rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


movimento anarchico

1968/1977 un decennio davvero rivoluzionario

di Massimo Varengo


Nelle lotte di piazza, certo, ma anche all'interno del mondo anarchico.
La nuova fase del movimento, la parola d'ordine dell'autogestione, la difficile integrazione tra vecchi e giovani, il protagonismo nelle fabbriche e nelle scuole. E gli anni '70.
Dietro e dentro, la storia delle organizzazioni anarchiche e di altre aggregazioni libertarie.
Elementi di storia e riflessioni di un militante FAI tuttora “in pista”.



Non vi è dubbio che il congresso internazionale di Carrara abbia rappresentato uno spartiacque tra vari modi di intendere l'esperienza anarchica, la pratica organizzativa, la stessa presenza libertaria nella società. Dopo di esso nulla sarà come prima, e non tanto per quanto nel Congresso si è espresso, ma per quello che ha evidenziato, reso tangibile, dando consapevolezza soprattutto ai giovani militanti che vi hanno partecipato (e per i molti altri che, non potendoci essere, ad esso facevano riferimento) della dimensione internazionale dell'anarchismo, del loro costituire una comunità mondiale portatrice di valori che per essere in piena sintonia con i movimenti di quegli anni dovevano rinnovarsi e problematizzarsi, pur nella relazione con le esperienze precedenti.
È innegabile che sul finire degli anni '60 le idee libertarie si rivitalizzino ed incontrino una crescente simpatia nelle giovani generazioni, nel mondo della scuola e della cultura.
I giovani si presentano quasi come una 'classe' intendendo con questo l'insieme unitario di bisogni e rivendicazioni che dal sud al nord, dall'est all'ovest, vengono riconosciuti e perseguiti in una logica di liberazione complessiva contro le istituzioni totali, dalla famiglia alla scuola, dalla fabbrica all'esercito alla ricerca di soluzioni alla ossificazione di un sistema sempre più centralizzato, gerarchico, chiuso di fronte ai nuovi comportamenti.
Ma è l'intera società che sembra spinta sulla strada della decentralizzazione, dell'autonomia e del federalismo, riscoprendo pensieri e pratiche abbandonate ormai da molto tempo. Lo statalismo appare in crisi, emergono richieste di autonomie locali e di controllo sociale di base, la stessa industria, e non solo per rispondere alle rivendicazioni di una classe operaia concentrata, si indirizza verso un'organizzazione produttiva decentrata. Negli stessi paesi sedicenti comunisti si cerca di trovare uno sbocco alla stasi sociale con esperienze di autogestione operaia e contadina. La ricerca di risposte alla definitiva burocratizzazione dei paesi a capitalismo di stato si alimenta dei nascenti miti castrista e maoista, letti ed enunciati in chiave antiautoritaria. Proudhon, Bakunin, Kropotkine ritrovano passioni ed interessi da parte di settori significativi della gioventù ribelle, dopo anni di oblio e di calunnie.
È in questo clima che gli anarchici si ritrovano a Carrara in un contesto di ribellione antiautoritaria montante. Una ribellione che provoca contraccolpi profondi nelle centrali partitiche e sindacali e che non lascia indenne il movimento anarchico, investito di critiche per le sue carenze ed il suo scarso protagonismo da parte di molti giovani partecipanti ai movimenti in corso .
Se il congresso di Carrara rappresenterà, in quel periodo, e sia pure casualmente, il momento più alto di un confronto interno tra diverse generazioni, tra diversi modi di leggere la realtà e di agire in essa, il dibattito non si esaurirà in esso e continuerà negli anni a venire, rinnovando in profondità assetti e orientamenti. D'altronde le problematiche che l'anarchismo doveva affrontare non erano di poco conto, quando fu chiaro che le tensioni libertarie della rivolta si stavano spegnendo, non solo a causa della reazione dei poteri forti, ma anche perché soffocate da avanguardismi apparentemente intransigenti che riproponevano vecchi armamentari di rivoluzioni lontane e fallite, e dalla nascita e dallo sviluppo di partiti e partitini che rispolveravano proposte e progetti ripescati nella variegata tradizione di matrice marxista, del tutto inadeguate alle istanze originarie del movimento.
Non dimentichiamo che la parola che più echeggiò in quella primavera del '68 fu AUTOGESTIONE, sia nelle università che nelle fabbriche, per poi propagarsi a macchia di leopardo su tutto il movimento internazionale; le sue espressioni furono l'azione diretta, il rifiuto della delega, l'assemblearismo, l'occupazione, l'insubordinazione alla legalità borghese, la violenza rivoluzionaria contro la violenza della repressione e dell'oppressione, la critica del leaderismo. L'esperienza delle collettività spagnole del 1936 riemerge dal gomitolo della storia ritrovando attenzione e stimolando energie.

