rivista anarchica
anno 42 n. 376
dicembre 2012 - gennaio 2013


USI 2
Il nostro compito oggi

Intervista a Enrico Moroni di G. F.
foto di Roberto Gimmi
La realtà del capitalismo e le prospettive di lotta nelle parole del segretario dell'Unione Sindacale Italiana, eletto nel congresso modenese dello scorso marzo. Moroni, figlio di un anarchico di Senigallia, con una lunga storia militante ispirata all'anarcosindacalismo.


Una tua prima valutazione sulla fase attuale?
Il sistema capitalistico sta attraversando una delle sue crisi peggiori come conseguenza della forte accelerazione di “liberismo selvaggio” che ha trovato piena condivisione da parte di tutti i partiti dell'arco costituzionale (centro-destra e centro-sinistra) e la complicità dei sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil e Ugl). Il presupposto che ha messo tutti d'accordo è quello, altamente ideologico, che lo sviluppo economico derivi soprattutto dalla riduzione del costo del lavoro, inteso come costo della mano d'opera, abbattendo il quale ne gioverebbe la concorrenzialità delle aziende, incrementandone i profitti e di conseguenza promuovendo gli investimenti a beneficio dello sviluppo economico e sociale.
Per raggiungere queste condizioni si è attuata una politica di riduzione dei salari (anche l'eliminazione definitiva della scala mobile ne ha fatto le spese) attraverso l'accordo del '93 tra governo, Confindustria e sindacati. Sono state approvate le leggi per la precarizzazione del lavoro, si è favorito il decentramento delle aziende, attraverso esternalizzazioni e appalti di importanti settori lavorativi, le privatizzazioni, la riduzione progressiva delle conquiste dei lavoratori e dei loro diritti, tra cui quelli non indifferenti della rappresentanza sindacale e, ancor peggiore, la pesante riduzione del diritto di sciopero. Tutto ciò ha portato all'impoverimento di ampi strati della popolazione lavoratrice e quindi alla crisi, anche quella istituzionale. Pertanto, si è preferito passare la mano ad un governo tecnico più direttamente rappresentante delle linee guida dettate dai banchieri e dalla grande finanza da imporre all'Europa Unita.
La cura del governo Monti, con il sostegno dei maggiori partiti presenti in parlamento, è una “cura da cavallo”, che accentua in modo peggiorativo tutti quei fattori che hanno portato alla crisi: ulteriori riduzioni dei salari e delle pensioni, aumento dei ticket e delle tasse per i lavoratori, accompagnato dall'aumento del costo della vita, allungamento degli anni per la pensione, taglio ulteriore dei sevizi sociali, riduzione delle coperture per chi perde il lavoro, una ulteriore pesante espulsione di lavoratori dalle aziende private e pubbliche grazie anche alle modifiche dell'art.18. Quello che non era riuscito neanche al famigerato governo Berlusconi è stato attuato dall'attuale governo in carica. Tutto questo significa un'ulteriore precipitare nel vortice della crisi soprattutto per lavoratori, lavoratrici e gli strati più deboli della popolazione.



