società
Liberiamoci dal futuro del presente
di Andrea Papi
Quello che pensavamo futuro è già una realtà operante e presente perché è in atto un prodigioso sviluppo tecnologico robotico e cibernetico.
Il problema non è più se siamo capaci o meno di determinate innovazioni, ma, come diceva Bookchin, “la loro maggiore o minore convenienza dal punto di vista dello sfruttamento commerciale”.
Il futuro, che fino a qualche
anno fa sembrava mera fantascienza, è ormai diventato
presente in divenire. Lentamente, ma inesorabilmente, stiamo
infatti subendo un'invasione di forme e strutture tecnologiche
altamente sofisticate, destinate a cambiare radicalmente la
qualità della vita e a influire verso una metamorfosi
antropologica nel rapporto uomo/macchina. In Italia non ce ne
stiamo accorgendo perché il disastro generato da una
classe dirigente mafiosa e incompetente ci sta velocemente rigettando
in un passato che c'illudevamo estinto.
Quello che pensavamo futuro è già una realtà
operante e presente perché è in atto un prodigioso
sviluppo tecnologico robotico e cibernetico. I robot, il cui
nome deriva da un'opera teatrale del 1920 del praghese Karel
Capek, sono esseri artificiali, tecnoelettromeccanici, dalla
morfologia che riconduce a sembianze umane; Capek li immaginò
costruiti da uno zelante padrone di un'industria tech per sostituire
gli operai umani nelle fabbriche. La cibernetica è una
scienza applicata che si basa sullo studio delle analogie tra
i princìpi di funzionamento delle macchine e le funzioni
del cervello animale, specificamente umano, il cui scopo è
la realizzazione di apparecchiature automatiche e strumenti
elettronici.
A metà ottobre 2013 al museo delle scienze di Londra
è stato presentato ufficialmente Rex, il primo “uomo
bionico” interamente costruito e funzionante, fornito
persino di un artificiale volto umanissimo. È la cibernetica
applicata alla riproduzione degli organismi viventi che, seguendo
minuziosamente le indicazioni strutturali della neurofisiologia
e dell'elettrofisiologia, crea organi artificiali in grado di
sostituire perfettamente quelli naturali controllati direttamente
dal sistema nervoso. L'uomo bionico è una produzione
artificiale tecnoelettronica capace di surrogare in toto un
essere umano, ricostruito nelle sue parti e nelle sue funzioni.
Questo evento si combina perfettamente con l'apparizione di
Baxter, ultimo perfezionamento di una presenza diffusa nei luoghi
di produzione più avanzati da circa una decina d'anni,
in costante e sistematico miglioramento e perfezionamento. Baxter
è un robot, rapido efficiente e instancabile, che pesa
quanto un uomo medio, 75 chili, progettato per muoversi con
lentezza, cautela e in modo misurato. Ideale per esser rassicurati
avendolo accanto. Il suo attuale costo di mercato è di
22.000 dollari, più o meno un anno di salario di un operaio.
È intuibile che se la richiesta aumentasse fino ad assicurare
una rilevante produzione in serie il suo costo si abbasserebbe
di molto. Seguendo la programmazione elettronica che gli viene
inserita, Baxter è in grado di lavorare 24 ore su 24
producendo in modo standard e con ritmo costante. Ha soltanto
bisogno di un'indispensabile ordinaria manutenzione elettro/ingegneristica,
che rappresenta perciò l'unico costo di gestione per
il suo mantenimento.
Una combinazione insieme robotica e cibernetica destinata a
far tendenza, a diffondersi ovunque nel giro di qualche decennio,
fino a sostituire in grandissima parte il lavoro e lo spazio
d'intervento umano. Alcuni dati ne danno conferma. Già
nell'auto e nell'elettronica globali ci sono al lavoro 1,4 milioni
di robot perfettamente efficienti e funzionanti. Robert Shapiro,
esperto che ha lavorato sia con Clinton che con Obama, segnala
che in Alabama dal 2010 un'azienda gode di un aumento di produttività
di 300.000 freni in più all'anno senza aver assunto nessun
altro operaio. Anche gli autori di Race Against the Machine
(Come prosperare nell'era digitale), per esempio, sottolineano
che fra il 2000 e il 2010 in America non ci sono state assunzioni
e il numero di posti di lavoro è rimasto invariato.
Tutto ciò è perfettamente logico e conseguente
per come sta andando il mondo. Se programmati in modo adeguato,
i robot lavorano senza sosta e senza bisogno di illuminazione,
producendo ai ritmi richiesti con regolarità e praticamente
senza errori. Non mangiano, non hanno bisogno di dormire né
di riposarsi, non hanno sentimenti né pulsioni che possano
rendere ondivaghe le prestazioni, non vanno in ferie, non protestano,
non fanno sciopero e non piantano grane. Se trattati nel modo
giusto hanno una capacità di resistenza molto superiore
a quella di un lavoratore in carne ed ossa. Perché non
dovrebbero essere impiegati per sostituire mano d'opera umana,
portatrice al contrario di un sacco di incognite e di beghe
che fanno perdere tempo e denaro?
