rivista anarchica
anno 43 n. 378
marzo 2013


a cura di Alessio Lega


Mala Testa.
I pro e i contro di un altro disco


Fare ancora un disco è inutile e anacronistico.Però non siamo ancora riusciti a far di meglio... non paia questa una excusatio non petita, perché sto proponendo qualche riflessione che sta dietro al mio nuovo lavoro discografico Mala Testa. C'è proprio un problema irresoluto nei musicisti che si ostinano a far dischi, e per farli intendo: a stamparli sul supporto del cd.
Prendiamo atto che, noi stessi musicisti, di dischi ne compriamo quanti ne comprano la media degli amanti della musica: pochissimi, quasi niente, forse zero! Se parecchi cd girano ancora per le nostre case è perché ci regaliamo fra di noi le nostre stesse opere. Ma quante volte qualcuno di noi si reca in un negozio di cd a veder cosa c'è di nuovo? Cos'è uscito? Ancora dieci anni fa – forse poco più – era una dolce dispendiosa abitudine... come per la libreria. Poi, con una più o meno testarda resistenza, ci saremo pur convertiti agli mp3, alla condivisione più o meno legale dei files musicali. Qualche dandy del terzo millennio magari è tornato a procurarsi degli sceltissimi vinili. E poi la musica è deflagrata in rete. Se oggi mi vien voglia di ascoltare un pezzo, voglio ripassare una data soluzione arrangiativa, non vado a scartabellare fra le migliaia di cd – che non ho avuto il coraggio di buttar via, ma che per lo più se ne stanno archiviati negli scatoloni – ricorro a Youtube. Tanto il computer è sempre acceso e io vivo connesso.
Certo, conosco i vistosissimi difetti della musica “liquida”, primo fra tutti la scarsa qualità sonora, ma la nostra vita sempre più affollata d'impegni, costretta in spazi abitativi sempre più esigui, precaria e dilaniata dai continui spostamenti, quanto meglio si concilia con la comodità di avere accesso in ogni momento e in ogni luogo con una fornitissima Discoteca di Babele, costruita dalla pazienza di milioni di appassionati animati dal demone della condivisione.

Fare ancora un disco – sapendo tutto ciò – è contraddittorio.
Però non siamo ancora riusciti a far di meglio... e così abbiamo fatto Mala Testa.
Ho sempre pensato che il vero lavoro dei musicisti, quello che a me più appassiona, è il lavoro dal vivo: pensare e ripensare scrittura, interpretazione e arrangiamenti, in relazione alla dinamica viva e collettiva della risposta del pubblico.
Le canzoni si continuano a scrivere, se ne inseriscono di nuove negli spettacoli, si cerca di scalzare qualcuna delle più vetuste. Le canzoni mai pubblicate sul disco però – anche se eseguite in pubblico – dopo un po' ci ossessionano, non riusciamo a liberarcene, ci appesantiscono e intorpidiscono lo stimolo a scriverne di nuove. Ci sembra che chiedano a gran voce di essere registrate, per lasciarci liberi di andare avanti, cercare nuove strade espressive per nuove storie da raccontare.
L'unica forma soddisfacente per proporre un gruppo di canzoni resta il disco, è solo allora che ci sentiamo di aver proposto quelle canzoni nella loro forma ideale. Poco male se poi ogni ascoltatore ne prediligerà alcune alle altre, riascolterà ossessivamente la stessa, magari sentirà una sola volta il cd nella sua completezza e nell'ordine suggerito: sono tutte cose che noi facciamo coi dischi degli altri. Solo quando pubblichiamo un cd, pensato come un'opera coerente, riteniamo di aver consegnato una fotografia che, almeno per un'attimo, nelle intenzioni ci somiglia.

Perciò fare il disco Mala Testa mi era indispensabile.
Mi concederete che ho aspettato molto, moltissimo: Mala Testa è il sesto disco che incido, ma di fatto il secondo come autore completo. Dopo Resistenza e amore – prodotto musicalmente dai Mariposa – mi sono dedicato alla rilettura del patrimonio di canzoni francofone e internazionali, riadattando per la nostra lingua e per il nostro presente opere urgenti e misconosciute. Mala Testa ha dunque una gestazione quasi decennale, attentissima al presente e ai suoi suoni, non per fare opera di ricalco ma per trovare una strada e una musica adatta alla rinascita della canzone narrativa. Proprio come militante anarchico, sento la necessità di continuare un discorso rivoluzionario, ma oggi l'unico modo sensato di far politica mi sembra sia quello di raccontar storie. Di cantare le storie.

Come suonano le storie?

Errico Malatesta

La foto che vedete quassù è una foto giovanile dell'anarchico campano Errico Malatesta. Non è però una foto particolarmente riconoscibile: in genere le foto lo ritraggono in un'età più matura, con la faccia più scavata, più profetica, e anche un pizzico più faunesca. Con immagini come quella che vedete sotto, l'anarchico Malatesta viene consegnato alla Storia con la “S” maiuscola.

