rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


anarchici

“Tentare è un nostro dovere”

di Gianfranco Ragona


L'ostinata speranza di Gustav Landauer, anarchico controcorrente, una delle figure più stimolanti e attuali, e al contempo meno note, dell'anarchismo internazionale dello scorso secolo.
Questo saggio è la premessa al volume appena edito da Elèuthera.



Un romantico tedesco. Gli studi sulla figura e il pensiero di Gustav Landauer (1870-1919), pur limitati nel numero e talvolta parziali nel contenuto, sono riusciti nel complesso a valorizzare il suo contributo alla teoria anarchica e alla vicenda dell'anarchismo tedesco tra Otto e Novecento, (1) e questo a dispetto della mancanza di un'edizione critica dei suoi scritti.
In alcuni casi, sulla base di un procedimento accettabile soprattutto in ambito accademico, cioè lo studio della formazione intellettuale e la ricerca delle fonti d'ispirazione, è stato sottolineato (forse con enfasi eccessiva ma correttamente) come il romanticismo, o meglio il neoromanticismo che attraversò la cultura tedesca a cavallo tra i due secoli, abbia costituito il brodo di coltura delle sue idee politiche. A questo proposito, è significativo il passaggio di uno dei saggi qui tradotti, in cui Landauer, riferendosi alla musica di Beethoven, in particolare alla Sinfonia n. 9, che segna l'ingresso del sommo compositore nel pieno romanticismo, interpreta lo schilleriano Inno alla Gioia come un elogio della fratellanza:

E non dobbiamo neppure dimenticare le parole del poema di Schiller, messe in musica da Beethoven: «Tutti gli uomini diventano fratelli, là dove il tuo dolce soffio si posa». Non è vero quello che vogliono farci credere in questi tempi fiacchi e privi di sentimento a causa della loro debolezza, che a cagione della decadenza si vergognano dell'amore e della dedizione, e cioè che per noi la fratellanza sia diventata una parola vuota. Noi uomini dovremmo di nuovo imparare a proclamare con forza e decisione, prima e dopo la rivoluzione, che tutti gli uomini sono fratelli. (2)
Il romanticismo rappresenta effettivamente uno degli elementi costitutivi del pensiero landaueriano, benché non sia certo l'unico o quello preponderante. Esso si manifesta tanto nel richiamo alla mistica, almeno per quanto essa serva a mettere in rapporto l'individuo con il tutto, quanto nel riferimento alla cultura völkisch, nazional-popolare, che però in Landauer, invece di indulgere alla rivalutazione dei miti degli antichi germani, come accadde in vasti settori dell'intelligencija tedesca coeva, inclinava al recupero di un'idea dell'uomo quale essere comunitario, impensabile cioè nei termini dell'isolata singolarità e sempre frutto delle sue relazioni con gli altri.
Il peso del romanticismo sulle concezioni landaueriane si nota, infine, nell'impiego reiterato del termine Geist, che solo approssimativamente può essere reso nella nostra lingua come “spirito”. Landauer lo usava per lo più nel senso di una sintesi di sapere, sentire e volontà orientata a uno scopo, staccandosi, come altri intellettuali del tempo, da ogni forma di scientismo positivista applicato alla politica: rivalutava in tal modo il ruolo della soggettività nel processo storico, senza scivolare nell'adorazione liberale, ma poco libertaria, dell'individualismo esasperato.
L'insistente riferimento allo spirito ha causato alcuni problemi postumi all'anarchico, soprattutto in epoche traumatizzate dagli esiti nefasti dei fascismi europei, considerati sul piano ideologico e culturale figli dell'irrazionalismo. È pure comprensibile che il discorrere di spirito abbia ancora di che disturbare la nostra cultura politica, permeata di più, non certo meno, dal culto della tecnica e sottomessa all'autorità dei suoi sacerdoti, legittimati dall'alto e perciò irresponsabili, appunto i tecnici: della politica, dell'economia, della cultura ecc.
Dev'essere sottolineato, però, come nel discorso landaueriano il linguaggio che fa perno sullo spirito coincida con quello adoperato da Max Weber per descrivere lo Spirito del capitalismo, a sua volta risalente al dibattito sulle Geisteswissenschaften, cioè le scienze della cultura, impostato da Dilthey alla fine del secolo XIX. Landauer rielabora questa concezione dello spirito nei termini di ragione umana, che si dispiega in tutte le sue potenzialità, soprattutto quelle legate alla passione e allo slancio entusiastico verso un fine. Insomma, la parola, negli scritti di Landauer, non ha nulla a che fare con il mistero religioso o con un alcunché di sovrumano.
Egli sferzava anarchici e socialisti e talvolta, anche adottando un lessico ricercato e provocatorio, si prendeva gioco di loro, perché si dimostravano senza coraggio quando, per esempio, pensavano alla rivoluzione come un risultato dello sviluppo delle forze produttive o dell'evoluzione della specie, o del progresso della Storia con la maiuscola. Il che ai suoi occhi rischiava di condurre (come di fatto almeno in parte accadde) interi settori del movimento rivoluzionario, socialista e socialdemocratico, persino molti anarchici, (3) alla passività o peggio all'integrazione nel sistema. Per contro, il ricorso allo «spirito» evocava la necessità di ricercare e mettere a punto un insieme condiviso di ragioni di vita, di obiettivi assai concreti, di desideri e utopie; esprimeva, insomma, il bisogno di un nuovo clima culturale, che non avrebbe generato nulla da sé, ma senza il quale l'azione collettiva per la trasformazione sociale, ossia l'attività politica, nel senso più nobile d'impegno nella creazione di exempla di vita buona, non avrebbe potuto produrre nulla di stabile e duraturo. Si trattava di un approccio eminentemente dialettico, coerente con lo spirito del tempo.

