rivista anarchica
anno 43 n. 382
estate 2013




La durata dei cuccioli

a cura di Felice Accame


1.
A quanto pare lo psicologo sociale Richard LaPiere, nel 1934, attraversa gli Stati Uniti in compagnia di una coppia di cinesi; entrano in 250 ristoranti e in 249 servono loro da mangiare. Uno solo, insomma, li rifiuta per la presenza dei cinesi. Più o meno contemporaneamente, il LaPiere aveva inviato un questionario agli stessi 250 ristoranti chiedendo loro se accettavano clienti cinesi e più del 90 per cento di loro aveva risposto di no. Si potrebbe dire che un conto sono i principi – sani o malati che siano – e tutt'altro conto è la loro applicazione. Se c'è da sbandierarli siamo tutti pronti, ma se c'è la possibilità di incassare quattrini senza che la dichiarazione dei principi stessi venga messa in forse, siamo anche pronti a sconfessarli – giusto per il breve lasso di tempo che impieghiamo nel metterli in tasca.
Più opportuni – più significativi –, allora, sembrano i risultati di una seconda ricerca anch'essa piuttosto datata.
Nel 1954, Lohman e Reitzes – siamo ancora negli Stati Uniti – si occuparono di 151 residenti di un agglomerato urbano tutti aderenti al medesimo sindacato. Se ne poteva presupporre, dunque, un certo grado di coesione. Bene: in quanto proprietari di case si opponevano alla presenza di neri fra loro, ma, in quanto sindacalisti, lottavano sul posto di lavoro perché i neri avessero pari opportunità dei bianchi.

2.
C'è da chiedersi, allora, quanto durano certi processi di valorizzazione e quali sono le condizioni che determinano il loro mutamento – quando, cioè, un valore lascia il posto ad un altro gerarchicamente sovraordinato. Credo che l'importanza della questione per la nostra convivenza civile non possa sfuggire a nessuno. Il caso degli “abitanti” recenti del parlamento italiano – pronti un giorno a sposare una causa e il giorno dopo la causa opposta – è lì a ricordarci la fertilità della metafora orwelliana della Fattoria degli animali, ma, alla fin fine, la questione ci tocca da vicino più di quanto siamo disposti ad accorgerci.
Allo scopo di tacitare le coscienze, qualcuno ha provveduto a dotare il patrimonio culturale dell'umanità dell'idea che “la coerenza è degli stupidi”, come se, quando parliamo di coerenza, parlassimo di rapporti da considerarsi eterni. È ovvio che la coerenza è il riscontro di un qui e di un'ora – ed è ovvio che, mutando i termini del problema, la soluzione non solo possa ma debba essere diversa.

3.
È maggio. Siamo nel 2013. Incontro per la strada cinque giovinotti. Mi vengono incontro camminando alla stessa maniera, uno a fianco dell'altro, capelli rasati, giubbottini stretti, scarpe pesantucce – uno si stacca un attimo e, gentilissimo, educatissimo, mi porge un volantino, “Prego, signore, le lascio un volantino”. Che, come sempre, prendo, ringraziando, e che mi leggo al volo. “Dona Amore”. Come fare a non essere d'accordo. Ci sono cinque cuccioletti incantevoli che mi guardano e varie scritte: “I lupi danno la zampa”, “Iniziativa urgente”, “Partecipa alla raccolta a favore” di un canile di Magenta; “Raccogliamo: cibo (secco e umido) per cani, antiparassitari, antifilaria, antibiotici”; un indirizzo, orari; un simbolo: un gatto e due cani, disegnati l'uno nella silhouette dell'altro, dove la constatazione è diventata nome, “I lupi danno la zampa”. Devo dir la verità: il simbolo mi inquieta un po', ma la porzione esplicita del messaggio non può che ottenere la mia approvazione. Appena arrivo a casa, tuttavia, vado in rete. Digito e ci ragiono un po' su. Nel sito si cita Konrad Lorenz e si invoca una “etologia dell'uomo”, per “vivere nella Natura e per la Natura e non solo per il denaro e per il consumo”. Ci si richiama ad “antichi vincoli tradizionali di conoscenza” non meglio specificati e ci si dichiara contro la “nevrosi di massa” che “riduce l'uomo moderno, prigioniero del delirio materialista e progressista, a devastare l'ambiente e ad auto-distruggersi”. Vado avanti. Si danno notizie: commemorazioni dannunziane, “onore ai caduti della Repubblica sociale italiana”, “vittime delle foibe”, “skoll eroica”, “Lealtà azione”. Ho capito. Vabbè, qualcuno dirà, non ci voleva molto a capire.

