rivista anarchica
anno 42 n. 375
novembre 2012


Mario Monti

Venditore di fumo

di Antonio Cardella


Dietro l'immagine del rigore e della serietà il nostro beneamato presidente del Consiglio e il suo governo portano avanti una politica economica socialmente devastante.


Alla fine di settembre – il sole a Roma era ancora alto all'orizzonte – in una teleconferenza con gli studenti della Statale, il nostro presidente del Consiglio, in palese contrasto con i funerei tratti del suo volto, elargiva accenni di ottimismo, affermando che agli italiani (ai soliti) sarebbero stati chiesti sacrifici ulteriori, ma che, a partire dal 2013, le cose sarebbero cambiate e tutti avremmo potuto vedere la luce alla fine del tunnel. La teleconferenza è uno strumento assai congeniale a chi si dispone a spararle grosse, perché impedisce all'uditorio di manifestare in tempo reale tutta la gamma del disagio (dal mormorio all'invettiva) che provoca un monologo imposto ex cathedra. In effetti, non è sembrato che gli studenti dell'università romana abbiano avuto il tempo per riprendersi e reagire agli spropositi del conferenziere: a loro risultava che le cose erano messe molto male e, per quel che li riguardava, non sembrava si intravedessero prospettive di miglioramento della loro condizione di protagonisti demotivati di un'istituzione – quella universitaria – che faceva acqua da tutte le parti e che era stata pesantemente penalizzata proprio dal governo guidato dal lugubre conferenziere.
Del resto, passato qualche giorno, lo stesso capo del governo, nel corso di un Consiglio dei ministri, rinnovava il suo ottimismo malgrado fosse costretto ad ammettere che – fonte Ministero del Tesoro – il Pil si era ridotto del 2,4% e il trend negativo si sarebbe protratto per tutto il 2013. Se a questo dato, in controtendenza rispetto ai dati dei maggiori paesi dell'eurozona, si aggiungono il crollo della produzione industriale (-6% su base annua), la drammatica riduzione dei consumi, in regime di prezzi crescenti, l'aumento della disoccupazione, attestatasi ormai all'11,8% della forza lavoro, per ammissione delle stesse fonti ministeriali (con la funesta piaga della disoccupazione giovanile), se questi dati dell'economia reale sono incontrovertibilmente veritieri, è difficile capire come il responsabile di un governo in carica possa andare in giro manifestando ottimismo per il prossimo futuro. A meno che, irresponsabilmente, non metta in conto – da cattolico fervente – la possibilità che si rinnovi il miracolo evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Se Gesù di Nazareth si trovasse a passare oggi dalle nostre parti, dubito che rischierebbe di compiere un miracolo dall'esito tanto improbabile.
Il problema resta sempre quello – per un governo che davvero volesse arginare la recessione (e noi sospettiamo che questo governo non sia quello presieduto da Monti, spiegheremo più avanti perché) – di reperire risorse, non solo per ridurre l'impatto sulla nazione dell'enorme debito pubblico, ma per riattivare un circuito produttivo che rilanci i consumi interni. È del tutto intuitivo, infatti, che solo l'aumento delle possibilità di acquistare beni e servizi può rimettere in moto la produzione e incidere positivamente sul Pil.

Credito alla FIAT

Su questo versante il governo è inerte. L'incontro che la ristretta compagine ministeriale ha avuto alla fine dello scorso mese con la FIAT di Marchionne è paradigmatico dell'indisponibilità di chi guida attualmente il nostro paese ad applicarsi per attivare una politica industriale credibile. Si è dato credito all'affermazione del consigliere delegato dell'industria torinese che la Fiat non lascerà l'Italia, ma questa è una assicurazione generica, priva di contenuti concreti, il cui solo risultato sarà quello di scaricare sulla comunità nazionale il peso della cassa integrazione per decine di migliaia di lavoratori che, per mancanza di investimenti, rimarranno fuori dalle fabbriche.
Con la disinvoltura tipica di un venditore di fumo, Monti ha con enfasi dichiarato che alla Fiat non saranno erogati finanziamenti pubblici, come se la cassa integrazione non fosse un costo vivo per le finanze pubbliche. A fronte di queste chiacchiere, degli investimenti previsti nel Piano Italia neppure l'ombra. Saranno attivati – ha detto Marchionne – quando la congiuntura sfavorevole del mercato dell'auto sarà superata: affermazione questa che può soddisfare chi vuole eludere il problema senza perdere la faccia, ammesso che le facce dei Passera, dei Fornero e dello stesso Monti siano ancora presentabili. Anche chi è digiuno di questi problemi capisce che, se si attiva la produzione di un prodotto quando il mercato è in ripresa, si rischia di arrivare tardi e a giochi fatti. In compenso, si allestirà un tavolo congiunto in cui si discuterà sulla produttività e sulle normative sul lavoro, come a dire che a pagare saranno ancora i lavoratori.
È possibile, a questo punto, che i generosi lettori si chiedano perché chi scrive è così ostile a Monti e al montismo. Cercherò di chiarirlo nella sintesi inevitabile di un semplice articolo. Si è fatto un gran parlare, con soddisfazione, del coraggio con il quale Mario Draghi, alla testa della Bce, ha superato le resistenze tedesche e di alcuni paesi nordici per aiutare con sovvenzioni illimitate paesi dell'eurozona in difficoltà. Si è stabilito, infatti, che la Banca centrale europea potrà acquistare titoli sovrani sul mercato secondario (quello in cui si contrattano i titoli già in circolazione, dal quale, quindi, sono escluse le nuove emissioni). Con questa operazione si raggiungerà il virtuoso obiettivo di alleggerire il debito pubblico dello Stato, sul quale si interviene sia in termini assoluti (il valore del titolo) sia in termini di interessi passivi da pagare per rifinanziarlo alla scadenza.
Sin qui tutto bene, anche se arriva in ritardo rispetto alla situazione greca che si è nel frattempo aggravata. Ma, per esprimere un giudizio sull'operazione, occorrerà attendere che si chiariscano le condizioni da richiedere ai paesi sui quali si interverrà; se, cioè, tali condizioni saranno compatibili con la sostenibilità dei rispettivi stati sociali o se, viceversa, incentiveranno processi recessivi, come quelli che sono già in atto oltre che in Grecia, in Spagna e Italia. E se, soprattutto, tali interventi amplieranno il deficit di democrazia, già compromesso dalla capacità imperativa degli organismi centrali europei, che, ricordiamocelo sempre, ad eccezione dell'Assemblea e del Consiglio, mancano di legittimità elettiva.
Il fatto è che siamo assai diffidenti sulla gratuità dell'erogazione di denaro da parte di istituzioni internazionali, non immemori dei disastri provocati dal Fmi, nel sud est asiatico e in America Latina, dove, alla concessione di prestiti, è seguito l'esproprio delle risorse produttive e finanziarie dei singoli paesi, a vantaggio dei grandi gruppi monopolistici, soprattutto statunitensi (un esempio per tutti: la drammatica vicenda argentina, risoltasi solo con il rifiuto popolare di ubbidire agli imperativi del Fondo stesso).
E qui siamo arrivati al punto.