Gustav Landauer


Il suo grande amico Martin Buber

Il destino di un eretico. La presente raccolta di scritti politici intende contribuire a colmare una lacuna nel panorama editoriale italiano. Infatti, l'unica opera di Landauer ad oggi tradotta è La rivoluzione, cui si accompagna qualche saggio ospitato sulle pagine di riviste lungimiranti. (4) La disattenzione per una delle figure più brillanti del pensiero politico tedesco a cavallo tra Otto e Novecento non riguarda soltanto l'Italia, e non è certo il prodotto di alcuna congiura del silenzio. Solo in epoca recente sono apparse traduzioni francesi e inglesi di alcuni dei suoi contributi più originali e interessanti e anche in patria egli ha dovuto attendere la fine del primo decennio del XXI secolo affinché vedesse la luce un'ampia raccolta di Scritti scelti, organizzata in diversi volumi. (5)
Per spiegare l'oblìo o il disconoscimento calati per molto tempo su Landauer, si sarebbe tentati di ricorrere a una spiegazione, per così dire, linguistica, giacché il suo tedesco è ricco, ricercato e spesso ostico, quindi difficile da tradurre; tuttavia, la contestuale difficoltà a trovare e leggere le sue sparpagliate opere perfino nella lingua madre suggerisce di ampliare il raggio di ricerca. (6)
Dopo la sua uccisione per mano di un plotone di guardie bianche durante la repressione della Repubblica dei consigli di Baviera, di cui era stato uno dei principali protagonisti ricoprendo per un breve momento anche l'incarico di Ministro della Cultura, si pose il problema di curare la sua memoria e di valorizzare il suo contributo teorico. Le basi per una riflessione e un lavoro in tal senso furono gettate dal suo grande amico Martin Buber, celebre studioso del chassidismo e filosofo del dialogo, che negli anni Venti radunò in volume le conferenze, gli articoli letterari, quelli sull'anarchismo e sul socialismo, e mise a disposizione una gran parte della corrispondenza. (7)
Dopo la sua morte avvenuta nel 1965, le nuove pubblicazioni, quando non riproducevano pedissequamente le edizioni buberiane, si rivelarono nel complesso insoddisfacenti, (8) soprattutto sotto il profilo scientifico, se si eccettua la pregevole raccolta di documenti del periodo rivoluzionario approntata da Ulrich Linse. (9) Gli studi e l'impegno filologico vennero ripresi un decennio più tardi, con la stampa di alcuni scritti giovanili predisposta da Ruth Link-Salinger: sebbene anche in questo caso mancasse una solida interpretazione storica, il lavoro era pionieristico e illuminava un momento fino ad allora trascurato del percorso di Landauer.

Misconosciuto? Era un pensatore anarchico

Sulla stessa traccia si mosse Siegbert Wolf in un'antologia del 1989 consacrata agli scritti sull'anarchismo, in cui accluse alcuni dei principali articoli giovanili. (10) Tali contributi favorirono la ripresa della discussione: anche grazie alla nuova documentazione, infatti, furono organizzati simposi internazionali che stimolarono l'ulteriore avanzamento degli studi. (11) Nel 1997, Rolf Kauffeldt e Michael Matzigkeit, nel rispetto di solidi criteri di scientificità, diedero alle stampe un gruppo omogeneo di opere dedicate alla critica culturale e letteraria, (12) e nello stesso anno apparve il primo volume delle Opere complete, incentrato sugli scritti e i discorsi sulla letteratura, la filosofia e l'ebraismo: il progetto non è stato portato a termine e i volumi annunciati per il 2000 sono restati sulla carta. (13) In compenso, in tempi recenti, ancora Wolf ha dato alle stampe i primi volumi degli Scritti scelti, qui già menzionati.
È trascorso quasi del tutto un intero secolo dalla sua scomparsa, eppure la storia della ricezione delle opere e del pensiero di Landauer si riassume in poche decine di righe. Alcune considerazioni possono aiutare a spiegarne le ragioni.
In primo luogo, Landauer era un anarchico, e nel Novecento l'idea di un ordine sociale senza Stato e senza autorità ha perduto presto ogni dignità d'esistenza, tacciato senza esitazione di utopismo, nel senso deteriore di ciò che non sarà mai in vece di ciò che ancora non è. In secondo luogo, egli era un rivoluzionario, e la storia novecentesca del pensiero politico europeo, dopo l'Ottobre russo e il Biennio rosso europeo, è la storia del progressivo tramonto dell'idea stessa di rivoluzione, un declino interrotto solo episodicamente e momentaneamente nel secondo Novecento e per lo più in contesti extraeuropei, fino a giungere addirittura ad associare ogni tentativo di dare un ordine radicalmente nuovo alla vita in società al pericolo, pressoché ineluttabile, del totalitarismo. Infine, Landauer era un ebreo, certo laico, ma che della cultura d'origine portò con sé un afflato messianico, valutato con scetticismo e sospetto da quei contemporanei colti o compagni impegnati, che si erano formati in un'epoca ancora contrassegnata dal culto assolutizzante delle scienze.
Tutte le dimensioni dell'identità politica ed esistenziale di Landauer non si presentarono mai allo stato puro, ma confluirono in una forma articolata dell'eresia: egli fu eretico in quanto rivoluzionario, persuaso che la rivoluzione non fosse certo «quel che pensano i rivoluzionari»; lo fu in quanto anarchico, non stancandosi mai di biasimare compagni e sodali per la loro incapacità di affrontare i problemi “politici” generali o, per esempio, per il loro disprezzo plebeo nei confronti dell'azione culturale, non riconoscendo che in quest'ambito non era possibile alcuna democrazia; e fu eretico in quanto ebreo, collocandosi in quella corrente dell'intellettualità ebraico-tedesca che coniugava il messianesimo escatologico con la dimensione utopico-libertaria della trasformazione sociale, come ha puntualmente messo in luce Michael Löwy, accostando la figura di Landauer a quelle di Benjamin, Bloch, Scholem, Mühsam e Buber. (14)
Tutto ciò può contribuire a spiegare il “caso Landauer”, portatore di un pensiero che aveva tutti le caratteristiche dell'eterodossia.


