La
mê lenghe e sune il rock
“…A qualsiasi latitudine la musica
non è solo una forma di espressione, ma si può
considerare altresì come uno specchio delle altre
manifestazioni culturali di un territorio, di una comunità,
di un’epoca e di più epoche, della sedimentazione
e della sovrapposizione di linguaggi, espressioni e tradizioni.
Nella musica, cantata, suonata e ballata, si trovano diverse
testimonianze e eredità delle contaminazioni culturali,
linguistiche e storiche che hanno segnato il Friuli e lo
hanno fatto così com’è. Ritmi, suoni
e melodie fanno emergere con forza il suo essere “altro”:
il sud del nord, il nord del sud, l’est dell’ovest,
l’ovest dell’est…”
Ecco un libro che la grande parte di noi potrà leggere
solo a metà. Non perché “La mê lenghe
e sune il rock” (ed. Informazione Friulana, 2011, prezzo
non indicato) racconti una storia noiosa, tutt’altro,
quanto perché le prime cento-e-passa pagine sono scritte
in lingua friulana, parlata da ben oltre mezzo milione di
persone ma poco diffusa al di qua del Livenza. La traduzione
italiana corrispondente occupa le cento pagine successive,
e sono pagine stracariche di informazioni, particolari e ragionamenti
che un appassionato di musiche come me s’è divorato
in relativa fretta e con gioia. Mi sono portato il libro sempre
con me in borsa per due settimane buone, l’ho letto
appena trovavo una mezz’ora tranquilla, l’ho letto
in treno e in pausa mensa, la sera invece della televisione
e prima di dormire. L’ho letto e riletto, avidamente,
su e giù ad accarezzare le pagine e a far sudare le
mani sulla copertina. Non vi nascondo che sono stato molto
presto spinto dalla curiosità a ficcare il naso nella
prima parte, a lavorare di memoria col suono delle voci di
tanti amici e compagni, così misteriosamente straniere
ed altrettanto meravigliosamente familiari. Tanti dei nomi
raccontati qui dentro, da Lino Straulino a Loris Vescovo,
dagli FLK agli Arbegarbe agli Inzirli, li avete già
incontrati qua dentro, ve ne ho parlato: sarebbe stato difficile
per me aver fatto a meno anche di solo uno di loro.
Ma il libro non è l’enciclopedia della musica
friulana coi nomi e le date messi in ordine, con le belle
liste dei dischi e delle canzoni, chissenefrega. Per fare
il lavoro Marco Stolfo, l’autore, si è occupato
di tutt’altro: è riuscito a raccogliere i fili,
forse non tutti ma di certo tantissimi e comunque tutti importanti.
Marco riesce a raccontare il suono del Friuli anche a chi
non lo ha mai ascoltato o lo ha ascoltato poco, e ci riesce
spiegando tutto con calma: usa una scrittura semplice e lineare,
evita accuratamente la pedanteria e ogni tanto non teme le
ripetizioni e il già detto poche pagine prima, così
da tenere la comunicazione a livello orizzontale e l’attenzione
viva. Il fuoco dell’attenzione è tutto concentrato
sulle persone: l’autore accende luci dove a volte non
te le aspetti, sceglie le parole giuste per descrivere movimenti,
viaggi e incontri e imprevisti che poi si sono concretizzati
in un grumo di frasi, un testo, una canzone, un disco. Ne
viene fuori un libro che racconta le canzoni attraverso le
motivazioni di chi le canta, senza prestare troppa attenzione
alle differenze di genere espressivo.
Il grosso delle storie si concentra negli ultimi venti-trent’anni,
ma la linea del tempo nel libro ha un’importanza relativa,
anzi spesso, in quel gioco di ripetizioni a cui accennavo
prima, c’è un susseguirsi di rimandi, di ispirazioni,
di tracce sotterranee, un continuo bilanciamento tra tradizione
e innovazione, tra senso estremo di conservazione e spirito
distruttore/dissacratore. Ad esempio, qui si racconta degli
anni Sessanta e Settanta attraverso il mercato delle cassette
di cori e formazioni folk che porta aria di radici nelle case
degli emigrati friulani all’estero, e della canzone
melodica e cantautorale che a volte è diventata prova
di resistenza alla modernizzazione e al pericolo della perdita
d’identità. Significativo il passaggio, nel decennio
successivo, dalla canzone “verticale” a quella
“orizzontale” grazie a Giorgio Ferigo ed al Povolâr
Ensemble: orizzontale perché finalmente “contemporanea,
contaminata e in grado di utilizzare la lingua per tutti gli
argomenti e in prospettiva con ogni linguaggio musicale”,
per dirla con Stefano Montello degli FLK. Ma per fortuna (di
tutti) il Friuli non ha muri di cemento e filo spinato tutt’intorno
e confini impermeabili, e negli anni Ottanta è stato
travolto dal punk divenendo un importante laboratorio sociale.