Carrara – il raduno di fronte al Teatro
degli Animosi, sede del Congresso
Carrara, 31 agosto 1968, Teatro degli Animosi:
manifestazione pubblica

La mancanza dei quarantenni

Ma l'energia non fu sufficiente, e se la ribellione giovanile rappresentò il primo movimento rivoluzionario al di fuori della tradizione del movimento operaio organizzato la sua forza non fu tale da creare una condizione realmente rivoluzionaria e le forze della repressione, grazie alle minacce di intervento militare, alla politica delle stragi, al sostegno dei poststalinisti e dei socialdemocratici, riuscirono progressivamente nel loro intento di far retrocedere il movimento.
L'autogestione rimase all'orizzonte, non riuscì a concretizzarsi e la rivoluzione libertaria che aveva sbeffeggiato l'autorità ovunque si manifestasse, dalla famiglia alla scuola, alla fabbrica, al partito, al sindacato, rinculò disperdendosi nei mille rivoli della resistenza quotidiana, lasciando comunque un monito alle generazioni future, un monito che ritroviamo nelle parole di Sarkozy quando denunciava ‘lo spirito del ‘68 e il suo perdurante lascito nella società'.
Rifluito il movimento molti si rivolsero agli anarchici, il cui movimento apparve come il più coerente continuatore degli avvenimenti del maggio, l'agente rivoluzionario per eccellenza. In breve tempo adesioni e gruppi si moltiplicarono senza sosta.
Quello che appare subito chiaro è che non fu facile l'innesto tra la generazione dei vecchi militanti, che sono stati in carcere, hanno vissuto l'esilio, hanno combattuto – armi alla mano – il fascismo, portatori di un bagaglio enorme di esperienze e, purtroppo, di sconfitte e quella dei giovani contestatori, freschi di barricate e con le mani sporche di sampietrini. Il vecchio movimento appare ai giovani fermo, ideologicamente ed organizzativamente lontano dai fermenti in corso, arrovellato nei suoi annosi dilemmi dovuti fra l'altro alla scissione della FAI del 1965 e al lascito della sconfitta spagnola e della partecipazione al governo.
Poche sono le personalità che riescono ad entrare in sintonia con la gioventù ribelle, mentre prevale nei più la preoccupazione che scelte, giudicate immature, possano pregiudicare l'esistenza stessa del movimento.
La mancanza della generazione dei quarantenni si fa particolarmente sentire ed il divario di vita e di esperienze tra i vecchi ed i giovani pesa nella rielaborazione di un anarchismo che sia all'altezza dei tempi, di un anarchismo che sappia innestare nel vecchio tronco della propaganda divenuta ripetitiva e atemporale i nuovi germogli della critica sociale contemporanea. Solo i gruppi giovanili anarchici riuniti nella FAGI e nei GGAF, già operativi prima del '68, concentrati in poche località, e che hanno vissuto la contestazione Provo e Beat, appaiono in grado di dare risposte organizzative e teoriche ai tanti giovani che si rivolgono all'anarchismo per soddisfare il loro bisogno di concretezza rivoluzionaria.
Ma un po' dovunque si formano gruppi e circoli e non solo in zone ove la presenza anarchica si è mantenuta – con una sede, una bacheca per il giornale, il manifesto a scadenza rituale – ma anche in zone ove essa era di fatto scomparsa. Spesso ai margini del movimento 'ufficiale', se non addirittura profondamente critici, molti di questi gruppi si caratterizzano per l'unità di base con altre realtà ideologicamente differenti, ricevendo spesso e volentieri l'accusa di essere dei 'marxisti libertari'. Ove non si danno gruppi anarchici si assiste alla partecipazione libertaria nei vari collettivi di lotta i quali, dopo una fase iniziale, molto raramente manterranno le loro caratteristiche autogestionarie; infatti nella maggior parte dei casi si arriverà progressivamente alla formazione di un ceto politico che sfumerà le posizioni originarie in una forte politicizzazione ideologica a carattere partitico. Con l'uscita dalle università e l'incontro con le lotte degli operai impegnati sul fronte del rinnovo dei contratti, si avrà non solo l'avvio della costruzione di un blocco sociale potenzialmente rivoluzionario nella ricerca della soluzione alla questione sociale così come allora veniva posta, ma anche la spinta alla costruzione del soggetto politico per eccellenza, il partito, che avrebbe dovuto dirigere il processo di rottura e di cambiamento, secondo la tradizione marxista.
