 80 anni si parlò anche di una possibile nuova veste grafica della rivista, sollecitata da Gasto e da altri per noi “giovani” lettori. Ci si lasciò con l’idea di rivedersi per una prima riunione, un riesame di questa veste grafica, un confronto aperto. Ferro, che ha sempre avuto un affetto particolare per questa rivista, si era entusiasmato all’idea di rimettere le mani in pasta. Entusiasta ma rispettoso del nostro lavoro passato e presente. Quel rispetto che ci mancherà non meno del suo caldo entusiasmo. Per l’ultima volta, tocco Ferro.

Paolo Finzi