rivista anarchica
anno 44 n. 386
febbraio 2014


crisi economica

A che punto siamo?

di Angelo Tirrito


Tra lavoro che non c'è e pensioni che si riducono, cercando di capire dietro i proclami e le spiegazioni del potere.
Senza perdere di vista l'Europa e la Germania.


Quindi oggi non ci resta altro che capire a che punto siamo.
So che è da ignoranti iniziare un pezzo con “quindi” che dovrebbe andar bene alla fine di quello che state leggendo e che andrebbe “quindi” usato per concludere una serie di riflessioni o periodi scritti e pensati con un minimo di intelligenza o un massimo di stupidità.
(Mi domando se più vicino a un minimo di intelligenza, sia un minimo o un massimo di stupidità. Il dubbio nasce da un problema che mi assilla dagli anni '60, quando udii per la prima volta il termine “attimino”. Mi chiedo ancora: attimino è un tempo più breve o più lungo di “attimo”? Il che vale anche per il suo opposto: “attimone” che anche se non è usato è doverosamente e logicamente esistente. Niente paura, vi risparmio le mie elucubrazioni sull'argomento e, pur sperando che voi vi poniate il problema, chiedo di non essere messo a parte di quanto concluderete. Mi piace il dubbio).
E allora: a che punto siamo? Per prima cosa dobbiamo stabilire quando e da cosa si è partiti. Questo storico avvenimento è stato identificato da tutti i più grandi pensatori e più pagati giornalisti nel 16 novembre 2011, giorno della nascita del governo Monti, nato proprio per portarci verso un futuro migliore o, quanto meno, per fermare il declino. Per chi nutriva speranze, il massimo del pessimismo oggi dovrebbe essere espresso col dire: “mio dio, siamo rimasti al punto di partenza”!
Invece... se guardiamo tutto ciò che di ufficiale fotografava allora e fotografa oggi la situazione economica e sociale di questo paese dobbiamo concludere che, per i lavoratori, i pensionati, i giovani, sarebbe stato un gran passo avanti che non fossimo proprio partiti. Le stesse fonti intanto ci tacciono che per altri il partire è stato più che un terno al lotto. Dico “più” perchè questi altri hanno lucrato molto ma molto di più di un qualunque terno che (credo) abbia dei limiti nel massimale di vincita. Il 16 novembre 2011 c'erano molte più imprese, c'era meno disoccupazione, i risparmi che i cittadini avevano messo da parte in una vita di sacrifici erano ancora a un livello possibile, la sanità e la scuola non avevano subito i tagli attuali, il problema degli esodati non sapevamo cosa fosse, Marchionne (per fortuna) non aveva ancora risanato la Fiat e i suoi operai ecc. ecc. Naturalmente c'era Berlusconi! E Monti e Napolitano ce ne avevano liberato!
Non è vero. Berlusconi è rimasto nella maggioranza che governava, anzi il suo era il maggior partito di governo. Di più. Non era più colui che ci aveva portato al disastro, ma lo avevano trasformato nel grande statista che, tirandosi indietro, ci permetteva di ripartire.

