Africa
Niente di nuovo sul fronte maliano
di Paolo Soldati
L'intervento militare della Francia in Mali è il primo caso di uso della forza nello scenario internazionale da parte della presidenza Hollande.
Quali sono le vere ragioni di questa scelta e quali le possibili conseguenze?
La Francia è di nuovo
in guerra. Senza grandi sorprese infatti, prima del previsto
e contrariamente all'idea iniziale di limitarsi solo ad un appoggio
tecnico alle truppe africane dell'Ocde che sarebbero dovute
intervenire sotto mandato dell'Onu, la Francia ha deciso di
intervenire unilateralmente con tutta la sua potenza militare
sul terreno. Truppe francesi stanno combattendo contro i radicali
islamici che da più di un anno hanno occupato la regione
semi-desertica del nord del Mali.
Le giustificazioni sono le solite: salvare il governo amico
del Mali, sostenere la democrazia del paese, combattere gli
islamisti di Al Queida, proteggere i circa 6500 cittadini francesi
presenti sul territorio maliano. Dietro questa propaganda soporifera
in realtà ci sono altri obiettivi. Interni ed esterni.
Hollande è stato criticato da tutte le parti per la sua
politica da pacioccone un po' provinciale. Una politica molle,
senza decisioni forti in difesa dei ceti meno abbienti, dei
lavoratori: la classica politica socialdemocratica fatta, sul
piano economico, di piccole concessioni agli uni e agli altri.
Senza la volontà di cambiare radicalmente l'assetto economico.
Un colpo al cerchio, uno alla botte. Più forti i colpi
alla botte piena di povera gente, leggeri quelli al cerchio
dei ricchi. Il suo slogan di campagna “Un presidente normale”
gli è stato rinfacciato fino alla nausea, soprattutto
dalla destra, che lo accusava di non avere né le capacità
decisionali né la statura (!) di Sarkozy.
La sua quota di popolarità è caduta in un pozzo
fermandosi per ora al 35 per cento, cioè, grosso modo,
l'elettorato del partito socialdemocratico del quale è
stato a lungo segretario nazionale. Una delle più basse
della storia della quinta repubblica, nemmeno Sarkozy, è
mai sceso cosi in basso.
Immediatamente dopo il primo attacco aereo sul “fronte”
islamico che divideva il nord del paese dal sud, la classe politica,
unanime, lo ha acclamato, riconoscendo finalmente in lui un
vero presidente. La capacità di mandare altri a farsi
ammazzare – nel nostro caso per un governo mafioso –
conferisce lo status di “uomo di stato”. Perfino
i Le Pen (padre e figlia) si sono gargarizzati la gola dando
il loro pieno ed intero sostegno a Hollande, il che è
tutto dire considerando l'odio viscerale che i due – e
i loro militanti frontisti – nutrono per qualsiasi sfumatura,
non dico di rosso, ma nemmeno di rosa.
Dunque oggi Hollande ha assunto pienamente il suo status di
presidente. Niente di sorprendente per noi anarchici. Nel momento
in cui il fossato tra ricchi e poveri si divarica sempre di
più un intervento guerrafondaio serve a creare un'unità
di facciata – tutti uniti dietro l'esercito –, serve
a rilucidare l'immagine della Francia a farla ridiventare, agli
occhi degli sciocchi, quella di una potenza mondiale da tempo
in difficoltà. Non da ultimo, l'intervento militare francese
serve a fare sfoggio della capacità tecnologica dell'industria
bellica francese. Gli aerei da caccia Dassault sono in prima
linea anche per mostrare ai potenziali acquirenti le loro capacità
di distruzione.
Il Rafale, l'aereo da caccia Dassault, non ha mai trovato uno
sbocco sul mercato internazionale e tutti i presidenti francesi
si sono fatti in quattro per poterne vendere almeno un esemplare
all'estero. Il problema è che sono estremamente cari
e ogni tanto si schiantano. Recentemente il Brasile e gli Emirati
Arabi li hanno scartati e si sono orientati verso apparecchi
americani. A proposito, chi è Dassault? Serge Dassault
è senatore del gruppo Ump, grande amico di tutti i nomi
importanti della destra, in particolare dei presidenti di destra
e, ultimamente, grande amico di Sarkozy. Serge è proprietario
tra l'altro del giornale di destra “Le Figaro”,
testata totalmente impegnata nella difesa dei privilegi di una
piccola ma ricchissima parte della popolazione. “Le Figaro”
non è un giornale d'opinione, è uno strumento
militante a sostegno della politica di destra (a volte destra
estrema) nel panorama editoriale francese. E Serge Dassault
vi firma spesso articoli velenosi. Uno dei suoi figli, Olivier,
è deputato all'assemblea nazionale. Questa penetrazione
nelle ruote del potere non scandalizza nessuno.
