rivista anarchica
anno 42 n. 376
dicembre 2012 - gennaio 2013


anarchismo
La necessità dell'organizzazione

di Massimo Varengo


Di fronte e contro l'attuale situazione politica, economica e sociale, è indispensabile da parte delle anarchiche e degli anarchici una grande attenzione nella costruzione di momenti collettivi di movimento.


È indubbio che la situazione attuale stia offrendo possibilità di azione e riflessione particolarmente significative. È davanti agli occhi di tutti il crollo della credibilità del ceto politico nel suo complesso, come pure la grande velocità delle trasformazioni – sociali e politiche – in corso, indice dei profondi mutamenti che si stanno verificando su scala locale e mondiale.
Gli effetti della 'globalizzazione' delle dinamiche capitalistiche stanno provocando disastri a ripetizione; le merci seriali a basso costo che distruggono l'artigianato nei paesi industrialmente arretrati, i capitali che girano vorticosamente alla ricerca del massimo profitto, la delocalizzazione della produzione, lo sfruttamento intensivo, la crescita della disoccupazione, inducono modifiche di tipo epocale che necessitano di riflessioni puntuali e di azione all'altezza del momento. I meccanismi di concorrenza che si sono ingenerati, l'emergere di grandi potenze economiche come la Cina, l'India, il Brasile, lo stesso ricollocarsi della Russia, la prosecuzione di fatto di quella guerra permanente che è stata ideata e perseguita dalle amministrazioni americane per difendere la propria egemonia, la situazione catastrofica dell'Africa, l'aggressione colonialistica ai paesi dell'area mediorientale ed oltre, tutto dimostra che la situazione generale sociale e politica si sta modificando, prefigurando scenari nuovi. Anche le stesse contrapposizioni manifestatasi all'interno dell'Unione Europea nella definizione di una politica sia di difesa dell'euro, sia di costituzione come Stato avente una chiara unità politica e una voce unica nello scenario mondiale, riflettono uno stato di conflitto dagli esiti incerti.
In Italia il ricorso a un governo sedicente tecnico ha dato il via alla fase finale dello smantellamento del cosiddetto “stato sociale”, con l'attacco a tutta quella serie di ammortizzatori che hanno garantito, per un lungo lasso di tempo, livelli di vita accettabili insieme ad un sostanziale controllo sociale. Il ricorso alla precarizzazione, l'attacco sulle pensioni, il taglio dei servizi sociali fondamentali, la svendita e la privatizzazione dei beni collettivi, sono all'ordine del giorno. Si sta profondamente modificando il sistema delle garanzie, politiche e sociali, nel quale abbiamo vissuto. Parallelamente si sta modificando lo stesso quadro produttivo italiano, con l'abbandono di interi settori industriali ed il conseguente ridisegnarsi del mondo del lavoro.

Foto: Roberto Gimmi

Enorme scollamento

L'azione politica di governo si esprime sempre come mediazione tra i gruppi di potere economico, politico e religioso: quando i ceti e le classi dirigenti di questo paese raggiungono un accordo – dopo trattative, anche estenuanti, palesi od occulte – tutte le decisioni politiche che ne discendono devono assolutamente essere sottoposte a vincolo, senza avere possibilità di trovare espressione autonoma, al di là di protagonismi spettacolari, ma ininfluenti. Il continuo ricorso al voto parlamentare di fiducia è una chiara dimostrazione di questo. Ciò genera un enorme scollamento tra quel che resta della base che continua a esprimere fiducia e delega ai partiti e questi partiti che sono nell'impossibilità di condurre battaglie politiche che siano di sostanza e non di contorno. L'affermazione di una delega totale, senza controllo, combinata a un presidenzialismo marcato – esemplarmente interpretato da un ex-comunista – che lasciano sempre meno spazi al dibattito e alle varie forme di espressione politica, generano, a loro volta, fenomeni marcati di rigetto della politica 'tout court', di ricorsi a forme spettacolari di protesta, a nuove forme di qualunquismo e di populismo; alimentate inoltre da una crisi di credibilità che non è solo legata all'impossibilità dei vari partiti e partitini di rispondere alle esigenze del proprio settore di riferimento elettorale, ma anche alla corruzione dilagante di cui anche gli ultimi fatti ne sono una clamorosa testimonianza: il fatto che esista un controllo bipartisan sul sistema bancario italiano la dice lunga sul livello di commistione che destra e sinistra hanno nella gestione di questo paese.
Ora, quanti sono disillusi hanno solo due possibilità: o rifluire nel privato e questa è una possibilità non secondaria, perché già negli anni ottanta abbiamo registrato un riflusso massiccio nel privato dopo la sconfitta dei movimenti; oppure costruire opposizione. Ed è quello che si verifica con il rilancio della comunità territoriale di lotta: la Val Susa in primis, ma non solo: ci sono anche le innumerevoli lotte odierne contro le discariche, gli inceneritori, il terzo valico, le bretelle autostradali, le basi militari, il Muos, ecc., senza dimenticare l'esperienza di Scanzano con il rifiuto del sito di stoccaggio delle scorie radioattive e la lotta contro la base USA di Vicenza.
Sta crescendo in sostanza una risposta che è insieme 'creazione' e vivificazione della comunità, cioè riconoscimento del suo valore come elemento fondamentale di difesa del proprio territorio, del proprio livello di vita, in antitesi con quanto esprime il mondo della politica istituzionale. E non c'è dubbio che tale situazione crei spazi e varchi per un'azione dalle caratteristiche spiccatamente libertarie, soprattutto se sarà in grado di rifuggire dal localismo egoista e dal corporativismo esclusivista.
Proprio a partire dalle contraddizioni materiali che oggi si danno, e che si daranno sempre di più proprio per l'incapacità e l'impossibilità dello Stato di riuscire a garantire livelli sufficienti di vita e di socialità – o per lo meno di garanzie – cresce la possibilità di sviluppare proposte di tipo autogestionario all'interno delle comunità, pur tenendo sempre ben presente che il concetto di comunità non va mai mitizzato, perché comunità è anche quella che si è espressa nel recente passato a Opera o ad Appignano o a Pavia, nell'attacco di campi rom e in manifestazioni di piazza, popolari, contro immigrati e rom.
Esperienze dalle quali emerge chiaramente l'importanza dell'etica, della propaganda, della trasmissione di valori nell'agire quotidiano. Per questo è importante dare molta attenzione ai comitati, partecipandovi o promuoverne di nuovi, per poter dare risposte, per poter incanalare energie e far si che non ci sia riflusso nel privato, affinché la disillusione esistente venga orientata all'interno di queste esperienze e di queste lotte.