Progressiva emarginazione degli esseri umani
È qui importante ricordare che in Verso una tecnologia
liberatoria, saggio pubblicato all'interno di Post-scarcity
anarchism, Bookchin già nel 1965, quando gli scenari
attuali erano veramente fantascienza, affrontava con grande
acutezza e una buona dose di preveggenza il rapporto tra tecnologia
e libertà. Era convinto che se impiegata e pensata nel
modo giusto la tecnologia può instaurare una nuova dimensione
per la liberazione dell'uomo, perché è potenzialmente
in grado non solo di liberare dai bisogni e dalla schiavitù
del lavoro, ma anche di condurre a una forma di socialità
libera, armonica ed equilibrata, ad una comunità di tipo
ecologico che favorirebbe il libero sviluppo delle proprie potenzialità.
Oggi ciò non è possibile. Nell'era attuale, in
cui si è raggiunto un livello di conoscenza di base elevatissimo,
finanziando equipe di scienziati con a disposizione tutto il
necessario per la ricerca si possono programmare e commissionare
le invenzioni di cui si ha bisogno. “...il problema non
è più la possibilità o meno di riuscire
a realizzarli, ma la loro maggiore o minore convenienza dal
punto di vista dello sfruttamento commerciale”, afferma
lo stesso Bookchin in Post-scarcity anarchism a pagina
64. Ma chi può mettere a disposizione risorse tanto ingenti
come richiedono ricerche così aggiornate? Soltanto gli
stati, le università, le multinazionali, gli eserciti,
le holding finanziarie, cioè chi gestisce la ricchezza
interessato soprattutto a perpetuare il proprio potere e ad
arricchirsi, là dove il dominio si può muovere
liberamente in tutta la sua potenza. Questo spiega molto bene
come mai, inequivocabilmente, gli indirizzi di ricerca e le
produzioni tecnologiche siano sempre funzionali allo sviluppo
capitalista e in perfetta sintonia coi modelli di potere imperanti.
L'intuizione bookchiniana, che andrebbe aggiornata perché
è di un cinquantennio fa, mi trova concorde perché
vuole spostare il problema collegandosi a una visione libertaria.
Se una tale potenzialità a disposizione riuscisse a venire
incontro alle esigenze di vita di tutti e a rispondere ai problemi
sociali in modo comunitario, invece di essere al servizio dei
potentati di turno, non saremmo soffocati dalla colonizzazione
tecnologica imperante. Non ci troveremmo, come di fatto sta
avvenendo, subissati da un aumento di schiavizzazioni del lavoro,
da un impoverimento progressivo delle classi meno abbienti,
da un immiserimento delle scelte politiche, da un inquinamento
insopportabile e da un incremento, sempre meno collusione sempre
più convergenza, delle varie mafie che stanno occupando
i mercati e gli assetti finanziari del mondo.
Con l'attuale progresso tecnoelettronico e cibernetico si sta
verificando una progressiva emarginazione degli esseri umani,
ridotti a massa di manovra e sfruttati economicamente ed esistenzialmente
da parte di élite che, attraverso lo smisurato dominio
che stanno accumulando, attuano una crescente totale subordinazione,
abbinata all'annullamento di ogni possibilità di autonomia
sia individuale sia degli aggruppamenti spontanei, tenendo saldamente
in mano le sorti del mondo.
Contrastarle sul piano delle lotte tradizionali è ormai
inefficace perché non abbiamo più a che fare con
un nemico fatto di strutture/apparato che concentrano tutto
il potere su se stesse. Il dominio attuale, fluido e spesso
sfuggente, è molto più pregnante e non alberga
in palazzi del comando da conquistare. Bisogna diventare creativi
e trovare il modo di sottrarsi alla cappa di potere che ci stanno
costruendo addosso. Bisogna riprendere fortemente a sognare
di riappropriarsi della propria vita. L'invadenza tecno/cibernetica
che oggi sta avanzando, relegandoci in ambiti sempre più
asfissianti, ci dice con forte imperio che il futuro del dominio
è già pienamente cominciato.
A noi spetta cominciare a dare avvio con dirompenza al futuro
della libertà, diventando consapevoli che non possiamo
più demandarlo a eventi macroscopici, come le grandi
rivoluzioni del passato, illudendoci che siano d'incanto liberatorie
e taumaturgiche. La nostra azione si deve spostare dalla costruzione
dell'evento risolutore, che ormai dovremmo aver capito che non
esiste, al cambiamento qui ed ora con la costruzione continua
di spazi autogestiti di libertà che si sottraggano all'imperante
sottomissione organizzata.
Andrea Papi
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