Il Presidente del Consiglio, Mario Monti

Ma la bestia non molla la presa

Penso che – a diverso livello di consapevolezza – tutte queste grandi istituzioni internazionali (nelle quali i paesi a capitalismo più avanzato determinano le politiche d'intervento), Fmi, Wto, Bce, ecc., finalizzino la loro attività a raggiungere l'obiettivo del capitalismo maturo di concentrare nelle mani di pochi i poteri economici e politici che contano, riducendo progressivamente i cittadini del mondo al ruolo subalterno di consumatori acritici, privi di diritti e di ogni capacità di programmare il proprio futuro.
Per tornare in Europa, l'ossessiva rincorsa al pareggio di bilancio ha già provocato processi recessivi in paesi come la Grecia e l'Italia, senza che le misure fin qui prese abbiano raggiunto i risultati sperati. Anzi, se si vanno a guardare i conti, i disavanzi aumentano e non solo perché aumenta il debito pubblico, ma perché diminuisce il Pil.
E allora? Allora – dicono i liberisti della prima ora – occorre dismettere i gioielli di famiglia, immettere sul mercato il patrimonio industriale, paesaggistico e culturale più appetibile, consentendone l'esproprio a prezzi di realizzo da parte delle mani più rapaci del capitalismo internazionale.
Queste opportunità vengono colte senza alcun clamore, quasi inosservatamente. Marchionne, a parole, promette di rimanere in Italia: intanto trasferisce alla Crysler le tecnologie più avanzate realizzate – spesso con interventi pubblici, cioè con i soldi dei contribuenti italiani – negli stabilimenti di casa nostra che, prevedibilmente, chiuderanno i battenti. La corsa alle privatizzazioni, che in Italia data dagli anni sessanta del Novecento, ha consentito all'ILVA dei Riva di sfruttare e devastare il territorio del tarantino, senza che alcuna voce si levasse a denunciare decenni di disastri umani e ambientali.
Analogo discorso si può fare per l'Alcoa in Sardegna, Termini Imerese in Sicilia e potremmo continuare a lungo. Temo che, a breve termine, dovremo lamentare anche la perdita del golden share dell'industria italiana più avanzata: sembra, infatti, che l'Unione europea ci obbligherà a dismettere le partecipazioni che lo Stato ha in Finmeccanica, Eni, Enel e Telecom, offrendole a prezzo di realizzo agli investitori internazionali. Se a tutto questo si aggiunge la corsa alla privatizzazione dell'istruzione, della sanità e dei beni culturali e ambientali, si avrà un quadro preciso di come, a breve termine, saremo spogliati di ogni nostra risorsa e ridotti a frequentatori drogati dei non luoghi nei quali si esercita la suggestione della distribuzione capitalistica.
Bene, adesso mi sembra di avere chiarito i motivi della mia aperta ostilità nei riguardi dell'attuale compagine di governo: i Monti, i Passera, le Fornero sono, a mio giudizio, gli strumenti operativi consapevoli, in Italia e in Europa, per la realizzazione di un mondo cinico e annichilente nel quale prevarranno sempre di più i peggiori integralismi.
A dimostrazione che, elezioni o meno, la bestia non intende mollare la presa, dalla lontana America giunge improvviso il fatidico annuncio montiano, che cercherò di rendere parafrasando in tono evangelico: se la moltitudine della gente invocherà il mio intervento, schioderò le mani e i piedi dal legno della croce e scenderò a portar loro la buona novella.
Un altro Uomo della Provvidenza che emerge dal buio minaccioso dei confessionali d'Italia.

Antonio Cardella