rivista anarchica
anno 43 n. 383
ottobre 2013


etica

Non volere (il) potere

di Philippe Godard


Sfuggire allo sciagurato incontro con il potere. E alla servitù volontaria.
Osservazioni e proposte di un insegnante francese.


Le società in cui viviamo attraversano un periodo di completa, radicale trasformazione. Le radici stesse del Potere mutano continuamente perché il potere cambia luogo, o luoghi. Dal Potere degli Stati – controllati, secondo la pretesa di alcuni, dai popoli che ne eleggevano i rappresentanti – si è passati al Potere degli oligarchi, dei finanzieri o dei guru globali delle grandi compagnie private, da Brin et Page a Carlos Ghosn, da Google a Renault-Nissan, da Goldman Sachs a Hsbc. La Silicon Valley o il Googleplex non sono solo centri mondiali in cui viene plasmata la nostra nuova vita quotidiana: sono innanzitutto roccaforti, ora coalizzate ora nemiche tra loro, che si contendono il potere globale.
Questo accade proprio mentre noi rinunciamo a pensare il dialogo tra il Potere e il nostro (semplice) volere. Abdichiamo perché, in ordine sparso, “i partiti politici non servono più a niente”, “la sinistra è uguale alla destra”, “alla fine dei conti è la finanza che domina il mondo” e altre banalità – non per questo meno vere, in gran parte. Il Potere non è forse sempre stato oppressore della nostra volontà? E non lo è ancor più nell'era delle apparecchiature digitali fantascientifiche, dotate di algoritmi che scelgono per noi il nostro consorte, la prossima vettura da acquistare e persino l'aperitivo che berremo la sera al bar Sport con gli amici? Ormai, il Potere s'insinua nel profondo della nostra capacità di operare scelte, sia quelle minime sia quelle decisive per la nostra vita – o “un'altra vita”?
A proposito di quel Potere che sta sopra di noi, La Boétie afferma che ciascuno vuole sottomettersi ad esso, dato che la nostra condizione di servitù è volontaria. Volontaria, in quanto solo noi abbiamo la facoltà di rifiutarla. Volontaria per nostra non-volontà di fare altrimenti, di avere il coraggio, la forza o la pazienza di liberarci, di lavorare alla nostra liberazione – come se potesse esistere nella vita qualcosa di più esaltante che pensare la nostra emancipazione e lavorare per realizzarla.

