rivista anarchica
anno 42 n. 376
dicembre 2012 - gennaio 2013


economia
Il buco nero del capitalismo

di Antonio Cardella, Alberto La Via, Angelo Tirrito e Salvo Vaccaro

Per le edizioni Zero in Condotta è uscito Il buco nero del capitalismo elaborato da quattro anarchici siciliani. Vuole essere non soltanto un'analisi esaustiva della crisi attuale che attanaglia l'Occidente, ma anche l'apertura ad una possibile alternativa che restituisca ai popoli capacità decisionali e percorsi di autentico sviluppo.
Ne pubblichiamo qualche stralcio.


Il declino del'Occidente
di Salvo Vaccaro

«Che la globalizzazione non sia una mera cortina fumogena, effetto di una produzione ideologica volta a depistare, ma rappresenti sul serio una profonda trasformazione della superficie del pianeta terra, senza intaccare la logica del dominio, ma modificandone enormemente le dinamiche, è sotto gli occhi di tutti i vedenti.
[...]
Per noi anarchici e libertari la tenuta analitica delle nostre tesi intorno al dominio come logica che muove gli assetti globali non è affatto in crisi. [...] Indubbiamente, la nuova fisionomia del pianeta terra che emerge dopo alcuni decenni di turbo-accelerazione globale incrina qualche nostra certezza della grammatica anarchica: in questi anni, abbiamo registrato che la forma stato può implodere, collassare, scomparire senza bisogno di scossoni rivoluzionari, di insurrezioni sociali, di attacchi al suo fantomatico cuore, di prese di Palazzi più o meno stagionati.
[...]
Man mano che lo stato sovrano perde prese su questioni che lo sovrastano, la politica si trasforma da scelta strategica a gestore amministrativo, realizzando beffardemente una profezia di Marx, ossia che lo stato si estingue e ad esso succede l'amministrazione impolitica, “neutralmente” tecnica. Ebbene, oggi prende il nome di governance, pratica non legittima (se non eventualmente a posteriori) di “governo senza governo”, come lo enunciano i teorici più avvertiti di tale paradosso reale, in cui politica e gestione anonima e irresponsabile, nel senso che non risponde a nessuno (e infatti, si conia il termine inglese “accountability”, mutuandolo dal termine aziendale, che significa “rendere conto”, ben diverso dall'essere responsabile verso qualcuno che è sovrano reale), si coniugano sino a rendere indiscernibile l'opzione politica che sorregge la governance, che infatti si pone come apodittica, ineludibile, senza alternativa: effetto TINA, There Is No Alternative.
[...]
Il declino dell'Occidente non è, quindi, solamente una funzione derivata di una sfera economica rarefatta che rinuncia a valorizzare merci e forza-lavoro, abbandonate a se stesse o ricollocate nell'area maggioritaria della fabbrica totale del pianeta, per indirizzarsi verso il flusso monetario
ininterrotto (fino a quando?) delle borse e delle imprese bancarie e dei fondi-pensioni; è altresì funzione di un riorientamento della politica mondiale [...] riassegnando benefits e privilegi per una minoranza del pianeta abituata sin dai tempi dell'accumulazione originaria del potere politico, ossia della violenza, ad accaparrarsi da sola tre quarti delle risorse della terra, elargendo briciole di cooperazione alla residua maggioranza dei quattro quinti del pianeta. Questo equilibrio asimmetrico è in procinto di concludersi, e la sua agonia è forse contrassegnata dal lento scivolamento verso regimi politici post-democratici e dalla cattura post-capitalistica della finanza globale sul connubio stato-nazione sovrano e capitalismo reale, a sua volta delocalizzatosi altrove.
[...]
Che allo stato subentrino dispositivi di governance planetaria, come è in atto, che al capitalismo reale subentri una dittatura finanziaria globale del capitale, come in atto, riflette una mossa camaleontica che ha reso secolare tanto il dominio politico, quanto il sistema capitalistico oggi globale. Il compito di decifrarne logiche e tendenze per meglio eluderne le strette, sfuggirne alla cattura e praticare associazionismo e legami sociali ad essi estranei e conflittuali spetta in ultima analisi a tutti coloro che portano un mondo nuovo nei loro cuori.»

