rivista anarchica
anno 44 n. 386
febbraio 2014


spazi liberati

Autogestione in potenza
e potenza dell’autogestione

di Gaia Raimondi


Milano, quartiere Ticinese. Ripa dei Malfattori, un esperimento di azione diretta in evoluzione.
Appunti e riflessioni di una militante alle prese con problemi pratici, scelte etiche, modalità organizzative.
E con tanto entusiasmo.


L’11 ottobre 2013, una sera piovosa e fresca, appena dopo il temporale, un gruppetto di individui accomunati da abiti neri, ideali affini, un passato condiviso e recentemente sofferto, una voglia incondizionata di organizzare, far vivere un luogo abbandonato in totale autogestione e in assenza di dominio, occupa parte di un meraviglioso palazzo in mezzo a un parco, a due passi dalla movida della Milano da bere e degli happy hour, delle tonnellate di cibo spazzatura, di cocktails e divertimento mercificato, di telecamere e divieti ma anche di un vissuto storico importante.
Lo stabile di Ripa di Porta Ticinese 83 è un edificio popolare della prima metà del novecento affacciato sul Naviglio Grande, di proprietà del comune di Milano. Gli inquilini originari sono stati allontanati nel 2009 per decisione comunale, e gli occupanti che erano loro subentrati con progetti abitativi e sociali sono stati sgomberati nel giugno 2010 su mandato di un detestabile vicesindaco-sceriffo già conosciuto per le tendenze fasciste e le modalità repressive totalizzanti che, ironia della sorte, si riscontrarono anche il giorno stesso dello sgombero di Ripa, quando il camion previsto per lo sgombero portava addirittura il nome di De Corato, un’omonimia amara quanto la vista degli abitanti del luogo, costretti a portare fuori tutte le loro cose, sotto lo sguardo impietoso di forze del dis-ordine di ogni tipo e le facce tristi dei compagn* accorsi a supporto. Il primo esperimento dell’occupazione di Ripa che si stava brutalmente concludendo aveva però già fatto assaporare al luogo un germoglio di libertà, condivisione, abitazioni collettive, spazio sociale, orto e giardino.
Da allora la casa è stata lasciata a marcire, divenendo un precario rifugio per senza casa e tossicodipendenti, nonché ghiotta occasione di imbosco per gli spacciatori.
L’edificio è sottoposto a vincolo storico-artistico (in pratica il comune non può abbattere e ricostruire, come senz’altro preferirebbe fare), e quindi le istituzioni hanno tentato di trovargli una destinazione nell’avvilente farsa di Expo 2015; nel caso specifico, sarebbe dovuto diventare un albergo low-cost per il turismo giovanile. Nell’attesa di trovare investitori, invitati da un bando improbabile reperibile su web a cui pare nessuno abbia ancora risposto, per contrastare eventuali nuove occupazioni l’amministrazione comunale si è impegnata a distruggere le scale interne, tagliare i servizi, murare le finestre, saldare le porte; oltre a questo, bisogna aggiunge la quantità di schifo accumulato in un triennio di abbandono e il deterioramento delle strutture.
E così come un seme sotto la neve, sepolto la scorsa primavera con la dolorosa decisione collettiva di lasciare lo storico circolo dei Malfattori di via Torricelli 19 a seguito di lunghe, intense, dibattute e talvolta estenuanti discussioni e infine la scelta comune di cercare nuovi luoghi da liberare, fa rinascere in autunno un nuovo esperimento di autogestione e azione diretta; ritenendo inutile spreco l’abbandono dello stabile, lo si occupa, lo si apre, lo si sistema, aborrendo qualunque scelta speculativa e senza aver alcuna fiducia in chi governa la città, questo gruppetto di Malfattori si riappropria dell’ala est dell’edificio, una volta sede di un gommista, cominciandone i lavori.
“Associazione di malfattori” – così si intitolava l’articolo del codice penale con cui l’Italia umbertina, alla fine dell’ottocento, tentava di cancellare ogni attività sovversiva. La repressione ha causato – e causa ancora – tanti lutti e sofferenze, ma non ha potuto distruggere l’aspirazione dell’uomo all’uguaglianza e alla libertà.
Ancora oggi – a 150 di distanza – i “malfattori” rendono vivo uno dei tanti luoghi annichiliti dalla crisi e dalla speculazione per costruire un futuro migliore e rendere il presente degno di essere vissuto. È per questo che sabato 12 ottobre abbiamo aperto alla città uno spazio vuoto, malmesso, all’interno dello stabile di Ripa di Porta Ticinese 83, applicando uno dei metodi che stanno alla base del nostro operare: l’azione diretta. Fino al giugno del 2013 ci siamo riuniti presso il Circolo dei Malfattori, in via Torricelli 19, e andandocene ci siamo voluti portare dietro il nome; per cui abbiamo “battezzato” la nuova occupazione: Circolo anarchico Ripa dei Malfattori. Circolo anarchico perché d’ora in poi la vita interna dello spazio sarà regolata da principi antiautoritari sintetizzabili nella vecchia formula, ma a noi ancora cara: “né servi né padroni”. Molti già ci conoscono, e di conseguenza conoscono le attività che intendiamo portare avanti: presentazioni di libri e dibattiti, corsi e autoformazione variamente declinata, musica e teatro, proiezioni, cene e aperitivi a prezzi popolari (e, alle volte, senza prezzi). Siamo aperti a chiunque, tramite l’autogestione, abbia voglia di sperimentare uno spazio politico basato sul consenso e la democrazia diretta. L’unica differenza rispetto al passato è che potremo permetterci di stiracchiare di più gli orari e i decibel, visto che non abbiamo vicini a portata d’orecchio. (dal comunicato scritto in occasione della rioccupazione)