I limiti del sindacalismo di base

Cosa pensi dell'attuale “smarrimento” del sindacalismo di base, incapace di proporre forme di lotta significative con caratteristiche unitarie? Pare che questi sindacati stiano subendo un processo d'invecchiamento precoce.
I sindacati di base suscitarono molte aspettative alla loro nascita, la maggior parte infatti si costituì con la fuoriuscita dai sindacati confederali, in particolare dopo l'accordo del '93 sul “costo del lavoro” al quale abbiamo già fatto riferimento.
Ma tali aspettative con il passare del tempo si sono andate spegnendo ed è subentrata la delusione. Una delle cause sicuramente è stata la loro eccessiva proliferazione e soprattutto l'eccessiva litigiosità fra loro, non tanto dovuta alle diverse impostazioni di carattere sindacale, ma soprattutto all'affermarsi di nuove burocrazie, nei rispettivi vertici, inamovibili nel tempo, ciascuna delle quale preoccupata di marcare il proprio territorio e di considerare terra di conquista le altre formazioni sindacali. C'è anche da aggiungere l'intervento, in alcuni ambiti, di componenti politiche con fini di strumentalizzazioni. Sta di fatto che, non molto tempo fa, si era arrivati al punto che alcuni sindacati di base raggruppati decidevano di proclamare lo sciopero generale in giorni differenti dagli altri, pur sui punti di un programma rivendicativo identico. Con lo sciopero generale del 22 giugno si è riusciti a far coincidere la proclamazione nello stesso giorno, dopo una lunga ed estenuante trattativa delle segreterie, dove i sindacati maggiori l'hanno fatta da padrone, con un enorme ritardo rispetto ai tempi delle decisioni del governo. L'USI ha svolto un ruolo molto critico, ritenendo che si potevano accelerare i tempi e trovare quella forza necessaria alle esigenze del momento attraverso un percorso assembleare unitario delle strutture di base, dei delegati e militanti sindacati e dell'opposizione sociale.
Ma il sindacato di base, nel suo complesso, ha anche un'altra grave lacuna che lo penalizza: quella di limitarsi ad un ambito di difesa puramente sindacale, sulla base di richieste rivendicative quantitativamente maggiorate, all'interno di un quadro generale che sta riducendo velocemente gli ambiti rivendicativi stessi, sovrastato dai meccanismi imposti dal potere economico e politico. Perciò, pur in presenza di momenti importanti e significativi di forte resistenza in particolari aziende e settori, non si riesce a superare i meccanismi delle regole e delle condizioni imposte. E questo, a lungo andare, pesa e porta alla rassegnazione.

Come spieghi il “ritorno a casa” di tanti compagni anarchici e anarcosindcalisti che hanno militato nel variegato arcipelago del sindacalismo di base e ora stanno rientrando nell'USI-AIT?
Penso che la spiegazione sia dentro a quanto appena detto. L'USI, pur avendo profonde differenziazioni che la caratterizzano rispetto all'arcipelago del sindacalismo di base, riesce a sviluppare un discorso non settario, ma profondamente unitario su tutti quei terreni che sono percorribili assieme, coscienti che questa è la strada da percorrere per avere quella forza necessaria a perseguire risultati utili e per sviluppare il processo d'emancipazione.
Questo spirito prevalente all'interno dell'organizzazione sindacale a carattere libertario è sicuramente facilitato dal rispetto della rotazione degli incarichi, a cominciare da quella del Segretario, sostituito da un Congresso all'altro, evitando la gerarchizzazione di strutture di potere. Ma penso che agiscano positivamente in tal senso anche il rispettare la pratica del metodo autogestionario, con l'effetto di ridurre i conflitti interni.
Soprattutto si respira all'interno dell'organizzazione una profonda tensione verso il superamento della società attuale, sulla quale i compagni libertari sono molto sensibili.
Questi aspetti, in un momento in cui i sindacati di base attraversano una profonda crisi, che attraversa a maggior ragione il campo dei sindacati confederali, ci rende attrattivi nei confronti di molti lavoratori che sentono un impulso di ribellione verso questo stato di cose sempre più opprimente. Non dimentichiamo che l'Unione Sindacale Italiana, pur essendo un sindacato che si ispira ai principi dell'anarcosindacalismo, non è il sindacato anarchico, che sarebbe una contraddizione in termini, ma una associazione dei lavoratori che concordano sul metodo dell'autorganizzazione e nella pratica del conflitto verso ogni forma di oppressione, sia economica che politica.

Sintesi e concretezza

Quale giudizio esprimi sul XX Congresso di Modena che ha suscitato un buon interesse e ha visto una qualificata partecipazione di compagni e compagne, comprese le delegazioni della FAU tedesca e del Segretariato dell'AIT?
È un Congresso che cade a cent'anni dalla nascita dell'USI, avvenuta nella stessa città di Modena, e che si iscrive tra i suoi atti celebrativi. Esprimo un giudizio molto positivo anche se giustamente pretendiamo, soprattutto in questo momento che stiamo attraversando, da una organizzazione sindacale quale l'USI, con traguardi molto ambiziosi, una capacità di analisi, di sintesi e di operosità tale da saper dare le risposte adeguate alla difficilissima situazione che sono costretti ad affrontare i lavoratori.
Una volta superati nella fase congressuale iniziale – anche con soluzioni sofferte – i problemi interni, il clima del confronto è stato buono e sereno. Pur nella diversità naturale delle opinioni c'è stata la capacità di trovare la sintesi e la concretezza necessaria nelle decisioni prese, espresse attraverso mozioni che delineano i compiti più immediati e nella prospettiva futura dell'organizzazione. Una positività che tutt'ora continua, raccogliendone i primi frutti e che fa ben sperare per i traguardi futuri.

