rivista anarchica
anno 42 n. 371
maggio 2012


dibattito movimenti

Le lotte e la maschera

di Stefano Boni

Si stanno diffondendo nel mondo mobilitazioni dai tratti libertari. Si sono moltiplicati i comitati cittadini e le lotte ambientaliste. Si aprono nuove prospettive.

 

Dopo decenni di sostanziale inedia, riprende corpo, in questi ultimi anni, l’azione diretta, definita da Graeber come “insistere, in situazioni in cui ci si trova di fronte a strutture di autorità ingiusta, nell’agire come se si fosse già liberi”. (1)

Azioni dirette

È un’azione diretta limitata perché in fase embrionale, ma mostra tratti interessanti. Si esprime sia in una modalità costruttiva nella costruzione di spazi urbani, orti, comuni rurali, nelle occupazioni abitative e collettive, tutte accomunate da una autogestione tendenzialmente egualitaria, senza deleghe e capi, che cerca, per quanto possibile, di evadere la proprietà privata, norme, certificazioni. Si esprime in maniera oppositiva alle devastazione promosse dalle istituzioni allineate: Stato, industrie, finanza, e media. Le manifestazioni di piazza, gli scontri, i sabotaggi, l’interruzione delle passerelle politiche, le azioni dimostrative, i presidi hanno giustamente identificato questi come i gangli del potere da colpire. E colpiscono. Fino adesso i risultati sono stati scarsi: si è riusciti a scalfire la retorica e le coreografie della politica con fischi e irruzioni; a ritardare l’implementazione dei progetti con azioni che vanno dal ricorso legale al sabotaggio; a distruggere le icone del capitalismo nella forma di vetrine; a difendere case, presidi e terreni per lassi di tempo più o meno brevi. Nella sostanza quella che è stata chiamata la megamacchina ha continuato a dispiegarsi senza sostanziali intralci popolari fino a qualche anno fa. Di fronte ad una società civile asservita, individualizzata, attenta soprattutto a difendere il proprio consumo comodo, è stato cambiato il volto della produzione, della società e dell’ambiente nel giro di qualche decennio, imponendo logiche gerarchiche e competitive, progetti totalmente insensibili all’ambiente, mercificanti e tossici.

Sinergie No Tav

Per queste ragioni impedire la costruzione della TAV è cruciale. Si tratta di un progetto assurdo e inutile; portatore di danni ambientali enormi; sorretto trasversalmente dalle istituzioni nazionali e richiesto da quelle internazionali. La TAV è funzionale solo alla logica del governo che ben conosciamo: stimolare la crescita economica con ingenti finanziamenti pubblici che permettono di ingrassare le aziende con gli appalti e i politici con le tangenti; oltre alla devastazione, la beffa del debito pubblico che legittima la macelleria sociale nelle scuole e la mercificazione della salute. Riuscire a fermare la TAV sarebbe la prima vittoria importante. Significherebbe che, muovendosi bene, si può fermare tutto. Dopo decenni di testimonianza, piccoli esperimenti collettivi, feste e concerti, lavoro intellettuale, rifugi in isole più o meno felici, si tornerebbe a fare politica pubblica su grandi temi tramite l’azione diretta, con la speranza di vincere le battaglie. Già viene l’acquolina in bocca.
La forza e la peculiarità della NO TAV, a mio avviso, vanno cercate nella sinergia degli elementi sociali che la compongono. Liberi da pregiudizi e mantenendo le proprie differenze, si uniscono su un obiettivo comune: la comunità valligiana, una società civile allargata, la galassia della radicalità giovanile. La comunità valligiana è diventata, forgiata da decenni di lotte ambientaliste, un tessuto sociale critico verso le istituzioni, aperto alla accoglienza e al confronto orizzontale, scevro di pregiudizi, consapevole dei meccanismi del potere, disposto al sacrificio e alla azione diretta. Si lega ad essa, una società civile ambientalista e stanca delle ipocrisie di palazzo, che applaude chi si scontra. Una frangia di questa è disposta ad un’azione diretta non solo simbolica, finalizzata a sradicare reti, occupar autostrade, fare resistenza passiva ed attiva in forme molteplici ed imprevedibili. Tutto questo con la capacità di durare nel tempo, di sanare le fratture, di continuare a trovare la costanza di una lotta di lungo periodo. Queste tre anime si incontrano nella assemblea, istanza orizzontale, ricettrice di differenze, luogo dove mirare al consenso collettivo. L’opposizione alla TAV esemplifica dinamiche che si stanno diffondendo.

