rivista anarchica
anno 41 n. 366
novembre 2011


scuola

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Nel paese dei fagiolini

A tre anni, la figlia di una mia amica chiamava “quasi-paolo” il fratellino in arrivo e ancora acciambellato nella pancia della mamma: “Perché quando nasce diventa Paolo. Adesso è solo un fagiolino”. Il ragionamento non faceva una grinza, e aveva di certo anche una funzione rassicurante. La perdita del privilegio di esser figlia unica veniva esorcizzata spostando al futuro un evento inquietante.
Il paese dei fagiolini è un luogo in cui le cose esistono solo in potenza, e non è affatto detto che si facciano realtà. Qualcosa che è quasi accaduto, in fondo, potrebbe anche non accadere mai.
Ho un amico preside. Quasi-preside, dovrei dire: un preside fagiolino. Il mio amico si trova in questa disdicevole condizione di quasi-esistenza perché, alcuni anni fa, ha fatto domanda per partecipare a un concorso per aspiranti presidi. Non era sicuro di poter essere ammesso, anzi, al contrario, pensava che lo avrebbero escluso: aveva quasi i requisiti giusti, ma non proprio, il Ministero, si sa, ha il cuore tenero di una verginella: non poteva permette che dieci giorni in meno nel servizio richiesto determinassero l’esclusione da un banale concorso. Così il mio amico fu quasi ammesso al concorso: nei gloriosi,
potenziali panni di un fagiolino.
Ora, uno dei pregi della quasitudine che caratterizza i fagiolini è che il fagiolino gode di tutti i doveri e di nessuno dei diritti che spettano ai non-fagiolini. Il mio amico quasi-concorsista pagò, come i concorsisti veri, il corso di preparazione al concorso, sostenne le prove, le superò a pieni voti. Nel frattempo, come status, era ancora nel paese dei fagiolini: attendeva cioè che il Ministero uscisse dalla penosa incertezza dalla quale era stato agguantato al momento della domanda. Era un’aspettativa legittima, la sua: era trascorso in effetti quasi un anno dalla dichiarazione della quasitudine, ma il mistero della riserva non pareva dipanarsi. E il mio amico restava nel paese dei fagiolini.
Venne il giorno in cui i vincitori di concorso furono convocati in quell’altro luogo dell’immaginario collettivo che si chiama Provveditorato agli studi. I vincitori scelsero una sede, e i quasi-vincitori (2 in Lombardia) restarocono con un palmo di mano. Da allora, ovvero dalla dichiarazione della quasitudine di questo mio amico, sono passati 7 anni. Il mio amico preside fagiolino ha cambiato 6 scuole. Siccome è anche bravino, gli sono stati spesso rifilati istituti di varia complessità, il più delle volte con la promessa che vi sarebbe rimasto. Il preside fagiolino lavorava bene, varava progetti, sistemava siti, tendenzialmente si faceva amare, come accade di solito a chi fa un mestiere che gli piace molto e che gli viene facile. Poi, sempre ad agosto, esplodeva la bolla e il quasi preside veniva spostato altrove. Perché? Perché un preside di ruolo aveva chiesto per combinazione proprio la sede che occupava il fagiolino. E come negare una sede a un preside vero quando essa è impropriamente concessa al fagiolino? Come direzionare il preside vero verso un’altra delle tre sedi che poteva chiedere, magari meno prestigiosa, per lasciare il fagiolino al suo posto? E Parbleu, non si tratta mica di un vero preside, ma solo di una potenzialità: una riserva, una specie di silicone da usare per otturare le falle più evidenti dello stato.
Ora, nei concorsi dello stato, fare la riserva non è proprio come esserlo in una squadra di calcio di serie A. Intanto non si percepisce alcun stipendio: piuttosto, lo si paga all’avvocato che deve seguire la tua vicenda (che di solito è un avvocato a tutti gli effetti e produce parcelle a tutto tondo, e senza approssimazioni). Poi, invece di stare in panchina, ci si agita in modo forsennato, nel tentativo di far sì che lo stato “sciolga la riserva”, il che da alla faccenda una caratteristica di liquidità non molto rassicurante. In effetti, il preside fagiolino era in questa condizione, in compagnia di un’altra dozzina di fortunati individui in tutta la penisola: un numero di trascurabile entità, come si capisce, rispetto al quale era legittimo aspettarsi che la questione sarebbe stata evasa con una certa rapidità.
E invece siamo ancora qui che attendiamo. E la leggenda metropolitana del preside fagiolino dilaga. Provate a chiedere di lui. Vedrete occhi di madri commosse, di ogni età ed estrazione sociale, inumidirsi ed ex-studenti entusiasmarsi. Vedrete docenti precari e di ruolo infervorarsi e perdere il lume della ragione. Insomma vedrete succedere quel che capita di solito nella scuola, anche se nessuno mai lo dice, quando un insegnante è bravo e dedicato e quando un preside è nato per fare esattamente il mestiere che fa.
Però, appunto, questo ha importanza solo nel paese immaginario dei fagiolini. Nel mondo reale, i fagiolini sono ostaggio di una gestione verticistica curiosa, una casbah che somiglia a un ricovero psichiatrico, ma non lo è, non in senso classico. Piuttosto è una multiproprietà che tutti i soci, non del tutto equilibrati, vogliono abitare nello stesso periodo. Ciò non è possibile, e del pasticcio che ne consegue, chi ne paga il prezzo? I fagiolini
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Nicoletta Vallorani