rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


pedagogia libertaria. 1

Scuola a terra... terra a scuola...

Intervista ad Albino Bertuletti
di Valentina Negri


A colloquio con un maestro un po' speciale. Bergamasco (e fin qui niente di speciale), montanaro (e questo è già meno comune), dalla vasta esperienza concreta e – per non farci mancare niente – anarchico.



Albino Bertuletti, maestro che ha lasciato la scuola da alcuni anni, nasce nel 1951 a Bergamo in una numerosa famiglia di montagna.
Inizia la sua attività di maestro elementare nei primi anni '70 e successivamente è “formatore” in corsi per insegnanti. Utilizza la metodologia della Ricerca con un'attenzione particolare al contesto ambientale e sociale in cui vive il bambino.
Militante anarchico impegnato in varie lotte politiche e ambientali, lavora nella scuola statale per circa 35 anni a numerosi progetti sperimentali che vedono nei percorsi sensoriali, nell'auto-produzione di fascicoli-documentazione delle esperienze vissute e nelle attività espressive libere, un coinvolgente mezzo per produrre insieme ai/alle bambini/e saperi e creatività.
Tramite questa intervista, abbiamo cercato di raccontare aspetti dei percorsi educativi di Albino, sperando che possano offrire spunti di riflessione ai tanti che si trovano l'annoso compito di educare bambini/e, ragazzi/e, siano essi insegnanti, educatori o genitori.


Sei il primo di dieci figli nato in un paesino di montagna del Bergamasco e sei diventato maestro elementare dopo una formazione scolastica un po' anomala, vuoi raccontarci come sei stato educato e com'è successivamente iniziata la tua passione per l'educazione?
Sono cresciuto in una famiglia contadina, patriarcale autoritaria, dove fatica quotidiana e solidi valori tradizionali erano importanti.
Nel 1969-1970, dopo quasi quattro anni di Liceo Classico, frequento il solo quarto anno di Istituto Magistrale per ottenere il diploma di maestro. In modo del tutto casuale, dal 1973 inizio a lavorare nell'ambito dell'educazione come animatore nei campi estivi organizzati dal Comune di Albino, in Val Seriana.
Gruppi di bambini/e e ragazzi/e, eterogenei per età, sceglievano a rotazione e liberamente, attività sportive, espressive (baracche-atelier di pittura, animazione, manipolazione materiali), laboratorio di fotografia, di giornalismo o escursioni per esplorazioni nel territorio. Sempre in quel contesto, per due estati di seguito, organizzo, aiutato da un altro compagno, un campeggio libero per bambini/e e ragazzi/e. Mentre vivo questo tipo di esperienze, prendo la decisione di partecipare al concorso magistrale, dove presento tesine sulla Pedagogia Popolare di Célestin Freinet e su Mario Lodi (Il paese sbagliato).

Le escursioni libere nelle vallette,
le scivolate nelle marmitte dei Giganti
erano le attività preferite dai gruppi

del campo estivo di Albino

Dopo questa prima “infarinatura” in un contesto educativo, com'è proseguita la tua esperienza?
Ho lavorato per 25 anni nella scuola pubblica come maestro elementare, prima in una pluriclasse di montagna, poi in una delle prime scuole a Tempo Pieno della bergamasca e infine all'interno dei “moduli” come insegnante referente per l'area di Ricerca e per le Attività Espressive.
Successivamente, per altri 10 anni, sono entrato nella scuola come “operatore esterno”, prima su progetti di inserimento dei disabili in una scuola superiore, poi su progetti mirati per l'Educazione Ambientale in scuole Elementari e Materne, in cui mi presentavo di volta in volta come “l'amico della Terra”, “dell'Acqua”, o “del Bosco” che “guidava” i bambini ad incontrare la Natura. Infine sono stato formatore per insegnanti, questo anche all'interno del Labter di Treviglio (Laboratorio Territoriale per l'Educazione Ambientale).