Movimenti promettenti

Si stanno diffondendo nella penisola, in Europa, nel mondo mobilitazioni dai tratti libertari. Si sono moltiplicati i comitati cittadini e le lotte ambientaliste. Abbiamo vissuto stagioni di mobilitazioni studentesche maestose e decise. Gli attivisti telematici sono in grado di attaccare siti commerciali e ufficiali e al contempo offrire servizi gratuiti e condivisi. L’organizzazione è tendenzialmente orizzontale, senza capi, diffidenti verso qualunque realtà istituzionale che cerca di egemonizzare o anche solo partecipare: si viene come singoli e non tutti son graditi. La forma decisionale è l’assemblea, fortemente egualitaria, che attiva nuove e sofisticate modalità per prendere decisioni, riuscendo a coinvolgere in alcuni casi decine di migliaia di persone, penso alla Spagna (15M), agli USA (Occupy) e alla Grecia. Si riesce a condurre orizzontalmente le riunioni perché si è consolidato un sentire comune che difende l’autogestione e che ha obbiettivi condivisi: è più facile prendere le decisioni quando si parte da assunti consolidati. Il metodo di lotta non è più la ricerca di visibilità tramite pacifiche manifestazioni in cui si andava a scuotere le bandiere ed ascoltare il discorso del leader: si pratica l’azione diretta. Le manifestazioni sono quasi sempre non autorizzate, spontanee, imprevedibili, fastidiose per il potere e per la gestione dell’ordine costituito, finalizzate ad obbiettivi strategici: bloccare treni, autostrade, strade; interrompere una passerella di un politico o sindacalista; occupare un terreno o una casa; arrivare al parlamento.
All’interno di questi eventi, è stato minoritario il peso dei gruppi dichiaratamente anarchici, penso sia a quelli istituzionali che ai centri sociali, sia quelli inseriti in istituzioni formali che la massa, tendenzialmente più giovane che si è rafforzata, in molteplici forme, negli ultimi anni. Quasi tutti i recenti rigurgiti popolari hanno visto presenze anarchiche, sparpagliate, giustamente, nella ricerca dell’affinità, nei diversi gruppi. Anarchici sono presenti nei comitati cittadini, nel movimento studentesco, nei gruppi ambientalisti e animalisti, negli attivisti in rete, naturalmente contro la TAV e, in forma addirittura elettorale, nel comitato per l’acqua pubblica. È una buona notizia che la componente dichiaratamente anarchica sia contenuta perché non c’è bisogno di mettere etichette a questi movimenti; perché vuol dire che dopo anni di isolamento si trovano situazioni in cui ci si riesce a trovare a casa; e soprattutto perché molti di questi movimenti stanno assumendo forme di organizzazione e lotta che, di fatto, hanno tratti marcatamente anarchici.

Mirare all’efficacia, ottenere risultati

Alla base di tutte le crisi di cui abbondano i nostri tempi c’è la crisi delle agenzie e degli strumenti efficaci di azione. Da qui, l’intensa sensazione di essere stati condannati alla solitudine di fronte a pericoli comuni. Avendo perso la fiducia in una salvezza che venga dall’“alto” (i parlamenti e gli uffici governativi), in cerca di strumenti alternativi per far sì che vengano fatte le cose giuste le persone sono scese in strada come i un viaggio di scoperta e/o sperimentazione.
Dopo decenni si rivede l’azione diretta. Dopo decenni si rivedono assemblee pubbliche. Dopo decenni uno scontro tra i poteri forti e la popolazione ha un futuro incerto. Si tratta di bloccare la TAV per rafforzarsi, e rafforzarsi per moltiplicare lotte simili. Si tratta di non accontentarci della testimonianza ma di cominciare ad ottenere risultati concreti, per limitare le devastazioni sociali ed ambientali, per darci fiducia, per darci forza in una lotta che sarà lunga e dura. La lotta che si inizia ad intravedere non ha precedenti storici: il momento che viviamo è del tutto particolare sia per le peculiarità del tessuto sociale, sia per la dotazione di strumenti repressivi inediti da parte dello Stato, incaricato di rimuovere le resistenze nella implementazione delle delibere dell’apparato economico e finanziario, sempre più finalizzate al profitto per pochi. Chi intende abbattere, con l’azione diretta, un sistema ritenuto assurdo, deprimente, svilente, dannoso nel suo complesso, entra necessariamente nella illegalità e subisce le aggiornate e pervasive tecniche di cui si è dotato l’apparato di controllo: si identifica e si tracciano i movimenti con telecamere, telefonini, macchine fotografiche, prove del DNA; si localizza con i telefonini e i bancomat; si intercettano telefonate, perfino conversazioni intime con registratori piazzati nelle macchine, nelle case, nei luoghi di riunione. L’apparato repressivo ha aggiornato in senso tossico il suo strumentario, dallo spray al peperoncino ai lacrimogeni. Nuove leggi aumentano le sanzioni per i reati di piazza. Fino ad adesso lo Stato si è essenzialmente mosso con la celere per rimuovere fisicamente gli ostacoli ostinati; investigando minuziosamente; e, poi, aprendo le celle: sono ormai centinaia, forse a contarli bene migliaia, i denunciati a vario titolo, spesso giovani e incensurati.
Sarebbe ingenuo pensare che lo Stato, di fronte ad accenni di sommosse popolari, non abbandoni la facciata benigna e democratica e, sostenuto dai media, sotto pressione di chi è interessato a tenere vivo, fino in fondo, il ciclo smodato della merce, mostri il suo volto repressivo.

Stefano Boni

  1. Graeber D. Direct Action. An ethnography, Edimburgo, AK Press, 2009, p. 203.
  2. G. Battiston & Z. Bauman (2011) “’Occupy Wall Street’ diventa un partito”, Micromega, no. 8, pp. 180.