Spento il furore libertario, rimaneva da incasellare la spontaneità. Mentre gruppi e partiti si moltiplicavano e competevano tra loro per la conquista dell'eredità del PCI, per gli anarchici si poneva il problema di dare corpo alla resistenza sia ai processi di recupero istituzionale che di gerarchizzazione politica. Si assiste allora ad un impegno crescente sul terreno della lotta sociale, mentre il tema dell'organizzazione assume una importanza progressiva per la necessità evidente di creare coordinamenti di settore, di dare risposte su un piano territoriale più ampio.
Ed è proprio in questa situazione di grande conflittualità sociale e di ricerca della via migliore per uno sbocco rivoluzionario della crisi italiana, che la reazione passa al contrattacco e riprende l'iniziativa con 'la strategia della tensione', con la politica della strage. La spinta proletaria e la contestazione giovanile, che dal luglio 1960 in un crescendo continuo fino all'esplosione delle lotte del 1968/1969 avevano scosso dalle fondamenta il potere borghese, si dovettero misurare con una reazione belluina che non ebbe alcun timore di ricorrere alle bombe e al massacro di piazza Fontana, per fermare il movimento operaio e studentesco e costringerli sulla difensiva, sgominare gli attivisti politici e sociali rivoluzionari, criminalizzare ed emarginare gli anarchici.
La risposta del movimento fu immediata anche se lo scollamento di fatto esistente tra le organizzazioni storiche e i gruppi giovanili di recente formazione, favorì, all'indomani della strage, il sorgere di qualche titubanza da parte dei militanti più anziani.
Smascherare le menzogne dello Stato che voleva addossare agli anarchici la responsabilità di tante vittime innocenti divenne una necessità assoluta, non tanto e non solo riguardo al fatto specifico, ma per conquistarsi e mantenere un'agibilità sociale che veniva ridotta e negata dall'azione manipolatoria e repressiva delle forze della repressione. Furono anni di mobilitazione continua contro nemici potenti e agguerriti, interni ed esterni, in un mondo segnato dalla divisione in blocchi, dalla guerra cosiddetta fredda, dal sedicente confronto tra capitalismo e 'comunismo', che mascherava in realtà un'unitarietà d'azione contro gli oppressi e gli sfruttati nelle rispettive aree di influenza. Si trattava però di una mobilitazione a carattere sostanzialmente difensivo che aveva perso gran parte dell'energia e della baldanza, evidenziate nel maggio.
Il movimento anarchico, obiettivo dichiarato della manovra repressiva, rispose stringendo le fila e superando i motivi di polemica precedente, isolando le realtà giudicate possibili strumenti di ulteriori provocazioni e costruendo un'unità d'azione imperniata sulle strutture allora operanti sul campo, il Comitato nazionale pro vittime politiche, la Croce Nera, il Comitato politico giuridico di difesa, per assistere i compagni vittime della repressione, per smascherare gli assassini di Pinelli, per sostenere la campagna di denuncia della ‘strage di stato' e ribaltare lo stato di cose presenti. Parallelamente si trattava anche di non esaurire la propria azione su questo versante, anche se la situazione lo imponeva, ma di mantenere e sviluppare l'intervento nel luogo di lavoro, nella scuola, nel territorio per valorizzare l'immagine dell'anarchismo come portatore delle istanze di liberazione e di giustizia sociale.