Milano, lo stabile di Ripa di Porta Ticinese 83

Trasversalità, diversità, affinità

Chi ha vissuto in prima persona l’esperienza del collettivo malfattore ha potuto assaporare cosa voglia dire veramente vivere l’anarchia, non tanto come idea basata su congetture di una società futura, ma come descrizione e attuazione di un modo umano di organizzarsi radicato nell’esperienza della vita quotidiana, che funziona a fianco delle tendenze spiccatamente autoritarie della nostra società e nonostante quelle. Risuonano nella mente, ogni volta che si ripercorrono ricordi condivisi con le compagne e i compagni di quest’esperienza vissuta insieme, le parole di Landauer, che concepiva l’anarchismo non solo come la creazione di qualcosa di nuovo, ma appunto come “la realizzazione e la ricostruzione di qualcosa che c’è da sempre e che esiste parallelamente allo stato, benché sepolto e straziato. L’anarchismo dunque non è cosa del futuro ma del presente, un processo in corso, un modus vivendi, al cui centro porre l’individuo comunitario, ovvero l’individuo impensabile come singolarità in quanto frutto delle sue relazioni con gli altri.”
“In una società in cui manca una struttura gerarchica specificatamente depositaria del potere politico i rapporti tra i vari gruppi sono visti come un equilibrio di potere che si mantiene grazie alla rivalità reciproca. Una federazione di gruppi può essere strutturata gerarchicamente a diversi livelli; l’importanza di ogni gruppo dipende dalle diverse circostanze ed è connessa alle diverse attività sociali, economiche, rituali o di governo. A un certo livello possono esservi relazioni di rivalità in una data situazione, mentre in un’altra quegli stessi gruppi si fondono in un’alleanza comune contro un gruppo esterno. A qualsiasi livello un gruppo ha relazioni di rivalità con altri per garantire il mantenimento della una identità e dei diritti che spettano in quanto gruppo, e può avere una struttura organizzativa interna che assicuri la coesioni tra i suoi elementi costitutivi. Ma gli aggregati che si presentano come unità in un contesto, in un altro si fondono in aggregati più grandi...” (1)
La trasversalità, la diversità, l’affinità sono sicuramente principi che fanno da collante per questo insieme di persone che hanno voglia di lottare insieme per costruire momenti, situazioni, luoghi di incontro, scambio, condivisione sulla base della libertà degli uguali, che sebbene abbia scelto l’anarchismo come fonte ispiratrice non ne fa dogma né una peculiarità unica di scelte, ma piuttosto uno strumento di lavoro, una cassetta degli attrezzi da cui attingere quello che può servire per dialogare con l’universo mondo, interrogandosi sulle contraddizioni del proprio vivere quotidiano e metodologico al suo interno, con norme condivise, dialoghi, differenti energie, sfumature, pensieri.
Altra assonanza che rende possibile l’autogestione tra i malfattori e le malfattrici è l’attitudine all’azione diretta, che porta a riconoscersi come individualità libere, disposte a vivere in modo responsabile in una micro società libera all’interno di un sistema non liberato. L’armonia creata nel nostro agire, sia essa finalizzata alla realizzazione di un’iniziativa, delle pulizie, dei lavori di ristrutturazione, dei dibattiti e delle relazioni personali che intercorrono fra noi, è un’armonia che nasce dalla complessità, poiché una struttura organica implica contraddizione, opposizione, indipendenza.
È stata una sensazione forte, viscerale, per le/gli occupanti, riprendersi il vecchio LabZero, prendersene cura, dormire tutt* insieme per i primi giorni e vedere come anche solo una quindicina di persone possano creare nuovi mondi possibili, sicuramente limitati, ma funzionanti, agenti, rapidi ed efficienti. “Basandoci sulla testimonianza della storia umana, nessun tipo di società è impossibile” (2). La differenza sta nel fatto che mentre l’autorità si può imporre la libertà assolutamente no; noi siamo solo una delle forze che agiscono nella società ma proprio perché scegliamo la libertà realizziamo nel presente spazi di autogestione reale, tangibile, fresca di rinnovati entusiasmi e al contempo carica di vissuto personale di ognun* di noi. Una fratellanza davvero profonda si è rinsaldata con questa messa in campo di azione diretta nel nostro piccolo universo tra noi e le persone attorno se ne stanno accorgendo, i nostri sforzi e la nostra determinazione hanno destato anche il quartiere circostante,che reagisce alla nostra presenza con simpatia e solidarietà.

