rivista anarchica
anno 42 n. 372
giugno 2012


cinema

 

Il cinema ai tempi del capitalismo selvaggio

In un’economia capitalistica come la nostra, un film, in quanto produzione intellettuale, ha tutti i requisiti per essere una opera d’arte, ma è necessariamente nello stesso momento anche una merce a causa delle diverse operazioni industriali e commerciali richieste dalla sua produzione e dal suo consumo.
L’utilità di un oggetto gli conferisce il suo valore d’uso, ma se questo oggetto è prodotto in partenza per lo scambio, esso è merce: e la destinazione naturale di una merce è il consumo. Un film è dunque contemporaneamente un valore d’uso per lo spettatore e un valore di scambio per il produttore.
Il prezzo di vendita, di conseguenza, deve essere superiore al prezzo di costo di quel tanto che costituisce il plusvalore. Questa possibilità di reddito è considerata indispensabile, si tratti di prodotti consumabili, d’oggetti materiali o di beni immateriali. In altri termini un bisogno reale, per essere soddisfatto, deve accompagnarsi al potere d’acquisto corrispondente; è per questo che la tendenza verso il progresso si è ben presto concentrata sulle sole invenzioni redditizie. La ricerca delle possibilità di massimo guadagno può, d’altra parte, entrare in contrasto con l’interesse dei consumatori nel caso in cui si consideri solo il valore di scambio senza preoccuparsi di fornire al valore d’uso un sufficiente grado di qualità.
La tecnica del cinema, le forme assunte dal suo sfruttamento e lo stesso contenuto intellettuale delle sue produzioni sono il riflesso dell’epoca in cui esso è nato e si è sviluppato: il film è per sua natura un prodotto del grande capitalismo; fin dal suo inizio fu sfruttato commercialmente, anche contro le intenzioni e il gradimento dei suoi inventori. (In origine, i creatori del cinema pensavano che il cinematografo avrebbe dovuto avere una utilizzazione esclusivamente scientifica).
Le possibilità di successo, la popolarità e perfino le possibilità d’esistenza dell’industria cinematografica stanno nell’adattabilità del contenuto dei film ai pensieri, alle concezioni e ai desideri dominanti nella società attuale.
Ecco quindi che il cinema di fronte al suo grande successo commerciale sdoppia la sua natura. Da una parte il cinema come forma d’arte, dall’altra come prodotto di puro intrattenimento, che nasconde comunque precisi messaggi.
Per la classe dirigente (al contrario degli autori) il cinema è una garanzia di stabilità, in quanto esso maschera o neutralizza, occupando l’immaginazione, le contraddizioni della struttura capitalistica. Per il pubblico è un mezzo d’evasione, un evento collettivo che supplisce alle insoddisfazioni materiali, fornendo una facile via di fuga da pensieri e preoccupazioni.
In questo regime di capitalismo selvaggio, i primi consumatori di film dapprima provenivano dagli strati delle popolazioni urbane con redditi scarsi o medi. Poi si è allargato ad ogni fascia sociale. Il successo del cinema fu immediato ed esponenziale. Ciò si è verificato perchè quando l’evoluzione sociale consentì una graduale diminuzione dei tempi di lavoro e quindi un aumento di tempo libero dedicato agli svaghi, il pubblico nelle sale aumentò. Con il suo sviluppo l’industria del cinema raggiunse anche i ceti rurali, che con il passare del tempo, tesero sempre più a identificarsi con le popolazioni urbane. I bisogni d’immaginazione di questo pubblico nascono da un genere di vita standardizzato il quale non lascia più che un piccolo posto alle aspirazioni individuali: essi erano e sono gli stessi di una grande quantità di uomini. È dunque ad un consumo di massa che il film deve rispondere, il che porta ad una produzione di massa.
“La produzione non si limita a rispondere ad un bisogno con la forniture d’un materiale appropriato; essa crea con tale materiale, dei nuovi bisogni” (Marx). La modica somma rappresentata dal prezzo di ogni atto di consumo, il minimo sforzo intellettuale che esso richiede, rendono possibile un aumento continuo della clientela. I bisogni di questi consumatori d’altronde, hanno subito alcune trasformazioni: all’origine era la fotografia animata, in quanto tale, che attirava il pubblico; poi l’interesse si spostò verso il contenuto del film.
Il cinema è un ramo dell’economia privo di tradizione: si è sviluppato talvolta in modo autonomo, talvolta copiando la sua organizzazione da altri rami. In un tempo brevissimo questa industria si è servita di quasi tutte le forme capitalistiche nate prima di essa, dall’impresa personale fino al trust. I grandissimi fattori di rischio ch’essa comporta e gli accorgimenti presi per diminuirli o sopprimerli danno alla sua produzione, alla sua distribuzione e al suo sfruttamento un carattere particolarissimo e unico.

Bruno Bigoni