Quale rapporto tra libertà e uguaglianza

Il pensiero politico. Gli elementi “eretici” che caratterizzano la figura intellettuale e politica di Landauer s'innestano sul suo pensiero politico. (15) La riflessione risulta condensata in tre scritti principali, sviluppandosi intorno ad alcuni temi portanti (il cooperativismo, la rivoluzione, il rapporto tra anarchismo e socialismo), e procede parallelamente alla militanza attiva.
Le prime riflessioni sul complesso rapporto tra l'anarchismo e il socialismo (16) maturarono all'interno delle discussioni che agitavano il mondo del socialismo internazionalista, nel quale Landauer conquistò presto una posizione di rilievo, partecipando ai congressi della Seconda Internazionale di Zurigo (1893) e di Londra (1896). Benché proprio nella capitale britannica si fosse consumata un'insanabile rottura tra l'anarchismo e le correnti politiche del socialismo, egli continuò sempre a definirsi un «anarco-socialista», persuaso che il concetto di anarchismo (inteso nei termini di assenza di dominio e di Stato e, contestualmente, di riconoscimento e protezione del singolo dalle interferenze di ogni altra forma di potere) potesse integrarsi perfettamente con il concetto di socialismo, quale comunanza tra gli uomini dei beni necessari alla vita.
Si tratta naturalmente del problema, vecchio ma non invecchiato, del rapporto tra libertà e uguaglianza, questione che sottende l'intera trattazione del cooperativismo, il primo pilastro del suo pensiero. Nel suo principale contributo al tema, uno scritto pubblicato in forma anonima a Berlino nel 1895 con il titolo Una strada per la liberazione dei lavoratori, (17) Landauer avanzava una visione propositiva dell'anarchismo, in anni in cui era ancora vitale la «propaganda del fatto», una strategia che nei decenni finali dell'Ottocento aveva affascinato alcune correnti del movimento, inclini a giustificare omicidi politici, attentati a capi di Stato e di governo e a funzionari di polizia, o più in generale disposte a praticare una vera e propria “politica delle bombe” per seminare terrore nei luoghi di ritrovo delle classi privilegiate.
Il volumetto esprimeva senza incertezze l'opzione antiparlamentarista del giovane anarchico e parallelamente riconosceva un primato all'azione economica quale strada per la liberazione del lavoro attraverso l'edificazione di associazioni di produttori, autonome dal capitalismo ma situate entro i confini della società esistente. Si trattava di una visione che, da un lato, era debitrice della lezione di Pierre-Joseph Proudhon – il pensatore francese aveva strenuamente difeso l'ipotesi di creare nel presente «banche del popolo» dispensatrici di «credito gratuito» –, ma che, da un altro lato, per gli accenti economicisti che manifestava, anticipava gli sviluppi futuri del sindacalismo rivoluzionario, che in Germania, in effetti, si sarebbe affacciato solo alcuni lustri più tardi.
Landauer delineava la sua prospettiva in modo assai chiaro, respingendo ogni velleità legata alla conquista del potere politico, un atto che tutt'al più avrebbe rimpiazzato una classe dominante con i «cosiddetti rivoluzionari, che in modo dilettantesco, con decreti dittatoriali, tentano di far emergere la società socialista dal nulla». (18) I lavoratori, per contro, avrebbero dovuto conquistare passo dopo passo un potere sociale, organizzandosi in comunità di produzione, di consumo e culturali. Dapprima sarebbe stato necessario dar vita a cooperative di consumo, poi, sulla base dei risparmi realizzati aggirando i diversi livelli d'intermediazione del commercio, sarebbero sorte anche cooperative di produzione, il che avrebbe consentito ai lavoratori di affrancarsi dallo sfruttamento, dando prova concreta della possibilità di regolare la produzione e la distribuzione dei beni in armonia con i princìpi del mutuo appoggio, della solidarietà e dell'uguaglianza. Egli non intendeva fomentare l'illusione che questa strategia fosse in grado da sola di abbattere il sistema generando d'incanto una società perfetta, ma riteneva che una proposta seria di “transizione” non potesse limitarsi a evocare quasi magicamente l'alba di un giorno nuovo, capace di illuminare le macerie lasciate da un atto rivoluzionario improvviso e violento: il futuro doveva essere preparato nelle condizioni del presente creando “colonie” a base cooperativa nel seno di ogni Stato. L'immagine della società che ne scaturiva non era immobile, fuori dal tempo e dallo spazio, perché si trattava di organizzare comunità articolate sulla base della divisione sociale del lavoro e dei compiti, nel rispetto delle diverse competenze di ciascuno e delle esigenze collettive. Landauer respingeva così sia l'apologia della rivolta distruttrice di massa esaltata in passato da Bakunin, sia il carattere determinista e scientista del socialismo socialdemocratico, contrapponendo una concezione etica del mutamento che non attendeva nulla dallo “sviluppo”, ma richiamava l'intervento attivo degli uomini nella storia.
Su queste fondamenta gettate in età giovanile, Landauer costruì nel tempo il secondo pilastro del suo pensiero, una teoria della rivoluzione dai tratti decisamente originali. Il saggio in cui sintetizzava le sue concezioni, La Rivoluzione, fu redatto tra il 1906 e il 1907, nel pieno di una fase politica in cui la maggioranza delle forze socialiste organizzate d'Europa aveva ripudiato l'idea stessa che la rivoluzione fosse non solo possibile ma persino auspicabile. A cavallo tra Otto e Novecento, il Partito socialdemocratico tedesco aveva riposto in un cassetto ogni progetto del sovvertimento radicale degli assetti sociali dominanti: il dilaniante dibattito sul revisionismo della dottrina di Marx, con la critica della teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto (il capitalismo per Eduard Bernstein e seguaci non era affatto destinato a crollare) e dell'ipotesi dell'immiserimento crescente dei lavoratori (che anzi nei decenni avevano visto migliorare le proprie condizioni materiali di vita), aveva aperto la strada a politiche d'integrazione del movimento operaio in un sistema che, se democratizzato, sarebbe evoluto nel socialismo. Non per caso in quel periodo i socialdemocratici, che esercitavano un ruolo egemonico anche nella Seconda Internazionale, leggevano e facevano leggere – forzandone l'interpretazione – il celebre testamento politico di Friedrich Engels, l'Introduzione del 1895 alle Lotte di classe in Francia di Karl Marx, nel quale l'autorevole “co-fondatore” del materialismo storico giudicava che l'accesso al potere da parte del proletariato sarebbe potuto avvenire pacificamente e nel rispetto della democrazia formale, grazie alla mediazione di un potente partito di massa. Si trattava di opinioni che mal celavano una smisurata fiducia nella storia e nel progresso, di cui si scorgeva una direzione, il fatale esaurimento della spinta propulsiva del capitalismo accompagnata dalla necessità di socializzare i mezzi di produzione, almeno nelle compagini nazionali più sviluppate.

La rivoluzione come processo

Nella socialdemocrazia tedesca e nel socialismo internazionale le posizioni erano certo più articolate, ma sia gli scritti di Rosa Luxemburg – in particolare quello celebre del 1906, Sciopero generale, partito e sindacati, concentrato sulla rivoluzione russa dell'anno precedente, che per un momento aveva dato l'impressione di poter riaprire quel ciclo lungo della trasformazione socialista del mondo arrestatosi nel sangue della Comune parigina del 1871 –, sia i pronunciamenti di Landauer, che nella Rivoluzione impiegava e sviluppava un lessico comune alle opposizioni di sinistra del tempo, rappresentavano l'espressione teorica di esigue minoranze.
La rivoluzione non era un atto, ma un processo, che conteneva una dimensione spirituale orientata a una vasta riforma intellettuale e morale. (19) Landauer valorizzava gli uomini quali soggetti attivi della storia, non meri strumenti nelle mani della provvidenza, quand'anche essa si presentasse sotto le vesti delle Spirito assoluto, chiamato di volta in volta, Ragione, Libertà, Progresso. Ma, soprattutto, il saggio era fonte di scandalo per l'inedita lettura della modernità che prospettava: la rivoluzione, contrariamente a quanto avevano sempre creduto i rivoluzionari, non era un fatto bensì un'epoca, una lunga transizione inaugurata col tramonto del medioevo e la riforma protestante, ma non ancora compiuta. In questa visione, il singolo evento rivoluzionario, sempre ricorrente nella modernità, veniva ridotto a un «miracolo d'eroismo», in cui si manifestavano provvisoriamente le possibilità dell'avvenire sino a quel momento latenti, in attesa dell'autentico «spirito della rigenerazione». Tale spirito, ossia la comunanza di ideali, di ragioni di vita, di obiettivi alti, sarebbe apparso solo quando si fosse incominciato, anche in piccolo, a edificare nella realtà ostile non tanto oasi felici nascoste allo sguardo del potere e del mercato, ma tasselli di un grande mosaico ideale, il socialismo. Landauer manifestava in questo modo la sua etica di emancipazione: la prefigurazione razionale della città futura, espressa in termini di desiderio e di possibilità, doveva consentire di derivare coerentemente i mezzi dell'azione collettiva. Lo spirito si sarebbe concretato perciò in istituzioni comunitarie, capaci di produrre in forma cooperativa e armonica valori d'uso necessari alla vita di ciascuno. Sulla scorta delle intuizioni di Buber, egli non immaginava tali comunità come presociali, anzi il contrario: si trattava d'inedite forme di convivenza contrapposte alla società borghese e capitalistica, in cui la maggioranza era abbassata a mero ingranaggio di un meccanismo totale di sfruttamento e oppressione da parte di minoranze organizzate. Landauer intendeva riportare a galla l'essenza comunitaria del singolo, non considerato mai una potenza autonoma in lotta con potenze uguali e contrarie, senza inclinare, per altro, verso un'idea di comunità come una sorta di “superindividuo”: la comunità costituiva una relazione sociale basata sull'eguaglianza, la solidarietà e la vita in comune, in un contesto in grado di valorizzare le specificità di ciascuno. Un decennio più tardi, avrebbe creduto di scorgere nei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati, nati nel vortice della rivoluzione tedesca, una manifestazione tangibile di questo archetipo:

Io vedo in quel che è iniziato (e si chiama con termini rivoluzionari: Consigli degli operai, dei soldati, dei contadini, come in tutte le rivoluzioni), vedo l'articolazione di tutto il popolo in corporazioni organiche, vedo in tutto questo il rinnovamento di un parlamentarismo decaduto, deprecabile e indegno, che è scomparso, morto e sepolto, sconfitto dalla rivoluzione e che non riapparirà sotto nessuna forma [...]. (20)

Infine, nel 1911, Landauer diede alle stampe l'Appello al socialismo. (21) Lo scritto, per molti versi, tradiva il proprio carattere originario: un'appassionata conferenza pronunciata nel 1908 da un oratore d'indiscusso talento, ma disorganica e frammentaria; d'altro canto, però, riassumeva assai bene e approfondiva le antiche idee sul carattere coessenziale dell'anarchismo e del socialismo, costruendo così, sulle basi gettate negli anni precedenti, il terzo pilastro del suo pensiero politico.
Il volume proponeva prima di tutto un ragionamento articolato sulle principali cause della servitù nella società capitalista, tra esse la proprietà privata della terra, che strappava ai più la possibilità di accedere a uno dei presupposti essenziali della produzione, costringendoli a un legame di dipendenza economica dai proprietari. Landauer non si fermava a tale constatazione, ma esaminava anche il meccanismo della circolazione delle merci: in un'economia caratterizzata dallo scambio capitalistico, l'accesso ai beni, sia per il consumo diretto sia per la produzione, era limitato dal possesso di denaro, una merce del tutto particolare perché poteva aumentare di valore nel tempo, sicché i ricchi godevano del privilegio di limitarne e controllarne la circolazione, riproducendo il sistema sempre uguale a se stesso. Ispirandosi all'economista völkisch Silvio Gesell, proponeva quindi l'introduzione di una moneta che si deprezzasse col tempo, in modo tale da favorire un più rapido impiego della ricchezza prodotta socialmente. Non trascurava, infine, di esaminare il plusvalore, termine con il quale, però, egli definiva lo scarto tra il prezzo di vendita di una merce e il suo valore effettivo, prendendo le distanze dalla concezione marxiana, secondo cui esso si realizzava nel processo di produzione di merci a causa delle condizioni determinate dai rapporti di classe, non certo nel processo di circolazione.
Landauer interpretava la società del capitale come totalità, che permeava sia le condizioni sociali della vita sia la politica. Lo Stato svolgeva un compito essenziale nel garantire le condizioni dello sfruttamento, stabilendo le norme dello scambio e dell'accesso alla proprietà della terra e agli strumenti di lavoro. Ma cosa intendeva egli con il termine capitale? A suo giudizio, si trattava di «spirito comune» (Gemeingeist), ossia un'accumulazione di sapere e saper fare finalizzata all'appagamento tanto dei bisogni primari quanto di quelli intellettuali, tramandati nel tempo e patrimonio della comunità; pertanto non respingeva tout court l'utilità del capitale, in quanto si trattava di una relazione tra gli uomini, ossia di uno «spirito che unisce, nella sua realtà economica». In questo senso, il socialismo lo avrebbe conservato, istituendo un sistema nel quale ciascuno avrebbe lavorato per sé, ma senza sfruttare il lavoro altrui, ricevendo integralmente il frutto del proprio sforzo e godendo liberamente dei prodotti derivanti dalla divisione del lavoro e dallo scambio. Per mettere in scacco il sistema vigente, tuttavia, i lavoratori avrebbero dovuto innanzitutto sottrarsi alla presa del potere economico e politico incominciando a costruire una sorta di “controsocietà”: un elemento questo che raccordava l'Appello non solo allo scritto sulla Rivoluzione, ma anche al vecchio opuscolo sul cooperativismo.
In questo contesto, invece di designare un soggetto sociale specifico capace di farsi carico di questa grande trasformazione, Landauer riteneva che tutti gli individui decisi a «incominciare» e i gruppi capaci di unirsi nelle cooperative di consumo e di produzione avrebbero costituito le prime cellule di un «popolo nuovo», portatore dello spirito comunitario e della rigenerazione.
Si trattava d'inaugurare un complesso «percorso» di fuoriuscita dalla società esistente e di recupero di un rapporto con la terra e la natura, che – ipotizzava – avrebbe ricostruito il legame sociale su basi solidaristiche e comunitarie. Una strada che non poteva certo incrociarsi con il marxismo dominante all'epoca, che presentava il socialismo quale prodotto dello sviluppo «dialetticamente» necessario del capitalismo, e neppure con il debole anarchismo tedesco d'inizio secolo. Per questo dal 1909 al 1915 s'impegnò in prima persona nella costruzione di un'autonoma organizzazione, l'Alleanza socialista (Sozialistischer Bund), che all'apice della sua attività raccolse alcune centinaia di militanti e simpatizzanti in tutta la Germania, con l'obiettivo di creare comunità: nascoste allo sguardo del potere, funzionando in forma cooperativa e articolandosi secondo una struttura federalista, esse sarebbero state capaci di presentare un modello del tutto alternativo del vivere insieme.