Il degrado e l’abbandono del cortile interno dello stabile

Allargare i nostri orizzonti

Una componente importante nell’impostazione anarchica dei problemi organizzativi è costituita da quella che potremmo definire la teoria dell’ordine spontaneo. Essa sostiene che, dato un comune bisogno, le persone sono in grado, tentando e sbagliando, con l’improvvisazione e l’esperienza, di sviluppare le condizioni per il suo ordinato soddisfacimento; e che l’ordine cui si approda per questa via è di gran lunga più duraturo, e funzionale a quel bisogno, di qualsiasi altro imposto da un’autorità esterna.
È esattamente sulla base di quest’idea che il collettivo malfattore sta portando avanti le proprie attività; ma niente di nuovo, se ne parlava già a fine ottocento.
Kropotkin derivò la sua versione di questa teoria dai suoi studi sulla storia della società umana e dalla riflessione dei fenomeni che caratterizzarono i primi passi della Rivoluzione Francese e della Comune parigina del 1871. Nella scientificità dell’analisi di Kropotkin si legge la dimostrazione del fatto che l’istinto “all’aiuto reciproco e alla cooperazione volontaria è altrettanto forte quanto quello dell’autorità e del desiderio di dominio.” È proprio quello che stiamo cercando di fare, rinegoziando di volta in volta, di proposta in proposta, di idea in azione, le nostre singole pulsioni, desideri, aspettative. Col dialogo, il confronto, la ricerca dell’unanimità pur nella diversità ci sta facendo crescere collettivamente ma anche individualmente. E il vedersi materializzata un’utopia possibile, quella di una sede nel cuore della storica Milano resistente è testimonianza reale che il metodo autogestionario funziona e dà soddisfazione.
L’idea ora è quella di allargare il più possibile i nostri orizzonti, riempire di contenuti qualitativamente interessanti il nuovo circolo che nel suo primo mese di esistenza ha ospitato fiere di autoproduzioni, reading, presentazioni, aperitivi, cene e spettacoli teatrali, oltre che l’ordinaria assemblea aperta del martedì sera.

Gaia Raimondi

Note

  1. John Middleton e David Tait (a cura di), Tribes without Rules: Studies in African Segmentary Systems, Londra 1958.
  2. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, Elèuthera, Milano.

Kropotkin/“Date mano libera al popolo...”