Antonio Cardella, Umberto Marzocchi e
Alfonso Failla al tavolo della presidenza

I giovani dal 20 all'80%

In questa direzione erano particolarmente attivi i gruppi e i collettivi costituitisi sull'onda del movimento del '68 e che, di fronte alla nuova situazione, e alla necessità di dare risposte adeguate, venivano spinti a forme superiori di organizzazione, a carattere regionale e nazionale, individuando soprattutto nella FAI l'insieme anarchico più rispondente ai propri bisogni.
Se la strage di Milano aveva avuto come obiettivo la dispersione dell'anarchismo, i suoi risultati furono decisamente opposti; nella misura in cui fu chiara la natura reazionaria delle bombe, il movimento attrasse a sé nuove e numerose adesioni, aumentando la propria attività, raccogliendo simpatie crescenti in tutti gli ambiti, conquistando una visibilità mai avuta nel secondo dopoguerra.
Per dare un dato: al Congresso nazionale della FAI tenuto a Carrara nell'aprile del 1971 la partecipazione dei giovani era intorno al 80% del totale, mentre precedentemente al 1968 essa si aggirava sul 20%. Il movimento continuava a rinnovarsi, con l'adesione di energie nuove che rimpiazzavano quelle ormai esaurite. Il rinnovamento più significativo avveniva nella FAI data la sua particolare struttura organizzativa legata ad un patto associativo sostanzialmente generico e passibile di varie letture e detentrice di un organo di stampa a diffusione nazionale con cadenza settimanale, Umanità Nova.
Altre associazioni, come i GAF e i GIA, registravano invece cambiamenti meno significativi grazie al diverso modo di concepire l'organizzazione, basata com'era su piccoli gruppi d'affinità e di tendenza (i GAF) oppure sull'affermazione di un'ortodossia anarchica poco idonea a concessioni ai nuovi adepti (i GIA).
Prendendo in esame la FAI si può meglio capire come l'afflusso di energie nuove abbia prodotto modificazioni tali da innescare poi un processo di instabilità durato per un lungo periodo.
I temi dell'organizzazione, della 'lotta di classe' e della violenza rivoluzionaria divennero gli argomenti portanti di convegni e congressi. A partire dal congresso dell'aprile del 1971, svoltosi in un clima di grande effervescenza e determinazione, si imboccò la strada della collegialità, della rotazione degli incarichi e del rinnovamento profondo delle strutture federative in una superamento di fatto della situazione precedente, legata sostanzialmente ad una forma di personalizzazione degli incarichi, dovuta in primo luogo allo scarso ricambio militante.
La Commissione di Corrispondenza, con compiti di coordinamento definiti, venne affidata ad un gruppo di giovani fiorentini (Durruti) e non più a individualità, con l'impegno a ruotare l'incarico dopo un periodo di due anni. Parallelamente la redazione di Umanità Nova venne affidata alla responsabilità collegiale di un gruppo romano (Bakunin). Venne istituito un Consiglio Nazionale, composto dai delegati delle federazioni e dei gruppi di ogni singola regione, con il compito di coordinatore delle attività dei gruppi cui erano affidati i compiti di rappresentanza della federazione (CdC e UN). Si nominarono varie commissioni di studio affidate sempre a gruppi con l'obiettivo di approfondire le varie tematiche e proporle come tema di intervento della FAI. Si propose infine una presa di contatto con le altre federazioni, GIA e GAF, ed i gruppi autonomi per convocare un congresso generale che ponesse all'ordine del giorno la riunificazione del movimento.
Con queste decisioni si diede l'avvio ad un fase completamente nuova della vita associativa della FAI: sorsero e/o si svilupparono numerose federazioni a carattere regionale o provinciale, con un intervento reale sul proprio territorio.
La radicalizzazione dello scontro sociale, l'offensiva repressiva, le minacce di colpo di stato ed il dinamismo delle formazioni fasciste intanto richiedevano strumenti sempre più adeguati da parte del movimento che, forte della sua giovinezza e della sua determinazione, era piuttosto privo di basi solide, di concezioni teoriche pienamente condivise e di analisi aggiornate. L'adozione del principio marxista della 'lotta di classe' apparve allora a molti la chiave di comprensione della realtà sociale; si trattava di portare all'esasperazione il conflitto di classe individuato come motore della storia trascurando le profonde modifiche che l'organizzazione del lavoro e conseguentemente il movimento dei lavoratori aveva vissuto nel corso dei decenni trascorsi, con l'integrazione di fatto dei sindacati nell'istituzione statale e le continue rivendicazioni di garanzie avanzate nei confronti dell'apparato statale divenuto dispensatore di servizi. La dimensione umanistica dell'anarchismo, basata sullo sviluppo della coscienza critica, sul conflitto tra libertà ed oppressione, veniva da questi messa in sottordine e le rivendicazioni ad esse attinenti, come la battaglia per la liberazione della donna, contro l'invadenza clericale, il servizio militare, venivano sostenute solo se coerenti con l'impostazione classista di fondo. Vivace fu il confronto su questi temi che si riverberò poi sulle due altre questioni che animarono il movimento: quelle della violenza e dell'organizzazione.