Gianfranco Ragona


Il recupero del concetto di “patria”

Sul limitare del baratro. La frenetica attività pubblicistica, la mole di discorsi, la messe di lettere inviate e ricevute negli anni in cui animò il «Sozialist», giornale che costituiva l'organo ufficiale dell'Alleanza Socialista, rimandano a un tema classico della retorica rivoluzionaria, quello del rischio d'implosione della civiltà fondata sul Capitale e sullo Stato, che Landauer raccolse in un passaggio cruciale dell'Appello per il socialismo: «Forse nessuna epoca come la nostra ha avuto dinanzi agli occhi quello che si suol chiamare il tramonto del mondo». (22)
Il tema, che la storiografia del e sul socialismo ascrive per ragioni classificatorie alla declinazione soggettivista del socialismo internazionale, era comparso nitidamente nel celebre Manifesto marx-engelsiano del '48, in cui veniva presentata una visione drammatica della storia quale storia di conflitti fra classi, che potevano concludersi con «la comune rovina» delle forze in lotta. Su questa visione faceva perno l'esigenza dell'impegno politico del proletariato, incitato a organizzarsi nella forma del partito, perché in sé e per sé lo sviluppo delle forze produttive non garantiva affatto la nascita del socialismo, anzi il contrario. Detto altrimenti, e sfruttando la celebre variazione sul tema proposta da Rosa Luxemburg con la fortunata formula d'inizio secolo, «Socialismo o barbarie», il socialismo non era destinato a realizzarsi per la forza delle cose: lo sviluppo contraddittorio del capitalismo conduceva a un accrescimento inaudito delle risorse a disposizione dell'umanità e nel contempo, a causa della proprietà privata dei mezzi di produzione, anche alla concorrenza spietata sui mercati, all'impiego irrazionale delle risorse e a una polarizzazione rovinosa delle ricchezze. Quindi, di fronte a un dilemma obiettivo – o una svolta di civiltà sotto le insegne del socialismo, o il suo tramonto, tramite crisi e guerre fratricide – s'imponeva una scelta di natura etica, o per usare il lessico di Landauer, una svolta di natura spirituale:

Siamo come uomini primitivi di fronte all'indescritto e indescrivibile, non abbiamo niente davanti a noi, ma tutto solo dentro di noi: dentro di noi la realtà ovvero la forza non dell'umanità a venire, bensì dell'umanità già esistita e per questo in noi vivente e consistente, in noi l'operare, in noi il dovere che non ci travia, che ci conduce sul nostro sentiero, in noi l'idea di ciò che deve diventare realtà compiuta, in noi la necessità di uscire da sofferenza e umiliazione, in noi la giustizia che non lascia nel dubbio o nell'incertezza, in noi la dignità che esige reciprocità, in noi la razionalità che riconosce l'interesse altrui. In coloro che provano questi sentimenti nasce dalla più grande sofferenza la più grande temerarietà; coloro che vogliono tentare, malgrado tutto, un'opera di rinnovamento, orbene, si devono unire. (23)

La fine della civiltà sembrava una possibilità concreta e veniva espressa in un linguaggio che si rannodava al clima intellettuale complessivo del tempo: il tramonto della civiltà o dell'Occidente, come avrebbe detto Spengler pochi anni più tardi. (24) Quest'eventualità avrebbe poi assunto forme reazionarie nella cosiddetta «rivoluzione conservatrice» e nel nazismo, ma non certo per necessità naturale: anzi, essa avrebbe potuto approdare nell'opposta consapevolezza del compito emancipatore e liberatorio di un «popolo nuovo», dando origine a un'inedita configurazione egualitaria dei rapporti sociali.
Il popolo, dal punto di vista strettamente sociologico, non fu mai pensato da Landauer come un tutto indifferenziato, bensì articolato in gruppi e strati sociali molteplici e conflittuali. Il fatto che egli non fosse un classista, almeno nel senso del marxismo politico, non significa affatto che non riconoscesse l'esistenza delle classi, ma attesta solo il rifiuto di attribuire a una classe specifica l'onere e il privilegio di una fantomatica transizione per mezzo dello Stato: solo «quando si saranno individuate le pietre angolari più adatte alla costruzione, potremo individuare anche gli architetti» (25).
Come l'idea di popolo, anche l'idea di patria e quella di nazione, concetti appropriati dalla destra conservatrice, in Landauer furono recuperati con un segno del tutto opposto: la patria era quella ideale, socialista e libertaria, e la nazione era quella in cui ciascuno poteva riconoscersi in forza di una condivisione della lingua, della cultura, del folclore, della mentalità, trascendendo naturalmente i confini statali.

Il calvario dell'anarchico ebreo tedesco Erich
Mühsam in un disegno di George Grosz


L'anomalia anarchica di Landauer

Stato e libertà. L'Appello costituiva anche il compendio di un metodo di lavoro: la voce, il discorso, la riflessione, l'agitazione che lo attraversavano, rappresentano l'espressione paradigmatica di un modo d'essere insieme politico e impolitico. Impolitico, per un verso, perché era sulle relazioni tra gli uomini in tutti gli aspetti della vita che Landauer puntava per inaugurare un'epoca del tutto nuova: una vera e propria mutazione antropologica. Etico-politico, per un altro verso, perché egli continuava a credere in forme forti di azione collettiva, collocate al di fuori della sfera d'influenza dello Stato ma orientate a un fine dai contenuti spiccatamente universalisti: l'uguaglianza, la pace e, in esse e grazie a esse, la libertà.
Lo Stato costituisce una realtà per chiunque nella modernità s'interessi della vita civile, della polis, e perciò Landauer non accettava di chiudere gli occhi davanti ai parlamenti e ai governi, magari limitandosi a sfuggire le divise e i doganieri cullandosi nell'illusione che bastasse rifiutare l'obbedienza perché il re apparisse in tutta la sua nudità. Benché apprezzasse la denuncia morale di Étienne de la Boétie – un'invettiva rivolta contro i sudditi che cedono a quel vizio mostruoso rappresentato dall'abitudine a servire –, quest'anomalo anarco-socialista tedesco non arretrò di fronte all'esigenza di fornire un'interpretazione originale dello Stato, considerato un surrogato dell'antico spirito comunitario, ormai spento. Non quindi un oggetto che dall'esterno coartava individui e gruppi, ma un rapporto sociale corrispondente a una fase dello sviluppo della modernità, in cui gli uomini non erano ancora in grado di dare soddisfacimento ai loro bisogni in maniera autonoma. Lo Stato, però, si perpetuava invadendo i campi dell'autogoverno comunitario ogni qualvolta pretendeva di occupare spazi che le comunità erano in grado di gestire autonomamente nell'interesse collettivo. In questo senso, sul crinale che separava lo Stato legittimo dallo Stato in eccesso (sono espressioni buberiane) (26) si collocavano i «precursori» che, resistendo alle pressioni contrarie, tentavano di spingere sempre più avanti la linea di confine tra il socialismo effettivo e quello possibile, operando nella realtà per rendere lo Stato superfluo, non per distruggerlo. Solo riconoscendone l'effettività, e in un certo modo la legittimità, sarebbe stato possibile sottrarre allo Stato il terreno sotto i piedi.
L'anomalia anarchica di Landauer risalta anche nel modo in cui affrontò il tema della libertà: «Mi chiedo – scriveva sempre nell'Appello – se siamo sicuri di essere in grado di sopportare tutto quello che adesso comincia a imperversare al posto dello spirito mancante, fra istituzioni coercitive che lo sostituiscono, se saremo capaci di sopportare la libertà senza lo spirito, la libertà dei sensi, la libertà del piacere scevro da responsabilità». (27) La libertà poteva ridursi pericolosamente a una vuota frase, a una vana parola blandita dallo stesso potere autoritario. Egli era ben conscio di essere un provocatore quando attaccava le «scatenate e sradicate femminelle», (28) ma non gli riusciva di vedere alcun atto di libertà nell'individualistica liberazione dei costumi, paventando che una mal intesa libertà non comunitaria potesse approfondire le crepe del corpo sociale, con la perdita di legami autentici, in un mondo che, pur trovandosi al limitare del baratro, sopravviveva così com'era proprio a causa del progressivo allentamento di ogni vincolo tra gli uomini. Un popolo delle libertà sans phrases non poteva che essere portatore del peggiore di tutti i mali: l'individualismo atomistico, dove il singolo era più facilmente alla mercé del pensiero dominante e dello Stato. Nello stesso tempo, Landauer richiamava un'idea alternativa di libertà, che da sola non era nulla, ma poteva assurgere a supremo principio, se accompagnata dall'uguaglianza, dal rispetto dell'altro, dalla condivisione. In tal senso, si potrebbe dire, l'individuo è comunità – perché la porta in sé dalla nascita, la sviluppa nell'apprendimento e nella crescita, nel lavoro e nella riproduzione –, e l'appartenenza comunitaria garantisce a tutti la tanto anelata libertà.