Lavoro e pensioni

Tranquilli. Non voglio tediarvi con le cose che sin da quel lontano giorno ho scritto sulla fine che mercato, esperti, finanza, politici. ci avrebbero fatto fare, ma voglio mettervi in guardia, se è possibile, da due stronzate che ogni ladro sentenzia nei talk show o ogni povero cristo intervistato per strada, anche durante le manifestazioni più estreme della sinistra, dice con il massimo di rabbia in corpo. I primi sentenziano: “Bisogna crearlo il lavoro”; i secondi: “non è giusto che certuni siano andati in pensione con il sistema retributivo e noi siamo costretti al sistema contributivo. Ricalcoliamole queste loro pensioni!”
Punto primo. Per favore, guardate chi sono quelli che dicono che bisogna inventarlo il lavoro. Sono politici, sono manager di successo, sono sindacalisti o economisti famosi, editorialisti di Repubblica e Corriere, quando non è addirittura il presidente della repubblica! Guardate quelle facce e poi guardatevi attorno. Guardate quanto lavoro c'è da fare. I paesi, al primo acquazzone, crollano, le corsie degli ospedali (pubblici) sono abbandonate alle lettighe di malati senza alcuna cura o conforto, i treni (per i pendolari) non esistono e quando esistono non camminano, i vecchi sono lasciati a se stessi, le scuole (pubbliche) hanno 35 alunni per classe in fabbricati fatiscenti senza riscaldamento o carta igienica... E questo non è lavoro? Dobbiamo crearlo il lavoro? Se seguendo le loro disinteressate ricette inventassimo una fabbrica di prodotti che sbaragliassero ogni concorrenza nel mercato, che fine farebbero queste nostre creazioni? Li trasferirebbero in Cina o in Romania, come esattamente avviene ogni giorno, lasciando i lavoratori e le loro famiglie nella miseria. Prima di creare del “nuovo” lavoro, bisogna fare il lavoro che c'è da fare. Bisogna gridarglielo in faccia. Il lavoro c'è!
Secondo. Considerare ingiusto il pensionamento con l'80% dell' ultimo stipendio è sacrosanto se si pensa allo stipendio dei direttori generali o dei presidenti delle corti, anche costituzionali, nominati a quel grado negli ultimi mesi di servizio proprio per aumentare loro le pensioni. Ma queste pensioni riguardano non più del 7-8% dei pensionati. Gli altri sono, mediamente, andati in pensione dopo 40 anni di lavoro con un salario o stipendio massimo di 1.500 o 2.000 euro. E le conseguenti pensioni di 1.200 o 1.600 euro sono una ingiustizia quando oggi, in massima parte, servono a far campare figli e nipoti disoccupati?
E poi è giusta una pensione contributiva? Sarebbe forse giusta se dipendesse dai futuri pensionati quando cominciare a lavorare, quanto percepire di salario o stipendio, quando smettere di lavorare ecc. Che equità sociale è questa in cui il giorno in cui si trova il lavoro e quanto si percepisce per quel lavoro non dipende dal lavoratore? Iniziare a lavorare a 35 anni con 600 euro al mese, restare disoccupati a 50, aspettare sino a 75 anni per avere la pensione dipende dal lavoratore? È un progresso? Dobbiamo fortemente volerlo? E i figli di quel 7-8% faranno la trafila di tutti gli altri?

Si inizia dall'Europa

Sto scrivendo questo pezzo stimolato dal penultimo numero di “A”, il 384, con due grandi articoli, grandi nella forma e nella sostanza, di Antonio Cardella e di Andrea Papi, per sottoporvi una considerazione, forse complementare e che non vuole contraddire quanto loro scrivono. Le loro analisi partono dal presupposto che quella che stiamo vivendo sia una crisi materialmente prodotta e voluta dai meccanismi di mercato descritti, coinvolgente quasi tutti con effetti, ovviamente diversi, sui ricchi e sui poveri.
Il mio punto di vista è che non sia una crisi che coinvolge, ma una manovra precisa voluta da chi ha la forza, la capacità, i mezzi di repressione e di condizionamento per raggiungere lo scopo, che non è quello di arricchirsi sempre di più, ma di impoverirci sempre di più.
Vi ricordate quello che nel 2007 o giù di lì diceva Tremonti: “l'Italia non è la Grecia. i cittadini italiani non hanno niente da temere, hanno risparmi e patrimoni superiori a quelli del resto d'Europa”. Era vero. Ma chi vuole raggiungere il dominio assoluto può accettare che altri possano, indipendentemente da loro, possedere anche una piccola parte della “loro” arma più micidiale? Il danaro deve essere loro proprietà privata e assoluta. Nessuno stato deve poterlo stampare o controllare. Chi può averne di più devono essere loro a deciderlo. Per ora si inizia dall'Europa, e poi... E intanto, cosa più importante, è che nell'Europa si identifichi, si premi, e si mantenga a un livello superiore una nazione che dia pieno affidamento di accettare ed eseguire gli ordini superiori che vengono impartiti, per ora di tipo finanziario. Dopo... vedremo.

Angelo Tirrito