Nell'organizzazione dei campi estivi hai parlato di attività espressive libere, di cosa si tratta?
All'inizio della mia attività educativa nei campi estivi, erano i /le bambini/e che sceglievano tra le proposte e i laboratori (di cui ho parlato prima), che noi animatori offrivamo ed organizzavamo. Nella scuola statale, invece, come insegnante davo spazio alle conversazioni-discussioni e ai testi liberi dei bambini. Queste attività puntuali erano molto importanti: dai bambini stessi emergevano i loro “interessi” di cui io tenevo conto nella mia programmazione, per sviluppare sia gli argomenti delle materie della “Ricerca sul territorio”, sia le tematiche della “Ricerca Affettiva”; inoltre erano momenti di verifica e di confronto per stabilire insieme le successive attività e modalità di sviluppo delle Ricerche.

Puoi spiegare cosa significa Ricerca Affettiva?
Nella Ricerca Affettiva i/le bambini/e erano al centro con le loro paure, i sogni, i rapporti con i genitori, i rapporti fra maschi-femmine e i propri sentimenti.
Ho cercato sempre di offrire le condizioni perché i bambini si esprimessero fino in fondo sia attraverso discussioni e testi scritti, sia con attività di animazione corporea, drammatizzazione e laboratori di musica, pittura, manipolazione, educazione all'immagine. In tutti quegli anni sono cresciuto insieme ai/alle tanti/e bambini/e che ho incontrato. Per poterli/le seguire al meglio, ho cercato di mantenere un atteggiamento critico e una continua riflessione sul mio operare, per valutare le ricadute sui bambini/e. Per me è stata importante la continua autoformazione: ho studiato per approfondire le mie conoscenze; ho ri/cercato opportunità di confronto e scambio con altri/e insegnanti e di incontri con persone più esperte, per sperimentare su di me tecniche e competenze specifiche.

Copertine di alcuni giornalini di Ricerche Affettive autoprodotti dai bambini con limografo e ciclostile
1975/76, Dalmine, Noi e gli altri,
3ª-4ª Elementare
1978/79, Costa Mezzate (Bg),
3
e Elementari
1982/83, Gavarno-Nembro,
4
e Elementari

Abitando in montagna, immagino che la passione per l'ambiente sia nata spontaneamente e sia stata poi alimentata dalle lotte politiche, vissute con altri/e compagni/e, quando e come è nata la decisione di utilizzare il territorio/l'ambiente per la trasmissione di saperi/conoscenze? Cosa intendi per “percorsi di senso”?
La mia infanzia è trascorsa fra l'andare e tornare ogni giorno a piedi, da solo, all'asilo e alla scuola Elementare, fra le faticose attività legate all'allevamento di vari animali e la cura di sorelle/fratelli più piccole/i. Queste esperienze hanno segnato la mia sensibilità e mi hanno permesso di acquisire da solo moltissime conoscenze e competenze pratiche.
Quel “pezzo di storia” vissuto in quel territorio e in cui ancora oggi mi riconosco, mi ha dato anche un'identità. Dopo, sono arrivate le lotte politiche relative alle problematiche ambientali. Nel mio lavoro a scuola, il territorio, con i suoi elementi naturali ed antropici e le sue caratteristiche ambientali, è sempre stato da me considerato come una “grande aula”, come un grande libro gratuito e a disposizione di tutti. Partendo dal territorio del bambino, con il metodo della Ricerca lo si esplorava e lo si conosceva, si definivano tematiche, se ne coglievano dinamiche, aspetti storici e problemi. In questo modo io cercavo di realizzare “percorsi di senso” per costruire poi i saperi, la cultura insieme ai/alle bambini/e e ampliare le loro conoscenze fino a mettersi in relazione con realtà più lontane.
Ad esempio, una realtà lontana dai bambini nel tempo e nello spazio, ma in genere molto vicina alla loro sensibilità ed interesse, era quella degli Indiani Pellerossa. Dopo averne “studiato” la vita e la storia su vari libri, era entusiasmante per loro costruire vestiti, archi-frecce, maschere e utilizzarli in uno spazio aperto per vivere come quel popolo per alcuni giorni.
Con la Ricerca “Anche noi eravamo Storia”, i bambini assumevano un ruolo importante di recupero e di conservazione della memoria del territorio, da loro stessi abitato, intrecciando forti relazioni affettive con gli anziani.