Per costruire una socialità diversa

A volte, parlando del nostro movimento, si usa il termine 'crisi' per definire le difficoltà d'azione, di espressione che si incontrano nell'agire quotidiano; “crisi” come riflesso di una particolare fase che il movimento libertario sta vivendo. A me pare invece che la nostra “crisi” sia un aspetto delle difficoltà di risposta ad una domanda, anche se parzialmente inespressa, da parte di una società che, abituata a delegare, si trova a dover trovare modalità diverse di organizzazione sociale. Difficoltà di risposta che appare insormontabile se rimaniamo nello stato in cui siamo.
Non basta la semplice volontà individuale, lo sforzo da 'piccolo' gruppo, per affermare e sostenere la proposta autogestionaria in senso libertario. Occorre organizzare e coordinare i nostri sforzi, le nostre volontà. E se nessuno ha la risposta in tasca, sono convinto che sia il metodo, il metodo libertario, quello che può consentirci di legarci di più alle problematiche in campo. Un metodo che nell'organizzazione degli anarchici e delle anarchiche trova il modo migliore per rappresentarsi.
Il tema dell'organizzazione è sempre stato un tema costante degli anarchici, dalla Prima Internazionale in poi, per dare forza e sostanza alla propria azione rivoluzionaria.
E se volessimo affrontare il dibattito che da allora si è sviluppato, ritroveremmo all'interno di questa storia una serie di riproposizioni, di studi, di realizzazioni pratiche che ci riconducono sempre ad alcuni nodi, ad alcune questioni. Ma qualunque forma abbiano assunto nel tempo le organizzazioni e le associazioni del movimento anarchico esse sono sempre state legate al momento storico in cui erano immerse.
Nella lunga e ricca storia dell'anarchismo si possono ritrovare tutta una serie di variazioni e di possibilità sul tema dell'organizzazione, proprio perché il problema dell'organizzazione è il problema dell'aderenza al suo momento storico, al far sì che la sua funzione, questo essere comunque proiettato a costruire relazioni libertarie, sia legata alle esigenze del momento, al ciclo storico che si sta affrontando, per essere in grado di svolgere maggiormente la propria funzione rivoluzionaria.
Le organizzazioni e i coordinamenti nascono sempre da esigenze collettive; e se queste non si manifestano c'è il rischio di produrre loro caricature. Bisogna sempre chiedersi se siamo adeguati al momento che stiamo vivendo o no, se quello che stiamo facendo è giusto o no, se dobbiamo lavorare di più in questa o in quell'altra direzione, perché questo continuo interrogarsi è caratteristico di quanti vogliano essere elementi attivi all'interno della situazione sociale e che non vogliano farsi schiacciare dal totalitarismo dominante.
Al di là delle caratteristiche e delle sensibilità che a volte si danno all'interno dei gruppi, degli individui, dei percorsi che si fanno, ci sono elementi comuni di riconoscimento dei valori dell'anarchismo: la lotta contro lo Stato, l'autorità, il potere, la gerarchia, che si sviluppa parallelamente al nostro desiderio di costruzione di una socialità diversa, di un mondo libero dove la gente abbia la stessa dignità e si possa riconoscere negli stessi livelli di libertà e di espressione, senza prevaricazioni e senza sfruttamento e allora partendo da questo presupposto credo che il momento richieda una grande attenzione da parte di tutti e tutte nella costruzione di momenti collettivi di movimento, in grado di favorire il confronto, di individuazione degli obiettivi condivisi per dare più forza alla nostra azione, più condivisione di obiettivi, più presenza sociale.

Massimo Varengo