I “nuovi liberatori”
Hollande ci dice che la sua decisione di intervenire in Mali
è a sostegno del governo democratico. Difesa sì,
ma di un governo corrotto e golpista. Nel momento in cui il
nord del paese era invaso da circa 5000 militanti islamici,
l'esercito non ha trovato di meglio che fare un colpo di stato
e mettere un colonnello sulla sedia presidenziale, senza muovere
un dito per difendere le popolazioni di Tombouctou, Gao
ecc., terrorizzate dagli invasori e costrette a subire la Shari'a.
Allora perché Hollande ha deciso di inviare le truppe
dei reparti d'élite? Il governo francese interviene in
realtà per difendere gli interessi francesi. Parecchi
stati della regione si sono trovati, in passato, sotto il giogo
della colonizzazione francese e tutti i governi francesi si
sono sempre considerati a casa loro, malgrado le lotte sfociate
nell'indipendenza. Insomma, quella che qui in Francia si chiama
la “Franciafrica” e che ha portato a scandali memorabili
– qualcuno della mia età si ricorderà, ad
esempio, dei diamanti dati da Bokassa all'allora presidente
Giscard d'Estaing.
Nel Mali sono presenti le più grandi imprese del CAC
40, da Bouygues a Vinci nel settore minerario aurifero a Total
nel settore petrolifero ecc. Total ha ambizioni sul nord del
paese, ricco di petrolio e di materie prime. Difesa degli interessi
francesi all'interno del Mali dunque, ma anche il timore che
una destabilizzazione di questo paese tocchi con un effetto
a cascata il Niger e la Mauritania. La politica energetica nucleare
francese infatti è completamente dipendente dall'uranio
estratto da Areva nella vicina Repubblica del Niger. Un'interruzione
dell'approvvigionamento di questo metallo metterebbe in serie
difficoltà sia la filiera delle centrali nucleari “civili”
che quella militare. La Mauritania è seduta su un mare
di petrolio che ovviamente attira i cupidi sguardi delle imprese
occidentali e in particolare francesi (vedi Total).
La popolazione maliana oggi vede nelle truppe francesi i nuovi
liberatori, i telegiornali ci mostrano donne e bambini acclamare,
con le bandiere tricolori, i soldati francesi che vanno al fronte.
La presenza di queste truppe ha cancellato dalle memorie la
violenza del passato coloniale e le lunghe guerre di liberazione,
il recente scriteriato intervento in Libia, il saccheggio delle
risorse e la recente politica di rinvii forzati di cittadini
maliani espulsi con i charter, ammanettati, dal territorio
francese.
Per ora la Francia, malgrado la retorica, è abbastanza
sola in questa operazione, vedremo se altri paesi, in particolare
gli Stati Uniti e l'Inghilterra, si muoveranno al suo fianco
dopo la tragica conclusione della vicenda degli ostaggi in Algeria.
In ogni caso questa solitudine mette in luce in modo lampante
chi ha le mani sul malloppo. E parlando di mani, sapendo che
una sola bomba telecomandata costa 300˙000 Ä, chi si frega
le mani sono le imprese del complesso militar-industriale, Dassault,
Thales, Matra e tante altre, che vedono nelle guerre il mezzo
per arricchirsi rapidamente, e dietro loro i milioni di anonimi
azionari che vedono il prezzo delle loro azioni aumentare...
Niente di nuovo per noi anarchici.
Comunque vada a finire questa guerra (lampo, insabbiamento nelle
montagne del nord, altri sequestri ed attentati) sono convinto
che Hollande sarà il prossimo Nobel per la pace e parlando
di pace la colomba bianca, quella con il ramo d'ulivo nel becco,
mi sembra abbia qualche difficoltà nel prendere il volo.
Paolo Soldati
soldati.paolo@wanadoo.fr |