Domingo Rojas interviene su Cuba
e viene contestato dai giovani francesi
del “movimento 22 marzo”
guidati da Cohn-Bendit

La lezione malatestiana a proposito di violenza

L'esigenza di rispondere alle provocazioni fasciste portò gli anarchici a essere presenti nelle mobilitazioni di piazza concluse spesso con scontri con squadristi e polizia. Proprio in uno di questi scontri morrà a Pisa sotto i colpi dei celerini il giovane compagno Franco Serantini. A Salerno invece Giovanni Marini, per difendersi da un'aggressione squadrista, colpirà con un coltello il fascista Falvella, uccidendolo. Nel nome di Marini si costituirono in tutt'Italia comitati di difesa che posero all'ordine del giorno la necessità della difesa militante dal fascismo e questo mentre anche in Parlamento si faceva avanti, da parte della sinistra, la richiesta di una messa fuori legge del MSI.
Lo scenario internazionale intanto si faceva più conflittuale: mentre si intensificavano le bombe sul Vietnam e i colpi di coda del fascismo si facevano sentire in Spagna, Grecia e Portogallo, mentre riprendeva con vigore in Irlanda del nord l'azione dell'IRA ed i gruppi armati palestinesi intensificavano i loro attacchi contro obiettivi civili israeliani, mentre in Germania faceva la sua comparsa la Banda 'Baader-Meinhof', nella FAI si sviluppò una dura contrapposizione tra la Commissione di Corrispondenza e la redazione di Umanità Nova, che prendendo a pretesto i durissimi scontri avvenuti a Milano l'11 marzo 1972 tra polizia e manifestanti di diversi gruppi della sinistra extraparlamentare (Lotta Continua, Potere Operaio, ecc.) e di alcuni gruppi anarchici di Milano e di Bergamo, produsse una rottura definitiva conclusa con l'uscita dalla federazione del gruppo fiorentino, incaricato della CdC, sostenitore di una linea di scontro frontale e della solidarietà nei confronti di chi risponde alla violenza dello Stato con la violenza, nella logica del colpo su colpo, arrivando a teorizzare il frontismo con altri gruppi non anarchici che condividessero l'uso della violenza nello scontro con i fascisti.
Più o meno sulla stessa linea troviamo una nuova pubblicazione uscita a Catania, 'La Sinistra Libertaria', emanazione di un gruppo autonomo che editerà più tardi la rivista 'Anarchismo' e che si caratterizzerà per la proposta di una relazione organizzativa di tipo informale tra gli anarchici e per il sostegno a forme di insurrezione armata, oltre che per una continua e dura polemica nei confronti della FAI e delle altre organizzazioni anarchiche.