Incominciare. Durante la Prima guerra mondiale Landauer fu tra i pochi intellettuali tedeschi che tentarono di attivare un movimento pacifista in Germania. (29) Per anni aveva denunciato i pericoli della guerra dalle colonne del «Sozialist», e continuò in questo senso finché gli riuscì di tenerlo in vita. (30) Poi, fu attivo nell'effimera esperienza del Forte-Kreis (Circolo di Forte) al quale per un breve momento si accostò anche Romain Rolland; militò nel Bund Neues Vaterland (Lega della nuova patria), associazione pacifista di maggiore respiro, di cui fecero parte tra gli altri Albert Einstein e Kurt Eisner, il futuro leader della Repubblica dei consigli di Baviera; infine aderì al Zentralstelle Völkerrecht (Ufficio centrale per il diritto delle genti), guidato dal democratico Ludwig Quidde, Premio Nobel nel 1927, che predicava una pace senza annessioni.

Un altro mondo è possibile. Qui e ora

Negli anni del conflitto Landauer non si stancò di pronunciarsi sui fondamenti della sua etica, denunciando la stridente contraddizione tra l'immagine chiara e serena di una possibile umanità unita in pace e le condizioni reali del presente. Solo così, richiamandosi ai «fondamenti», gli apostoli di un'epoca nuova avrebbero potuto ritrovarsi e creare un'alleanza non compromessa con i partiti o il movimento di classe. In un discorso pronunciato durante il congresso del Forte Kreis, disse in maniera eloquente:

Profeti, mistici, filosofi, poeti, artisti, uomini di buon cuore di tutti gli strati sociali del popolo e, inoltre, singoli eruditi, in sempre maggior numero, concordano pienamente sul fatto che la condotta reciproca dell'umanità e le corrispondenti istituzioni devono e possono essere rese armoniche grazie alla giustizia, alla bontà, alla dignità e alla convinzione che albergano in noi. (31)

A chi altri appellarsi, del resto? Il movimento anarchico tedesco era silente o su posizioni ambigue, tanto che lo stesso Landauer espresse tutto il suo disappunto di fronte alle posizioni di Kropotkin, schieratosi precocemente in appoggio delle forze dell'Intesa, persuaso che una vittoria della Francia avrebbe riaperto un ciclo di progresso e rivoluzione per tutti i popoli d'Europa: «Egli ha assolutamente torto [...]. Non è mai successo che la guerra, la guerra vittoriosa, abbia condotto alla libertà». (32) E la sinistra socialdemocratica, ugualmente, non lo convinceva, tanto che, quando l'amico Erich Mühsam lo sollecitò a prendere contatti con quella parte dell'opposizione, che all'epoca comprendeva anche il vecchio Bernstein, e a spendere il suo nome in difesa di Karl Liebknecht, arrestato il 1° maggio 1916, oppose un diniego, tormentato ma onesto:

Ciò che per molti anni la socialdemocrazia ha trascurato e rovinato e sotterrato, non si può far resuscitare durante una guerra. Nutro la più profonda stima per il coraggio personale di Liebknecht e ho sincera compassione per il suo destino. Ma pensando alla bancarotta della socialdemocrazia è molto significativo che tutto il materiale rivoluzionario infiammabile si vanifichi nelle sterili esplosioni di un singolo uomo [...]. (33)

Malgrado il rispetto per Liebknecht, insomma, i riformatori sociali autentici dovevano esigere chiarezza e “distinguo” sui punti decisivi della rivoluzione e del socialismo del futuro. Peraltro, la sinistra socialdemocratica invocava la rivoluzione quale atto di rottura politico, il che strideva con gli intenti libertari di Landauer e le sue priorità: l'urgenza del momento era la pace, non la conquista del potere.
Ciononostante, nello stesso 1915 egli scrisse un articolo destinato al movimento e ai singoli socialisti, che presentava un appello all'unione e all'azione nel solco dell'antica prospettiva ideale:

Il socialismo è una rappresentazione da veggenti che scorgono chiara innanzi la possibilità di trasformare il tutto. Esso comincia però come gesto degli uomini d'azione che si separano dal tutto, così com'è oggi, per salvare la propria anima, per servire il proprio Dio. L'affermazione: «Noi siamo socialisti» rappresenta la nostra convinzione che il mondo, gli spiriti, gli animi devono trasformarsi completamente, se si trasformano le basi sociali [...]. La scoperta di essere costretto in condizioni indegne costituisce il primo passo per la liberazione da queste stesse condizioni. (34)

Prevedendo le difficoltà del dopoguerra e intravvedendo in anticipo i bisogni di cambiamento che sarebbero sorti, avvertiva l'esigenza di chiarire i compiti e gli obiettivi finali dei socialisti:

Il socialismo è innanzitutto opera dei socialisti, opera che sarà tanto più difficile, quanto più esiguo sarà il numero di coloro che osano tentarla [...]. Socialista, assolvi adesso, una volta per tutte, ai tuoi compiti! Per le masse, per i popoli, per l'unità, per la trasformazione della storia, per la giustizia nei rapporti economici, nella vita in comune, fra le generazioni e nell'educazione, tu non hai bisogno immediatamente delle vaste masse, bensì in primo luogo di precursori. Solo così è possibile incominciare. (35)

In questo periodo, pertanto, i timori, il senso della crisi di civiltà, l'impotenza di fronte alla terribile carneficina bellica, non generarono in Landauer alcuna interruzione dell'impegno, e neppure si attenuò in lui il desiderio e la volontà di contribuire a costruire un mondo migliore, nell'antica consapevolezza che uno spirito di edificazione sarebbe nato e avrebbe mosso gli uomini, quando questi si fossero posti all'opera.
E proprio nella parola cominciamento alberga il lascito più autentico di Landauer, l'anarco-socialista, l'ebreo, il romantico tedesco: immune dai sacri brividi patriottici che giustificavano o esaltavano l'«orrendo massacro», egli riuscì ad associare alla cupa consapevolezza che un altro mondo fosse necessario, l'ostinata speranza ch'esso fosse anche possibile, qui e ora. Il che, nel dopoguerra, fece di lui una delle menti più appassionate della Rivoluzione tedesca.