Ad un certo punto della tua vita professionale, qualcosa cambia, ti accorgi che i bambini nel corso degli anni hanno modificato i bisogni e le proprie aspettative; ci racconti come hai affrontato questo tipo di cambiamento nelle tue scelte educative?
L'intero percorso scolastico di uno o più anni, cercavo di costruirlo con modalità e contenuti tali che avessero un significato sia per i bambini/e che per me insegnante: centrali erano esperienze, motivazione, interesse e piacere.
Alla fine degli anni '80 e primi anni '90 però, dai racconti liberi scritti e orali dei bambini, incomincio a rilevare un cambiamento per me molto allarmante. Sognavano solo di diventare calciatori o veline, scrivevano in prevalenza di escursioni al centro commerciale... i bambini di montagna non andavano più da soli nei boschi o al fiume... e quelli di paesi e città non vivevano più i cortili e le strade dei quartieri.
Prendo coscienza, perciò, di una mancanza di esperienze significative sia a livello affettivo che nel territorio, sostituite da modelli di consumo, di alimentazione, di comportamento sempre più indotti, omologanti e lontani dai bisogni primari di un essere umano.
Negli anni ('90 e 2000), diventando per me sempre più evidenti l'annullamento della dimensione dell'“essere un/una bambino/a” e la perdita di relazione con il territorio, mi rendo conto che la mia metodologia della Ricerca andava rivista. Percepisco la necessità di far uscire i bambini dalle case, dalle scuole, per portarli fuori più sistematicamente durante tutto il corso dell'anno nell'ambiente che li circondava, perché tornassero a fare ciò che non vivevano più nè da soli né in famiglia.
Perciò aggiungo una nuova ed iniziale fase al Metodo della Ricerca: sulla base di miei numerosi sopralluoghi nei contesti in cui vivono i bambini, costruisco percorsi di immersione e di percezione sensoriale per permettere loro un approccio “emotivo–affettivo” con gli elementi del territorio con il corpo e tutti i sensi.

1983/84 Gli indiani
del Nord America,

5ª Elementare
Gavarno-Nembro (Bg)

Ho letto “Incontri di terra”, un fascicolo che racconta le esperienze vissute dai/dalle bambini/e di una seconda elementare di Torre Boldone (BG) dove insegnava Vanna, la tua compagna; tu eri intervenuto in quella classe nel corso dell'anno 2002/2003 con un progetto mirato di Educazione Ambientale in qualità di operatore esterno.
Mi piace innanzitutto il sottotitolo, ossia «esplorazioni ambientali, attività espressive, esperienze scientifiche» che denota come un percorso del genere possa essere veicolo per l'insegnamento di diverse altre materie, ma si riusciva a coniugare le uscite sul territorio con i momenti “tradizionali” di insegnamento delle materie quali la matematica, l'italiano, la storia ecc?
Puoi raccontarci in sintesi la metodologia utilizzata in quella esperienza?

Hai colto un aspetto importante della metodologia. Il bambino, attraverso il contatto diretto-affettivo con gli elementi fondamentali del nostro pianeta e del cielo, vive esperienze concrete e significative. Durante le successive rielaborazioni a scuola o a casa, ogni bambino/a ha opportunità di esprimere le proprie emozioni con linguaggi e attività diverse; è motivato poi a riflettere, ad acquisire conoscenze, ad effettuare esperimenti e altre uscite.
Queste fasi operative si sviluppano attraverso ambiti disciplinari diversi; ma sono i bambini stessi che, man mano ricercano – fanno – studiano insieme agli insegnanti, colgono la divisione in materie (lingua italiana, storia, geografia, scienze, le attività espressive artistiche).
In “Incontri di Terra”, i bambini, usciti in diversi posti nel loro ambiente, hanno incontrato e raccolto argille indigene, le hanno portate a scuola, hanno ricavato colori per truccarsi, per dipingere e autoprodurre impasti da manipolare.
Con la cottura dei propri manufatti in forni a cielo aperto (nel terreno di un loro compagno), hanno sperimentato come uomini e donne delle civiltà antiche, mentre lavoravano e cuocevano la creta, esprimevano una propria “arte”. L'Arte, così, si intreccia con la Storia, la Geografia, le Scienze, la Lingua Italiana, la Storia del Lavoro dell'uomo. E il tutto si intreccia con l'Arte del bambino e della bambina.