Salvo Vaccaro

Dinamiche e strumenti nuovi
di Antonio Cardella

«[Da noi in Italia] l'osannato presidente Napolitano ha compiuto il miracolo di aver sollevato dalle spalle di un guitto l'onere del proscenio, dove era ormai insostenibile la farsa che recitava, e di avere affidato ad un azzimato tecnocrate in loden grigio verde, dal tratto marcatamente gesuitico, il compito di razionalizzarne il progetto.
[...]
Quello che è veramente drammatico rilevare è che, in proporzione, le logiche e le pratiche del governo Monti sono le logiche e le pratiche delle principali istituzioni europee. Seguono ambedue la stessa direzione di un percorso che non li porta da nessuna parte: nella misura in cui i principali governi del Vecchio Continente non hanno la minima idea di come arginare la deriva disastrosa di una finanza distruttiva, e di come sia possibile ridurre la forbice tra chi possiede risorse smisurate e la stragrande maggioranza delle popolazioni che è in gravissima sofferenza, l'Europa intera è un'entità a perdere. Certo, i tempi saranno lunghi e differenziati: a collassare per primi saranno gli Stati più deboli, come già sta accadendo con la Grecia, il Portogallo, L'Irlanda e la Spagna; l'agonia degli altri sarà forse più lunga, ma il destino identico.
[...]
Sono da sempre tra coloro che ritengono il sistema occidentale, nel suo complesso, inemendabile. Non è, quindi, con i pannicelli freddi che si può ridurre la febbre da cavallo che affligge l'ammalato.
Ritengo, quindi, che bisogna trovare dinamiche e strumenti nuovi per tentare di rimettere l'uomo – quello concreto, non la semplice e logora categoria dello spirito in uso nella società della dissipazione e dell'ineguaglianza – al centro delle finalità e delle pratiche di comunità che nascano all'insegna della libertà e dell'eguaglianza, con progetti in progress condivisi, non velleitari e senza la macchia di attese messianiche velleitarie e autodistruttive.»

Antonio Cardella

Liberismo e miseria
di Angelo Tirrito

«A prescindere dalla buona o cattiva fede del tecnico, quel che avviene è che delegando al mercato e solo ai suoi meccanismi il compito di risolvere i problemi, i politici uccidono se stessi. Perché la differenza tra politica e tecnica in fondo consiste in situazioni semplicissime. La tecnica ha solo una o poche soluzioni obbligate, spesso di obbligatoria immediata esecuzione e sempre gestite da una elite ben identificata ed auto referenziata, la politica può fornire una molto più ampia gamma di soluzioni valide e partecipate e, comunque, comprese se non da tutti certamente dai più.
[...]
è tipico che il tecnologo che si veda scelto, trovi conveniente ritenere che chi lo ha scelto abbia già espresso il giudizio di valore sui risultati che gli vengono richiesti. A lui, tecnico, è solo affidato il compito di raggiungere questi risultati.
[...]
Il liberismo è basato sull'assioma dell'esistenza dell' interesse comune alla competizione che, apparentemente, permette il coltivare tutti gli ideali e tutte le religioni purché sia garantito il riconoscimento della “vittoria” a prescindere e dai metodi usati e dalle vittime che ha provocato. Il liberismo, quindi, non è lo stato finale di una società, ma diventa soltanto la situazione che consente il perpetuarsi all'infinito della competizione tra individui, società, gruppi ecc. perchè il premio ai vincitori legittima la miseria dei perdenti. »

Angelo Tirrito

Una macchina che stritola tutti
di Alberto La Via

«Di fatto, almeno una generazione di persone, in Italia, è stata letteralmente bruciata non solo nelle aspettative, ma anche nelle aspirazioni. Spesso si dice, non senza una malcelata e ipocrita rassegnazione, che per la prima volta nella storia (o almeno dal secondo dopoguerra) i figli stanno peggio dei padri. Al progresso (se così lo si può definire) lineare di una società che riusciva a garantire sempre nuove risorse e opportunità a chi veniva dopo, si è sostituita una stagnazione permanente, se non addirittura recessiva, in cui è pressoché impossibile costruire alcunché.
La sensazione, palpabile tra la maggior parte delle persone che non godono di privilegi e non possono contare su alcuna posizione di rendita, è che il futuro sia qualcosa di inimmaginabile. Si vive alla giornata, non nel senso banalmente romantico dell'espressione, ma proprio perché ci si sente senza prospettiva. La costante destrutturazione del sistema formativo, la frammentazione del mercato del lavoro, l'elevazione a sistema del precariato (con l'imposizione di contratti a termine in ogni ambito lavorativo, con tutto quello che ne consegue), la progressiva demolizione dei diritti e delle tutele che sembravano intoccabili, sono alcuni degli elementi portanti di una macchina che stritola tutto e tutti e costringe a nuove forme di schiavitù.»

Alberto La Via

Il buco nero del capitalismo”
(120 pagine) costa € 7,50.

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