Gianfranco Ragona

Note

  1. Segnalo in particolare: Wolf Kalz, Gustav Landauer. Kultursozialist und Anarchist, Meisenheim am Glan, Verlag Anton Hain, 1967; Charles B Maurer, Call to Revolution. The Mystical Anarchism of Gustav Landauer, Detroit, Wayne University Press, 1971; Eugen Lunn, Prophet of Community. The Romantic Socialism of Gustav Landauer, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1973; Siegbert Wolf, Gustav Landauer zur Einführung, Hamburg, Junius, 1988. In italiano rimando a G. Ragona, Gustav Landauer. Anarchico, ebreo, tedesco, Roma, Editori Riuniti UP, 2010.
  2. Cfr. La nascita della società, p. 126.
  3. Alcuni dei primi compagni anarchici che con Landauer animarono all'inizio degli anni Novanta lo stanco movimento tedesco, rientrarono più tardi tra i ranghi della socialdemocrazia o nei sindacati che alla SPD erano legati: tra essi, ad esempio, Eugen Ernst (1864-1954) che, una volta recuperato, fu dirigente del Partito per moltissimi anni, prima di aderire alla Partito comunista alla fine dell'esperienza nazista; Paul Kampffmeyer (1864-1945) e Hans Müller (1867-1950), esponenti dell'Unione dei Socialisti Indipendenti, formazione libertaria nata nel 1891 dalla convergenza tra esponenti dell'anarchismo berlinese e fuoriusciti dal Partito socialdemocratico.
  4. G. Landauer, Die Revolution, Frankfurt a.M., Rütter & Loening, 1907, tr. it. a cura di Ferruccio Andolfi, Reggio Emilia, Diabasis, 2009 (una prima versione italiana apparve all'inizio degli anni Settanta a cura di Anna Maria Pozzan, Assisi, Carucci, 1970). Si veda inoltre: G. Landauer, Attraverso la separazione verso la comunità, «La Società degli Individui. Quadrimestrale di teoria sociale e storia delle idee», X, n. 30, 2007/3, pp. 123-140, traduzione del saggio landaueriano Durch Absonderung zur Gemeinschaft, apparso originariamente in Heinrich und Julius Hart et al., Die neue Gemeinschaft, ein Orden vom wahren Leben, Leipzig 1901, pp. 45-68. Esiste poi un'antica versione italiana, imprecisa e lacunosa, dello scritto Von Zürich bis London, Pankow bei Berlin, Verlag von Gustav Landauer, 1896: Da Zurigo a Londra, «Biblioteca di Studi Sociali» (Forlì), n. 1, 16 pp.
  5. Cfr. G. Landauer, La Communauté par le retrait et autres essais, traduits et présentés par Charles Daget, Paris Éditions du Sandre, 2008 e Id. Un Appel aux poètes et autres essais, traduits et présentés par Charles Daget, Paris Éditions du Sandre, 2009; in inglese si veda G. Landauer, Revolution and other Writings. A Political Reader, Edited and translated by Gabriel Kuhn, Oakland, CA, PM Press, 2010; in tedesco, dal 2008, sono in corso di pubblicazione le Ausgewählte Schriften, a cura di S. Wolf, Lich/Hessen, Verlag Edition AV: sono attualmente stati pubblicati i volumi: Anarchismus (2008), Internationalismus (2009), Antipolitik (in due tomi, 2010), Nation, Krieg und Revolution (2011); Skepsis und Mystik (2011).
  6. Questo osservava alcuni anni or sono Rudolf De Jong, Gustav Landauer und die internationale anarchistische Bewegung, in Gustav Landauer im Gespräch. Symposium zum 125. Geburtstag, a cura di Hanna Delf e Gert Mattenklott, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1997, p. 221. Sul linguaggio di Landauer, cfr. l'intervento di Nino Muzzi, infra, pp. 31-38.
  7. Cfr. G. Landauer, Shakespeare. Dargestellt in Vorträge, a cura di Martin Buber, 2 voll., Frankfurt a.M., Verlag Rütten & Loening, 1920; Id., Der werdende Mensch. Aufsätze über Leben und Schrifttum, a cura di M. Buber, Potsdam, Gustav Kiepenheuer Verlag, 1921 (nuova edizione con il titolo Der werdende Mensch. Aufsätze über Literatur, con un saggio di Arnold Zweig, Leipzig/Weimar, Gustav Kiepenheuer Verlag, 1980); Id., Beginnen. Aufsätze über Sozialismus, a cura di M. Buber, Köln, Marcan-Block-Verlag, 1924 (ristampa anastatica Wetzlar, Verlag Büchse der Pandora, 1977); Gustav Landauer. Sein Lebensgang in Briefen, a cura di M. Buber, 2 voll., Frankfurt a.M., Rütten & Loening, 1929.
  8. Cfr. G. Landauer, Zwang und Befreiung. Eine Auswahl aus seinem Werk, a cura di Heinz-Joachim Heydorn, Köln, Verlag Jakob Hegner, 1968; Entstaatlichung. Für eine herrschaftslose Gesellschaft, a cura di Hans-Jürgen Valeske, Telgte-Westbevern, Büchse der Pandora, 1976; Erkenntnis und Befreiung. Ausgewählte Reden und Aufsätze, a cura di Ruth Link-Salinger (Hyman), Frankfurt a.M., Suhrkamp Verlag, 1976.
  9. Gustav Landauer und die Revolutionszeit 1918/19. Die politische Reden, Schriften, Erlasse und Briefe Landauers aus der November-Revolution 1918/19, a cura di Ulrich Linse, Berlin, Karin Kramer, 1974.
  10. Signatur: g.l. – Gustav Landauer im “Sozialist”. Aufsätze über Kultur, Politik und Utopie (1892-1899), a cura di Ruth Link-Salinger, Frankfurt a.M., Suhrkamp Verlag, 1986; G. Landauer, Auch die Vergangenheit ist Zukunft. Essays zum Anarchismus, a cura di S. Wolf, Frankfurt a. M., Luchterhand Literaturverlag, 1989.
  11. Oltre al volume Gustav Landauer im Gespräch cit., segnalo: Gustav Landauer (1870-1919). Eine Bestandsaufnahme zur Rezeption seines Werkes, a cura di Leonhard M. Fiedler et al., Frankfurt a.M., Campus Judaica, 1995; “Die beste Sensation ist das Ewige”. Gustav Landauer: Leben, Werk und Wirkung, a cura di Michael Matzigkeit, Düsseldorf, Theatermuseum, 1995.
  12. G. Landauer, Zeit und Geist. Kulturkritische Schriften, 1890-1919, a cura di Rolf Kauffeldt e M. Matzigkeit, München, Boer, 1997.
  13. Gustav Landauer, Werkausgabe, Vol. III, Dichter, Ketzer, Außenseiter. Essays und Reden zu Literatur, Philosophie, Judentum, a cura di Hanna Delf, Berlin, Akademie Verlag, 1997.