Il potere di oppormi al Potere

Tutti noi, come singoli individui, abbiamo lo straordinario potere di rifiutare questa servitù: sappiamo fin troppo bene che qualsiasi “liberazione” venuta dall'alto è sempre uno stratagemma di qualche nuovo Potere pronto a commettere qualunque infamia per fondare una nuova legittimità, facendoci credere che vuole solo il nostro bene.
Che dire invece di quel semplice potere, con la minuscola, che è l'essenza della nostra liberazione individuale: ho il potere di sfuggire, di restare ai margini, diventare antagonista del Potere. Ho (sempre?) il potere di oppormi al Potere. Io in prima persona ho questo potere per me solo, e ciascuno per se stesso, dal momento che rifiutiamo in toto i messia della liberazione dall'alto, che siano teorici di partito o guru religiosi. Il fatto che questo potere con la minuscola – eppure dagli effetti infiniti – ci appartenga è solo un'illusione? Suprema menzogna della servitù volontaria che nasconde a se stessa la difficoltà di (soprav)vivere nel mondo del Potere? O piuttosto, di sotto-vivere.
Questa è la posta in gioco del Potere e dei nostri poteri minuscoli in un mondo che ormai si pensa come globale, che lo è realmente e che nell'arco di pochi anni ha completamente ribaltato i rapporti tra gli individui – esseri che ci si ostina a chiamare umani nonostante questa nuova dimensione del Potere li renda senz'altro a-umani, persino quasi trans-umani, o comunque “umano-globali”.
Cosa ne è del nostro volere?
È impossibile che La Boétie abbia indicato un vicolo cieco: che la nostra servitù sia volontaria è certo, ma dal momento che anche lui se ne è reso conto, ci deve essere anche altro, qualcosa che consenta per lo meno di analizzare la condizione di servitù che viviamo e che vogliamo.
Infatti, dire che la servitù deriva da noi stessi e dalla nostra volontà è una cosa, ma affermare che la nostra sola volontà sia quella di costruire noi stessi nella servitù e provarne compiacimento è un'altra. La nostra volontà va ben oltre la servitù. Contraddizione? Come si può mettere una mano fuori dalla prigione e pensare che in questo modo ci si possa ritrovare liberi pur restando prigionieri? Rimarrebbero comunque gli aspetti determinanti: volontaria la servitù e vani tutti i tentativi di emancipazione perché il muro è invalicabile in quanto muro di prigione – proprio ciò che noi vogliamo che sia.
[...]
Perché giustamente la politica non si riduce al Potere e alla sua conquista. E se Google, Goldman Sachs gli altri se lo contendono, lo contendono agli stati, alla polizia e agli eserciti, non è detto che uno o alcuni di loro riescano a vincere la battaglia e nemmeno che l'eventuale nuovo Reich riesca a imporsi come partito per i secoli a venire, come è nelle speranze di qualsiasi Reich. Soprattutto se, rispetto a loro e all'opposto di loro, anche noi cambiassimo radicalmente il nostro modo di considerare il potere con la minuscola – il potere che abbiamo noi sulle nostre vite – e facessimo politica alla nostra maniera, che di certo sarà diversa dalla loro.
Tutto si gioca proprio nel nostro modo di agire, di essere ai margini del loro consenso, di far valere le nostre volontà con la minuscola contro il loro Potere dalla maiuscola beffarda. La maiuscola è anche il segno della loro debolezza e la nostra via di fuga.
Nella conquista del Potere si intuisce una certa pesantezza – quella che aggrava il fardello degli oppressi, che finiscono per volere la loro servitù e renderla così meno soffocante proprio perché accettata. La natura di questa pesantezza è cambiata tra il novecento e l'inizio del nuovo millennio.
Equivaleva, in precedenza, a pesantezza burocratica, al castello kafkiano e ai big brothers, commisti a dirigenti ubueschi. Ora la ritroviamo volteggiare come una piuma, pensiero statistico e strategico insieme, tutta algoritmi che non abbiamo più nemmeno il tempo di stare a seguire. Una pesantezza leggera, se così si può dire – un ossimoro che ben potrebbe caratterizzare il nostro mondo, così come, nel maelstrom digitale, il testo si trova ad avere uno “statuto dinamico” (Raffaele Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Garzanti Libri, 2012), altro ossimoro perfettamente sintomatico della propensione di quel potere alla menzogna e alla sua correzione con un'altra menzogna. Ogni nuova menzogna dei politici è l'ammissione della loro precedente menzogna.
[...]

Verso mondi utopici

Emerge una nuova dialettica tra il Potere e il nostro volere di singoli individui, a cui il Potere non ha nemmeno avuto tempo di pensare. Nella sua logica, la soluzione è l'algoritmo: con la sua applicazione universale e tramite la previsione di ogni nostro minimo gesto e desiderio verrebbe costruita una nuova prigione, nella quale entreremmo consenzienti, come sempre è accaduto dai tempi di La Boétie – e anche da molto prima.
Perché pensare al Potere in questi termini? Perché lasciare al Potere il potere di analizzarci, di avverare i nostri desideri – che all'improvviso non sono più i nostri?
Non abbiamo più alcun potere, e da tempo: abbiamo solo singole volontà. Il Potere era, è e rimarrà menzogna. È servitù volontaria. Consiste nella nostra facoltà di dire “Io posso” quando dovremmo dire invece “Il Potere vuole per me ciò che io posso” – e mi costruisco un'apparenza di autonomia dichiarando che sono io il soggetto che “può” mentre è il Potere a darmene la facoltà.
Non possiamo sfuggire al consenso: noi vogliamo sfuggirgli, e sta solo a noi riuscire a farlo e lasciarlo là, il consenso, a bocca aperta, senza di noi, in disparte, e noi nella zona di margine piena di vita e del nostro volere individuale, con la minuscola ma infinito. Non è, non è più, non è forse mai stata una questione di potere. Basterà un semplice volere.
Il volere parte dai margini – al di fuori del consenso, ovviamente, dal momento che nel consenso non esiste più, oggi, alcuna libertà (o meglio, esiste una sola libertà, quella di aderire al consenso, di essere completamente felici e soddisfatti della propria servitù volontaria, il che è né più né meno che la storia degli ultimi millenni, da quando esiste lo stato, da quando le religioni ci abbrutiscono). L'unica volontà possibile all'interno del consenso è senza dubbio quella di cui parla La Boétie: voler essere servi.
Dal momento che quello che vogliamo noi – per noi e per gli altri – non è la presa di potere ma qualcosa di diverso, allora il nostro volere sarà in continua tensione. Verso mondi utopici.

Philippe Godard
traduzione dal francese di Federica Galuppini