Quali sono secondo te le “coordinate generali” dell'anarcosindacalismo contemporaneo per consolidare ed estendere la ripresa dell'USI-AIT?
Innanzitutto continuare a praticare gli orientamenti evidenziati nel programma concordato del XX Congresso.
Pur non rinunciando alla nostra “specificità sindacale” che ci contraddistingue dobbiamo proseguire nel ruolo per realizzare il massimo di unità possibile nell'azione comune con tutte le componenti del sindacato di base, strutture di base sia sindacali che nell'ambito del conflitto sociale, attraverso la pratica di assemblee dal basso. Il metodo dell'autorganizzazione e dell'autogestione delle lotte deve essere il nostro tratto distintivo.
I nostri obbiettivi, naturalmente indirizzati alla difesa e al miglioramento delle condizioni nei luoghi di lavoro e nella società, devono essere sempre coerenti con la prospettiva di un cambiamento generale della società, come affermato nello stesso Statuto e nei Principi che stanno alla base costitutiva dell'USI, dove è scritto che l'organizzazione “tende alla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, all'abolizione dello stato e dei dogmi...”
Nell'immediato rivendichiamo un adeguamento con aumenti egualitari dei salari e delle pensioni, attraverso vertenze che sappiano unire lavoratori di tutte le categorie, forzando quel blocco imposto da governi, Confindustria e accettato dai sindacati confederali. Senza per questo rinunciare ad una battaglia rivendicativa per la riduzione dell'orario di lavoro che ha sempre distinto storicamente l'anarcosindacalismo.
Dobbiamo far saltare tutte le leggi e gli accordi che consentono la precarizzazione del lavoro, pretendendo l'accorpamento di tutte le forme di appalto da parte delle aziende committenti. Eliminazione di ogni forma di lavoro nero.
Dobbiamo difendere l'occupazione ostinatamente, a iniziare da quelle aziende che dismettono, per spostarsi in altri luoghi dove è più vantaggioso sfruttare la mano d'opera, o per interessi speculativi a livello territoriale, rivendicando la riappropriazione da parte dei lavoratori delle ricchezze (terreni, immobili, macchinari) che sono il frutto dello sfruttamento.
Dobbiamo, nel contempo, liquidare le aziende inquinanti, riconvertendole in aziende non inquinanti e per una produzione socialmente utile. Nel caso esemplare della vicenda dell'Ilva di Taranto ci siamo schierati apertamente con il “Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”.
Dobbiamo organizzare i precari e i senza lavoro nel rivendicare progetti socialmente utili costringendo le istituzioni a farsene carico. Dobbiamo aprire le lotte dei lavoratori nelle aziende d'interesse pubblico e sociale al sostegno degli utenti, attraverso obbiettivi di comune interesse. Dobbiamo scavalcare tutte quelle leggi e regole che impediscono ai lavoratori e alle lavoratrici in sciopero di sviluppare adeguatamente la propria forza rivendicativa. I lavoratori e le lavoratrici devono riconquistare la rappresentanza diretta delle proprie rivendicazioni con la pratica di assemblee che nominino i propri delegati al contrario degli attuali meccanismi imposti che impediscono la rappresentanza reale. Dobbiamo sviluppare e collegare, nel segno della solidarietà, le lotte dei lavoratori e degli oppressi a livello internazionale. L'appartenenza dell'USI all'AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori) si ispira ai principi del noto Congresso dell'ala antiautoritaria e libertaria a Saint-Imier, di cui quest'anno si è celebrato il 140° anniversario.
La dimensione internazionale dello scontro in atto è un'esigenza irrinunciabile se vogliamo contrastare efficacemente la forza che gli stati coalizzati e il capitale monopolistico oppongono, a livello mondiale, allo sviluppo emancipatrice della classe lavoratrice.
Infine, dobbiamo promuovere, ogni qual volta si presenta l'occasione favorevole, forme di autogestione fin da ora, per rafforzare la nostra spinta verso la realizzazione di una società libertaria e liberata da ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

G. F.

USI - Unione Sindacale Italiana -
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