  14. Si veda: M. Löwy, Redenzione e utopia. Figure della cultura ebraica mitteleuropea (1988), Torino, Bollati Boringhieri, 1992; L'anarchico e l'ebreo. Storia di un incontro, a cura di Amedeo Bertolo, Milano, Elèuthera, 2001. Landauer influenzò, in misura diversa, tutti i personaggi menzionati, ma esercitò un influsso particolare su Erich Mühsam, che gli fu accanto nella rivoluzione baverese: cfr. E. Mühsam, Dal cabaret alle barricate, a cura di Alessandro Fambrini e Nino Muzzi, Milano, Elèuthera, 1999.
  15. La questione della morale, che rappresentò per Landauer una porta di accesso ai temi tipici dell'anarchismo, non viene affrontato direttamente in questo profilo introduttivo: rimandiamo però ai due articoli, invero assai chiari, tradotti nel presente volume: Qualcosa sulla morale (1893), L'immorale ordine del mondo (1895). Essi sviluppavano un discorso unitario e omogeneo, benché scritti a distanza di tempo, a causa di un periodo di detenzione che Landauer dovette scontare dal 1° novembre 1893 al settembre 1894, vittima di una severa campagna antianarchica messa in atto dal governo.
  16. Nella presente raccolta si riferiscono a questo tema – che pure ritorna in molti altri – gli scritti: Anarco-socialismo (1895); Da Zurigo a Londra (1896); Anarchismo e socialismo (1896).
  17. [G. Landauer], Ein Weg zur Befreiung der Arbeiterklasse, Berlin, Verlag von Adolf Marreck, 1895, pp. 30; dichiarò di essere l'autore dell'opuscolo in Arbeiter aller Länder, vereinigt euch!, «Der Sozialist», V, n. 7, 28 settembre 1895, p. 39. Il testo costituiva anche l'inquadramento teorico della cooperativa di consumo berlinese «Befreiung» (Liberazione), nata a Berlino il 1° ottobre 1895.
  18. [G. Landauer], Ein Weg zur Befreiung der Arbeiterklasse cit., p. 8.
  19. Il saggio che proponiamo in questo volume col titolo Trenta tesi socialiste costituisce la premessa logica ed etica del volume sulla Rivoluzione, così come quello intitolato La nascita della società rappresenta un estratto, lievemente rielaborato, dell'opera principale.
  20. Si veda il discorso La Germania, la guerra e la rivoluzione tedesca, p. 168.
  21. G. Landauer, Aufruf zum Sozialismus, Berlin, Verlag des Sozialistischen Bundes, 1911. In questo volume ne proponiamo un estratto, che ci sembra significativo per la valorizzazione della soggettività che emerge, ma anche per l'idea che accompagna l'intero saggio, ossia l'esigenza «di edificare in grande iniziando dal piccolo». Cfr. infra, p. 128.
  22. Cfr. Appello per il socialismo, infra, p. 133.
  23. Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale (1923), Milano, Longanesi, 1957 (e successive ristampe).
  24. Cfr. La nascita della società, infra, p. 122.
  25. Cfr. M. Buber, Pfade in Utopia, Heidelberg, L. Schneider, 1950; prima ed. in inglese: Paths in Utopia, New York, Macmillan, 1950. Nuova edizione tedesca, a cura di Abraham Schapira, Heidelberg, Verlag Lambert Schneider, 1985. Traduzione italiana di Amerigo Guadagnin, Sentieri in utopia, Milano, Edizioni di Comunità, 1967; nuova traduzione a cura di Donatella Di Cesare: Sentieri in utopia. Sulla comunità, Genova, Marietti 1820, 2009.
  26. Cfr. infra, p. 132.
  27. Ibidem.
  28. Parallelamente tentò di mettere le basi per un intervento attivo dei lavoratori, con lo sciopero contro la guerra, una mobilitazione che immaginava dovesse essere preparata dal basso, senza l'intermediazione di partiti e sindacati. In quest'ottica pubblicò in opuscolo il dialogo L'abolizione della guerra, redatto in forma intellegibile a beneficio dei lavoratori, e che venne immediatamente confiscato dalle autorità. Cfr. infra.
  29. Il giornale cessò le pubblicazioni nel marzo 1915. Per una lista dei numerosi interventi pubblicati nel periodo rimando a Gustav Landauer. A Bibliography (1889-2009), Edited with an Introduction by G. Ragona, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011.
  30. L'intervento è conservato in AAFL, fascicolo 24; ora pubblicato in C. Holste, Der Forte-Kreis cit., pp. 278-280, e in Sieben Thesen Gustav Landauers für einen Bund der Aufbruchsbereitens, vortragen am 10. Juni 1914 auf der Gründungstagung des Forte-Kreis, in “Die beste Sensation ist das Ewige” cit., pp. 251-253.
  31. Landauer a Hugo Warnstedt, 4 novembre 1914, in Gustav Landauer. Sein Lebensgang in Briefen cit., vol. II, p. 11.
  32. Landauer a Mühsam, 16 giugno 1916, in ivi, pp. 142-146: la citazione è a p. 145. Mühsam annotò nel suo diario i termini generali della discussione con Landauer e il suo disappunto: cfr. E. Mühsam, Tagebücher, 1910-1924 München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1994, p. 178. La vicenda è riportata anche da E. Lunn, Prophet of Community cit., pp. 247-248.
  33. Cfr. Rialzati socialista!, infra, p. 154-155.
  34. Ivi, p. 156.

Nel 1999 è uscita (ed è tuttora disponibile), sempre presso Elèuthera, l'antologia di Erich Mühsam Dal cabaret alle barricate (pagg. 224, euro 14,00),
a cura di Alessandro Fambrini
e Nino Muzzi.



Erich Mühsam (Berlino, 1878-Oranienburg, 1934) nasce in una famiglia della borghesia ebraico-tedesca.
Poco più che ventenne abbandona l'ambiente familiare e inizia l'attività di giornalista e scrittore. Nel 1902 si trasferisce nel quartiere bohémien di Friedrichshagen, dove esordisce come cabarettista e dove conosce e fa sue le idee anarchiche.
Da allora al 1933 si divide fra la scrittura e l'impegno politico.
È, tra l'altro, uno dei leader della Rivoluzione dei consigli
a Monaco nel 1918.
Nel 1933 viene immediatamente
arrestato dalle SA naziste
e un anno dopo viene
torturato e ucciso nel lager di Oranienburg.