Sto leggendo i due fascicoliAdottiamo l'Isola Fluviale e Lo stagno: entrambi hanno come sottotitoloRicerc-Azione per valorizzare un territorio. Cosa intendi per Ricerc-azione?
Per due anni consecutivi (dal 1996 al 1998), i bambini di una classe elementare del comune di Albino hanno lavorato con me e Vanna su un Progetto di Educazione Ambientale, incentrato sull' “occupazione” di un grande isolotto di circa 1 Km, posto in mezzo al fiume Serio. Su quest' Isola, dapprima a loro sconosciuta, i bambini vivono una serie di attività: la esplorano spostandosi anche da soli, effettuano periodiche osservazioni scientifiche, ne scoprono la bellezza ma anche il degrado e pian piano le si affezionano. L' esperienza ha assunto una maggior valenza educativa per il notevole coinvolgimento di tanti genitori e di alcune Associazioni volontarie del paese e successivamente, nel 2° anno, la condivisione del Progetto da parte delle insegnanti e dei bambini/e di tutte le 9 classi di quella scuola.
I bambini hanno vissuto attività concrete di Ricerc-Azione in quanto consegnano un progetto, steso in classe collettivamente, all'Amministrazione Comunale con la richiesta di cambio di destinazione d'uso dell'Isola, in “area verde per usi didattici”; in diverse occasioni effettuano la pulizia dell'area; costruiscono un grande stagno, una capanna, uno spettacolo teatrale itinerante sull'Isola.

1993/94, Comenduno – Albino,
Indiani a Prato Alto,

dalla locandina di un film
realizzato con la 5ª Elementare

Le esperienze svolte nella tua lunga vita professionale sono state rielaborate tramite un importante lavoro di raccolta di documentazione autoprodotta anche per creare un'alternativa ai libri di testo di Stato e per una comunicazione/diffusione ad altri. Come e perché è avvenuta questa autoproduzione?
Per me i “giornalini di classe”, i fascicoli, le mostre hanno una forte valenza educativa, rappresentano una delle fasi importanti della metodologia: cioè quella della rielaborazione-documentazione-comunicazione delle esperienze.
I “giornalini”, autoprodotti assieme ai bambini negli anni '70 ed '80, utilizzando in classe vecchie macchine da scrivere, il limografo, il ciclostile ecc, servivano come scambio delle esperienze libere e dei lavori di gruppo anche con gli alunni di scuole diverse. Dagli anni '90 in poi, i fascicoli e i libri autoprodotti, impaginati da me con il computer, raccoglievano e documentavano le esperienze rielaborate con testi individuali –di gruppo e collettivi, disegni, mappe, fotografie ed ogni bambino aveva la sua copia. Essendo scritti e stampati puntualmente man mano che le diverse fasi del lavoro procedevano, rappresentavano un'alternativa ai libri di testo di Stato, insieme ai numerosi libri portati a scuola.
Inoltre per me come insegnante ed anche per ogni bambino, erano uno strumento di consapevolezza, confronto e autovalutazione continua del proprio lavoro. Per i genitori erano una possibilità per “entrare” nella classe, scoprire la metodologia e i contenuti, conoscere tutti i bambini ed il loro lavoro, e non solo i contributi del/la proprio/a figlio/a.

Pensi che questi materiali possano costituire uno spunto di riflessione per altri/e maestri/e e/o educatori/trici?
Quasi tutti i materiali prodotti in quegli anni li conservo a casa mia. Ma ultimamente sento la necessità e l'urgenza di dare organicità alla documentazione di tutte le esperienze vissute e di custodirle in un luogo adeguato, perché le Scuole che conosco io non hanno certo spazi per conservarne la Memoria.
In questi mesi non sono riuscito a reperire spazi adeguati dove lasciare: giornalini, fascicoli, mostre, riprese video, ma anche libri relativi a: Educazione Ambientale, Animazione, Educazione all' Immagine, riviste M.C.E., ... Educazione Libertaria ecc. Nella prospettiva di creare un archivio e, perché no, renderlo accessibile a chiunque desideri consultarlo, forse qualche insegnante, genitore o ricercatore potrebbe ricavarne spunti per operare concretamente.