In quegli anni il Friuli conosciuto da tutti come terra di
caserme e fabbriche è una zona creativa in ebollizione:
inizia le trasmissioni Radio Onde Furlane, si attiva il Great
Complotto a Pordenone, tra le primissime autoproduzioni discografiche
italiane esce nel 1981 “Challenge” che vede coinvolti
due gruppi friulani (ed uno trevigiano), e poi Eu’s
Arse, Detonazione, Upset Noise, Soglia del Dolore, Warfare,
Fottutissima Pellicceria Elsa, Nagasaki, la fanzine Nuova
Fahrenheit e l’etichetta indipendente Nuclear Sun Punk,
il Gruppo Sociale della Bassa Friulana… per arrivare
al CSA di via Volturno, alla magnifica rivista Usmis e poi
agli Inzirli, a Musiche Furlane Fuarte e piano piano ai visionari
Trastolons, al sorprendente DJ Tubet e agli intrecci di oggi...
Intrecci che si ramificano, corrono in cielo a incontrare
altri fili, altre musiche, altri ragionamenti, altri voli.
Parte sostanziosa del libro, quella finale, racconta analogie
e affinità tra le musiche friulane e quelle che si
sono sviluppate in altre zone di minoranza linguistica ed
etnica: certe storie proprio come quelle friulane sono storie
di ragazze e ragazzi sardi, occitani, ladini, corsi, albanesi,
tirolesi, frisoni, bretoni, catalani, baschi… Questo
può spiegare il blues di Fabian Riz da Cormons che
suona e canta assieme ai Frontiera che vivono sulle montagne
che stanno proprio lontane dall’altra parte delle Alpi
verso la Francia (guardateveli su YouTube: verranno i brividi
a quelli che avevano vent’anni negli anni Ottanta e
si nutrivano di punk anarchico). Questo può spiegare
“Tu tramontis”, canzone di protesta del Settecento
che trova parole friulane e sarde insieme per esplodere nel
silenzio di normalizzazione del millennio nuovo.
Un libro di rivelazioni, una ricerca fatta con gli occhi e
le orecchie spalancate e con addosso una curiosità
insaziabile. C’è anche un’appendice sonora
e rumorosa: al libro è allegato un cd antologico da
consumare con attenzione e rispetto.
Informazioni: Radio Onde Furlane, via Volturno 29 33100 Udine,
www.ondefurlane.eu
e-mail: info@ondefurlane.eu
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Giorgio
Ferigo |
Solar
Ipse
Prima
non l’ho fatto, e forse per nessun motivo veramente
valido. Insomma, sono mesi che mi ripropongo di segnalarvi
la fanzine Solar Ipse, immaginata e stampata a Trieste da
Loris Zecchin col sostegno di collaboratori vari. Ne sono
usciti sinora quattro numeri, i primi due si chiamavano Xerox
Militia ed erano un tot di pagine fotocopiate spillate insieme
come si faceva una volta, il terzo e quarto numero poi sono
stati stampati seriamente. Se già sfogliando un numero
di una normale rivista musicale che si trova in edicola come
Blow Up un ultracinquantenne come me si sente a disagio, disorientato
dalla moltitudine di uscite discografiche e dal moltiplicarsi
esponenziale delle etichettature e dei sottogeneri, Solar
Ipse è una finestra che si spalanca sull’abisso.
In quattro uscite e quasi trecento pagine complessive mi sono
ritrovato nel mezzo di un vortice di nomi e riferimenti sotterranei
dei quali per grande parte nemmeno sospettavo l’esistenza.
Con sorpresa, scopro che parte della roba finita nelle playlist
di Loris e compagni mia figlia, quasi diciannovenne, pare
masticarla quotidianamente sul suo lettore mp3 (con rinnovata
sorpresa, e con grande soddisfazione, scopro poi che le fanze
sono sparite dal mio tavolo e stazionano in camera sua, in
movimento tra sopra il tavolo e appena sotto al letto: buon
segno).
Solar Ipse è fatta per grande parte di interviste,
fa parlare i ragazzi che suonano: chiede risposte, vuole sapere
e non si accontenta di una grattatina alla superficie. Mi
colpisce positivamente la disinvoltura con cui vengono accostate
espressioni musicali distanti, mi colpisce altrettanto positivamente
come tanta gente giovane che suona adesso possa trovare motivi
di ispirazione e curiosità nei musicisti che le generazioni
precedenti ritenevano sbagliati o comunque inadatti (per dire,
una volta quelli che suonavano la chitarra ascoltavano Jimi
Hendrix ed Eric Clapton, certo non John Fahey né Fred
Frith). Mi colpisce infine ritrovare pezzi di passato, un
passato recente anche un po’ mio, in forma di figli
di e nipoti di che suonano, scrivono, ragionano, si sbattono
e soprattutto non si rassegnano né si fermano. Come
sono sorpreso, come sono confuso, come sono felice. Mandategli
quello che potete, sostenete questa iniziativa, fategli sentire
che ci siete.
Contatti:
loriszecchin@gmail.com.
Marco Pandin
stella_nera@tin.it
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Luna
e un Quarto |
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“Duemila papaveri
rossi”
2 cd con libretto
I due cd contengono 37
canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni
stella*nera.
Una copia
15 euro
Per
saperne di più e per acquistarlo online clicca
qui |
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Paola Sabbatani
e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd
Un cd e un dvd, dodici
canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari
Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.
Una copia
cd+dvd 15 euro
Per
saperne di più e per acquistarlo online clicca
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