Errico Malatesta giovane (sopra)
e quasi settantenne (sotto).
La seconda foto è stata scattata
nel carcere milanese di San Vittore,
nel marzo 1921, durante lo sciopero della fame
che Malatesta e altri suoi coimputati stavano facendo
per protestare contro la detenzione preventiva
cui erano sottoposti da alcuni mesi

Ma le nostre canzoni vogliono evocare gli esseri umani un attimo prima che entrino nella Storia. Le canzoni sono il lato individuale, privato, emotivo dei personaggi che per volontà, per coraggio, per caso o per sfiga sono entrati nella Storia.
Spartaco (e Rosa Luxemburg), Dino Frisullo, Isabella di Morra, Matteotti, Sophie Scholl (la Rosa Bianca), le otto vittime della strage del '74 di Piazza Loggia che incontrano i sei immigrati saliti su una gru nel novembre del 2010 a Brescia. La storia del canto sociale delle mondariso del Nord Italia, quella collettiva dei lavoratori precari dei centri commerciali, in una canzone inedita di Ascanio Celestini (Monte Calvario). Questo è un disco pieno di ritratti, pieno di nomi. Mala Testa nasce per combattere due forme di oblio. L'oblio della Storia: al potere fa molto comodo che vengano dimenticate storie come quella della resistenza, delle lotte operaie, del femminismo e per questo riscrive i libri di scuola, finanzia le fictions televisive, oppure mette la memoria nel museo, la incide nelle medaglie, la seppellisce nelle celebrazioni vuote. Il secondo oblio è più personale, è l'erosione costante che il fiume del tempo fa su tutti noi. Tutti dimentichiamo tutti. È difficile tenere assieme il bagaglio dei vivi e dei morti, abitare le stesse stanze con tutti coloro che hanno fatto la nostra vita (la nostra storia) e non mi riferisco solo alla morte fisica, ma anche a quella morale di amici, fidanzate, mogli, amanti, compagni che non vediamo più. È la diaspora degli anni che ci vede vagare e ogni tanto fermarci estasiati per una musica, un sapore, una sensazione che ci riporta indietro di un colpo a dire: «quello ero veramente, dov'è che ho cominciato a perdermi?»
Questa è la battaglia che ho chiesto ai musicisti di ingaggiare suonando questo disco. Trovare il suono adatto a raccontare, per resistere al potere e per resistere al tempo. Questo è il senso del sottotitolo del disco «Che cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno?». Ci sono stelle che sono spente da milioni di anni eppure ci illuminano il cammino.
Se qualcuno ha avuto modo di ascoltare le mie canzoni avrà notato come queste canzoni cercavano un tono collettivo, volevano dire “noi”. In particolare esiste una mia vecchia canzone sui fatti di Genova 2001. Quella canzone ripete come un mantra “Chi siamo noi, Chi siamo noi, Chi siamo noi”... Ma da Genova in poi – e sempre più – faccio fatica a dire “noi”, chi è quel “noi”? C'è una memoria condivisa, una serie di punti di riferimento, una tradizione comune? Oggi è difficile dire “noi”, anche per paura che da questo “noi” molti, troppi si sentano esclusi. In questo disco canto singole storie a singoli individui. Queste storie però si ritrovano sempre in una storia collettiva. Non solo. Nessuno è credibile se non si mette in gioco di persona. Ai profeti chiediamo spesso di morire prima di prenderli in considerazione. Ai cantautori – per fortuna – chiediamo solo un po' di sincerità. Non posso solo occuparmi di temi sociali, facendo finta che i miei dubbi, le mie pene, le mie allegrie, i miei amori non entrino a gamba tesa. Mi fa male il Ruanda, ma se mi lascio con mia moglie mi fa ancora più male, se m'innamoro ancora tutto trova soluzione. È così, è umano che lo sia. Trovano perciò posto in questo disco una serie di canzoni d'amore (I baci, Insulina, Icaro) e di canzoni esistenziali (La scoperta di Milano). Il narratore qui – purtroppo – non riesce (ancora?) ad annullarsi del tutto dietro le sue storie. Non sono un cantastorie siciliano, portatore metafisico che parla per tutto il suo popolo. Non sono capace di scrivere nel mio dialetto. Non sono un Bluesman del Delta del Mississipi. Ma non sono nemmeno un rappresentante del cosiddetto Indie rock tutto avvitato sul proprio minimalismo, dolente e senza uscita. Non mi piace parlarmi addosso, non trovo utile la lamentazione. Quando con Rocco, Francesca e i due Andrea abbiamo suonato queste canzoni non abbiamo compiaciuto un ristretto giro delle medesime persone che va sempre negli stessi posti, che vede sempre le stesse facce, che parla sempre delle stesse cose, che beve sempre gli stessi cocktails. Noi vorremmo scuotere, turbare, nulla di intelligente può essere detto se si mira a rassicurare, meglio rischiare di far cagare tutti.
Mala Testa è un disco che si pone il problema di parlare della vita possibile e impossibile alla generazione dei vecchi delusi e a quella dei giovani disperati: non è detto siano condizioni anagrafiche. La vita oggi si nasconde nelle storie individuali, nei nomi degli eroi sconosciuti del nostro tempo senza storia. Mala Testa è il disco di un aspirante cantastorie appassionato di Folk, di Rock, incuriosito dal Pop, che suona nella piazza globale e cerca i tratti individuali nelle tante maschere della ribellione.
Pubblicare un disco è un'operazione anacronistica, dunque chi lo fa è in obbligo di provare a farne un'opera indispensabile. «Che cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno?». Quale racconto lasciamo dietro di noi? Cosa serve di noi agli altri? Oggi un disco è la cosa più inutile del mondo. Nessuno lo vuole, nessuno lo compra. Non sai se fai un disco per fare dei concerti o se farai dei concerti per vendere un disco. La discografia è la notte dei morti viventi. C'è un solo vantaggio nella situazione attuale: siamo liberi di fare ciò che veramente vogliamo, possiamo scrivere un capitolo del tutto nuovo. Questo non è più un lavoro e così proviamo a farlo somigliare alla vita.

Alessio Lega
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