Reazioni alla contestazione dei francesi.
Pietro Valpreda e Nico Berti; al centro
(seduto) Amedeo Bertolo e (alla sua sinistra)
Antonella Frediani

L'adozione della lettura malatestiana del carattere e dell'uso della violenza da parte degli altri gruppi federati promosse di fatto una chiarificazione di fondo che permise alla FAI di affrontare, criticamente ma saldamente, negli anni a venire l'esplodere della lotta armata.
Superata la problematica della violenza e accantonato il tentativo di scioglimento del movimento anarchico – in quanto manifestazione sovrastrutturale e autoritaria a prescindere – nel movimento 'reale' portato avanti da gruppi influenzati dalle teorie situazioniste, la questione dell'organizzazione e della sua strategia apparvero a molti elementi fondamentali da affrontare per superare i limiti nei quali ci si trovava ad operare: il problema non era più di come affermare l'autogestione sociale intesa come prassi collettiva, bensì diventava quello di come ci si organizzava per affermare le pratiche autogestionarie all'interno degli organismi di massa, di come in sostanza si organizzava la minoranza agente nei confronti della classe.
C'è da dire che non tutti i gruppi seguirono questa strada; ci fu chi, come il gruppo Azione Libertaria di Milano, diede vita all'esperienza del Centro Comunista di ricerche sull'Autonomia Proletaria, che pose le basi dello sviluppo di quella che fu l'autonomia operaia negli anni a venire, distanziandosi nei fatti dal movimento anarchico organizzato e preferendo forme di presenza interna al conflitto sociale e di elaborazione militante in un circuito in grado di attrarre militanti sia libertari che marxisti prevalentemente di formazione consiliare e luxemburghiana.
Dal canto loro i GAF con la pubblicazione della rivista A, prima, e con l'assunzione della redazione di Volontà poi, affinarono la loro elaborazione teorica, sia rileggendo i classici sia concentrandosi sull'analisi delle dinamiche sociali individuando nella tecnoburocrazia la classe emergente e sviluppando una dura polemica con quanti, nel movimento, rimanevano ancorati al classico dualismo classista, borghesia e proletariato ed alle sue forme di espressione, sindacato e minoranza politica.
I GIA, pur continuando la pubblicazione del loro periodico 'L'Internazionale', si incamminavano verso un lento declino, contrassegnato da polemiche nei confronti della FAI, accusata costantemente, a partire dalla scissione del 1965, di dirigismo e autoritarismo.

Faccia a faccia tra Daniel
Cohn-Bendit e Alfonso Failla

Il dibattito nella FAI

Nella FAI invece progressivamente si mise in evidenza da parte di molti l'insufficienza del Patto Associativo e le carenze del Programma, nell'illusione che una nuova forma organizzativa potesse sopperire alle difficoltà oggettive di un movimento generale in riflusso, alla scarsa incisività nel sociale, al bisogno autoreferenziale di rivoluzione, al tutto e subito. Contribuiscono poi al ripensamento organizzativo lo scontro che si registra nelle piazze con i fascisti e la polizia e i primi barlumi di forme di lotta armata in risposta ai ventilati colpi di Stato che periodicamente si affacciano, insieme a nuove stragi, nello scenario politico italiano.
Mentre la sinistra extraparlamentare si indirizza decisamente verso forme gerarchiche di organizzazione, più o meno tradizionali, accompagnate da servizi d'ordine più o meno militarizzati, nel movimento anarchico e in molti gruppi della FAI in particolare si fa strada l'illusione che solo un'organizzazione omogenea dotata di una strategia uniforme e basata sulla responsabilità collettiva possa rispondere alla potenza statale e alle esigenze del conflitto sociale. Si rispolverano gli statuti dei G.A.A.P. e la Piattaforma di Archinov e si sviluppa un teso confronto politico che, complice le diverse e contrapposte letture dell'attentato di Gian Franco Bertoli alla Questura di Milano (1973), sfocia in una dura contrapposizione nel corso di un Convegno unitario di movimento indetto sul caso Marini che porterà ad una grave frattura all'interno della FAI, tra i fautori di un'organizzazione di tipo piattaformista e chi invece sostiene l'impostazione che Malatesta e Fabbri diedero all'UAI nel 1920, impostazione raccolta nel 1965 e causa della rottura con i gruppi che daranno poi vita ai GIA.
Il tentativo piattaformista che coinvolgerà allora molti gruppi giovanili di recente formazione e di varia composizione si muoveva in sintonia con quanto succedeva all'interno dell'IFA ove il segretariato affidato ai francesi dell'ORA era portatore delle medesime istanze, estremizzando su un versante efficentista richieste organizzative molto diffuse.