1999/2000 Cene (Bg)
“Incontro con l'amica acqua”,

esperienze di percezione sensoriale,
Materna Statale

Hai mai incontrato resistenze per questa tua impostazione didattica da parte dei genitori o di altri insegnanti con cui ti sei trovato a lavorare?
Si! a volte con i genitori, all'inizio del mio lavoro; negli anni '70, nelle scuole in cui lavoravo, si trattava di mettere in discussione i contenuti e un sistema di far scuola autoritario attraverso: l'abolizione della cattedra, la disposizione dei banchi in cerchio, il dare voce ai bambini, il non privilegiare le lezioni frontali, il lavoro a gruppi, il non dare voti, il non uso dei libri di testo dello Stato, l'uscire fuori dalla scuola...
Lavorando poi nei “moduli a tre” ho avuto contrasti nelle relazioni con colleghi/e e mi sono isolato per poter lavorare in pace con i bambini. Ma negli ultimi 10 anni, come operatore esterno sui progetti mirati, ho potuto scegliere di lavorare con insegnanti motivate, appassionate e disponibili a mettersi in gioco e a resistere. Vivendo le esperienze con Vanna e insieme ai suoi allievi, il confronto è stato continuo e senza alcuna separazione tra la nostra vita privata e la scuola.

Recentemente hai partecipato alla giornata per l'educazione libertaria “Quando l'educazione cambia”, organizzata dal Collettivo Milanese per l'Educazione Libertaria, cosa pensi delle esperienze di scuole libertarie che sono nate e si stanno sviluppando in Italia, nonostante tu, da anarchico, abbia sempre lavorato all'interno della scuola statale?
Resto ancora dell'idea che tutti/e i/le bambini/e abbiano diritto ad una scuola libera, dove poter crescere con autonomia, libertà, consapevolezza, responsabilità, rispetto di ogni individualità, dove convivano figli di anarchici, di rom, di immigrati, di poveri e benestanti ecc. Perciò, pur condividendo gli ideali educativi delle scuole libertarie, mi resta il dubbio che non possano dirsi “scuole di tutti”, anche solo perché chiedono ai genitori una retta mensile che non tutti possono sborsare.

1996/1998
ADOTTIAMO L'ISOLA FLUVIALE ~ LO STAGNO
ricerc-Azione per valorizzare un territorio”
4ª Elementare, Comenduno – Albino (Bg)

Pensi che ci siano margini di azione libertaria all'interno del contesto educativo istituzionale?
Pur incontrando grosse difficoltà, magre soddisfazioni e vivendo pesanti situazioni di solitudine, ho sempre lavorato per crearmi spazi dignitosi di operatività nella scuola statale, realizzando concretamente progetti che avessero senso e valore per me e per i bambini. Se si vuole, lo spazio di azione lo si può, lo si deve ricavare anche oggi. Certo i margini di azione sono sempre meno, ci sono sempre meno risorse (di persone) e meno spazi per il confronto.
La scuola è un sistema che fa di tutto per autoconservarsi: rispetto agli anni '70, nulla è cambiato, anzi ha prevalso di nuovo una scuola con pesanti scollamenti tra quello che vien “insegnato” e la vita quotidiana degli studenti.
Vorrei comunque sottolineare l'importanza delle iniziative e del ruolo del C.M.E.L. e della Rete per l'Educazione Libertaria, perché secondo me potrebbero “offrire ai tanti che si trovano l'annoso compito di educare bambini/e, ragazzi/e, siano essi insegnanti, educatori o genitori”, l'opportunità per un confronto, una condivisione di esperienze per ripensare ai compiti di una scuola e chiedersi cosa desideriamo trasmettere e far vivere ad un figlio/a o a bambini/e che ci sono stati affidati/e.

Valentina Negri


Se qualche lettore fosse interessato a dare un mano per trovare, a Bergamo e dintorni, uno spazio per un archivio per la conservazione della documentazione, o fosse semplicemente interessato a prendere in visione mostre, fascicoli ecc può scrivere a questo indirizzo e-mail: albinobertuletti@tin.it.

2004/2005, “Terra-cielo-fuoco-alla ricerca di spazio
e tempo Classe 4ª Elementare Torre Boldone (Bg)
OSSERVATORIO ASTRONOMICO: in un grande
spazio aperto nel loro paese, i bambini
costruiscono l'orizzonte, registrano le proiezioni
delle ombre e gli spostamenti apparenti del Sole

La versione integrale dell'intervista è pubblicata sul blog del Collettivo Milanese per l'Educazione Libertaria:
http://educazionelibertariamilano.noblogs.org/