4.
Con tutto l'amore per la sua ochetta Martina e per tutti gli animali del creato – come racconta ne L'anello di re Salomone –, Konrad Lorenz – come non racconta ne L'anello di re Salomone né altrove – fu anche capace di chiedere – e ottenere – la tessera del Partito nazionalsocialista nel 1938 e di incoraggiare l'eugenetica. L'amore per la natura e l'interesse hitleriano per la dieta vegetariana sono noti. Skoll è il nome di un cantante e il nome di un gruppo musicale che qualcuno definisce “viking metal”. Nella mitologia nordica è un lupo che vuole divorare il sole – o qualcosa del genere – e che, pertanto, mi sembra poco propenso a dare la zampa. Su D'Annunzio il discorso si potrebbe fare più serio – c'è stato anche un D'Annunzio rivoluzionario (la Salaris dice anche “pre-sessantottino”) a Fiume e c'è stato un D'Annunzio rincoglionito puttaniere, ma, c'è stato anche un D'Annunzio più e meno fascista a seconda delle necessità del momento e, comunque, c'è stato un D'Annunzio reso fascista dai fascisti. Degli antichi saperi ho sempre diffidato. Se sono rimasti “antichi” qualche ragione ci sarà. La nostalgia è un tarlo pericoloso, almeno quanto quello del progresso.
Ci sarebbe, poi, anche la questione dell'etologia. È il nome di una scienza, non di un progetto sociale. Designa lo studio dei comportamenti degli altri animali nel loro ambiente da parte dell'uomo, ma nulla impedisce che, da quanto appreso, assumendo lo stesso punto di vista e utilizzando gli stessi strumenti di indagine, si possa guardare ai comportamenti umani e ricavarne qualche informazione nuova. Gli animali, insomma, ci possono dire qualcosa di noi stessi. Ma caricare il nome di questa disciplina di un valore – un valore per il quale darsi da fare – non sembra avere molto senso.

5.
Come è possibile, allora, che nel medesimo quadro di valori – nel medesimo quadro di valori praticato da una o più persone – ci sia posto per l'ideologia nazista e per i migliori sentimenti umani tutti intrisi di rispetto per la natura e per le creature che in questa natura gioiscono e patiscono – più patiscono che gioiscono? Come è possibile che un essere umano, improvvisamente condotto da un volantino alla pietà amorosa verso i cuccioli di cane possa ritrovarsi – giorni dopo, mesi dopo, anni dopo – neonazista pronto a sterminare i vicini di casa o chi non la pensa come lui sul checchessia di turno? Una risposta dovrebbe partire da queste constatazioni: i processi di valorizzazione sono effettuati qui e ora e nulla ci garantisce della loro durata nel tempo. Non solo: i processi di valorizzazione sono eseguiti uno per volta. E ancora: i processi di valorizzazione sono focalizzati verso un oggetto – un qualcosa, una merce, un'idea – distaccandolo mentalmente da tutto il resto. Valorizziamo questo e quest'altro e, a volte, non ci rendiamo conto che stiamo contraddicendo quel che abbiamo valorizzato in precedenza. L'incoerenza la si può vedere anche in termini di malattia sociale – una malattia indotta dal potere e dallo stato di necessità delle persone di soddisfare i bisogni del momento così come il potere esige. Il rimedio – l'unico rimedio possibile – è fatto di consapevolezza, di memoria e di una disponibilità: consapevolezza del fatto che nulla ha valore di per sé, ma solo in grazia delle operazioni mentali che l'individuo compie nei suoi confronti – un individuo che, allora, diventa responsabile dei propri valori e, in quanto tale, rispettoso dei valori altrui; memoria dei propri valori e di coloro che ci hanno preceduto. Su questa base – e soltanto su questa base – può manifestarsi la disponibilità a negoziare e a rinegoziare costantemente – contesto per contesto, momento per momento – la gerarchia in cui i valori sono ordinati e applicati nei minimi sistemi della quotidianità come nei massimi sistemi con cui – semplificando – periodizziamo il corso della storia.

Felice Accame

Note
Le notizie relative alle due ricerche di psicologia sociale sono tratte da Melvin L. DeFleur e Frank R. Westie, Atteggiamenti verbali e atti pubblici, in N. Warren e M. Jahoda, Gli atteggiamenti, Boringhieri, Torino 1976. Il riferimento al D'Annunzio pre-sessantottino si avvale dell'opera di Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione, Il Mulino, Bologna 2002.