Il direttore di “Umanità Nova”
Mario Mantovani, fautore
dell'apertura del Congresso
ai mass media

I gruppi fuoriusciti cercheranno poi di articolare la propria proposta indicendo un convegno nazionale di lavoratori anarchici per coinvolgere tutti i militanti attestati su posizioni di 'classe', un convegno che raccolse molte adesioni, soprattutto da parte della componente più giovane del movimento, che pose l'azione sindacale al primo punto dei propri interessi e che diede vita ad una fase di crescita di quello che si definì 'anarchismo di classe', articolato in varie e diffuse organizzazioni regionali, tipo l'ORA della Puglia, l'OCL della Liguria, l'OAM delle Marche, l'OARomana, il MACb di Bergamo e altre ancora. Un insieme di organismi che dopo una fase di grande attivismo attraversò poi una fase di profonda crisi non riuscendo a risolvere la grande disomogeneità esistente al suo interno e accantonata momentaneamente solo con il richiamo all'organizzazione forte, efficiente, omogenea, di tipo maggioritario, un modello questo destinato a sfilacciarsi sotto l'impeto del nuovo movimento che darà origine al 1977, per poi approdare nella costituzione della Federazione dei Comunisti Anarchici da parte di un insieme di realtà che ruotavano intorno al gruppo Crescita Politica di Firenze.
La FAI, dal canto suo, dopo la chiarificazione teorica sul tema della violenza e su quello dell'organizzazione, risolti comunque con un richiamo alla tradizione, manteneva vivo il dibattito tra le diverse anime ad essa associate, e affidando nel 1974 il giornale ad un gruppo di giovani milanesi (Lotta Anarchica) proseguiva nella sua scelta di rinnovamento che consentì alla FAI di essere comunque in sintonia con i movimenti in atto e momento di confronto con quanto si stava muovendo nel paese, pur nell'impossibilità o nell'incapacità di trovare adeguata sintesi alle istanze sollevate come nel caso del dibattito sulla ricostruzione dell'USI.
Il movimento del '77, l'opzione armata, la repressione che ne seguirà, apriranno poi un'altra fase per gli anarchici, una fase di lotta, di riflessione e di ulteriore chiarificazione che continuerà, a fasi alterne, fino ai giorni nostri.

Massimo Varengo

Un libro + CD

Il congresso di Carrara del 1968 fu il momento costitutivo dell'Internazionale di Federazioni Anarchiche, ma per il movimento libertario divenne anche la straordinaria occasione per un confronto allargato in un momento di vasta e profonda conflittualità sociale e per fare i conti con se stesso e le proprie proposte davanti al mondo allora contemporaneo. Numerosi e significativi i partecipanti: da Marzocchi a Failla, da Cohn-Bendit a Joyeux, da Federica Montseny a Domingo Rojas, ai tanti giovani che hanno poi costituito l'ossatura del movimento anarchico odierno. Questo lavoro (Alla prova del '68. L'anarchismo internazionale al Congresso di Carrara, a cura di Roberto Zani, pagg. 288 [con CD],
0 15,00) consiste nella raccolta di diverse fonti: registrazione audio dei momenti più importanti del congresso, rassegna stampa dei giornali italiani che se ne occuparono, commenti e analisi di studiosi e militanti, testimonianze dei partecipanti, documenti congressuali. Una raccolta di straordinaria importanza per la ricostruzione di un momento storico i cui effetti si riverberano ancora oggi sul nostro presente. Allegato al libro CD audio nell'originale lingua francese con la traduzione italiana.

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