I gruppi volontari, organizzatisi in ogni caseggiato, in ogni strada, in ogni quartiere, non avranno difficoltà a mantenersi in contatto e ad agire all’unisono... se i sedicenti teorici “scientifici” si asterranno dal ficcare il naso... Anzi, spieghino pure le loro teorie confusionarie, purché non venga concessa loro alcuna autorità, alcun potere!
E le meravigliose capacità organizzative di cui dispone il popolo – che così raramente gli viene concesso di mettere in pratica – consentiranno di dar vita, anche in una grande città come Parigi, e nel bel mezzo di una rivoluzione, ad una gigantesca associazione di liberi lavoratori, pronti a fornire a se stessi e alla popolazione i generi di prima necessità.
Date mano libera al popolo, e in dieci giorni il rifornimento alimentare funzionerà con la precisione di un orologio. Solo coloro che non hanno mai visto la gente lavorar sodo, solo quelli che hanno passato la vita tra montagne di documenti, possono dubitarne. Parlate del genio organizzativo del “grande incompreso”, il popolo, a chi ha assistito, a Parigi, ai giorni delle barricate o a chi ha avuto modo di vederlo in azione durante il grande sciopero dei portuali londinesi, quando si trattò di dar da mangiare a mezzo milione di gente affamata: essi vi dimostreranno quanto sia più efficace dell’ufficiale inettitudine di Bumbledom.

Pëtr Alekseevic Kropotkin
La conquista del pane, 1892.


Toh, ritorna il giornale murale

Un'interessante progetto intrapreso già dalla scorsa primavera e che sta continuando è un giornale murale per comunicare in maniera rapida ed efficace col quartiere, alle fermate degli autobus, sui muri della città, in metro o dovunque ci sia spazio. Poche battute per letture veloci ma incisive e immagini autoprodotte che lasciano il segno.
Dietro a ogni malfattore si nasconde una persona; dietro ogni muro si nasconde un malfattore, sopra ogni muro trovate il malfattore! In poche battute e riappropriandoci di qualche spazio qua e là tra muri silenti e pubblicità arroganti, temporaneamente forse, abbiamo l'ardita pretesa di lanciare spunti, immagini, flash, raccontare frammenti di attualità interessanti e di storie passate, che ci appassionano e ci aiutano ad avere un pensiero critico sul presente, al fine di un progettare futuro che possa rivoluzionare le nostre vite quotidiane, le nostre relazioni, il nostro tempo e i nostri spazi.
“'E ci chiaman malfattori..', forse perché siamo una micro entità di individui che vorrebbe stimolare bande di sognatori a compiere misfatti atti al risveglio dalla aberrante quiete in cui siamo costretti, mercificati, assoldati (1); 'malfattori perché profondi amanti della libertà degli uguali, o perché sperimentatori di riflessioni e mutamenti all'interno delle nostre vite e delle nostre relazioni, animati dal desiderio di cambiare, almeno / se non altro per lo spazio di due A3, la grigia realtà metropolitana che ci azzittisce con mura di cemento, palazzi sempre più alti, che erge barriere comunicative sempre più sottili, ci costringe a vivere in città rese mostruosamente postmoderne, a misura di dominio e speculazione più che a misura d'uomo, connessi tra noi sempre più in rete virtuali e sempre meno faccia a faccia, inglobati nei social network ma meri atomi nella quotidianità anche solo di una strada, di un quartiere spazialmente attraversato da corpi e non da esseri pensanti'.
Siamo carne solida che si fa città, la trasformazione dei sogni in possibilità...
Tra indagini di creatività comunicativa e ricerca di nuove forme di espressione proveremo a portare il nostro punto di vista, mai unico e indiscusso, sicuramente parziale; cercheremo di partire da dove viviamo, animati dal desiderio di cambiare, almeno / se non altro per lo spazio di due A3, la grigia realtà metropolitana che ci azzittisce con mura di cemento, che erge barriere comunicative sempre più sottili, che ci costringe a vivere in città rese mostruosamente postmoderne, a misura di dominio e speculazione più che a misura d'uomo, che ci vede connessi tra noi sempre più in rete virtuali e sempre meno tangibili, abitanti di quartieri spazialmente attraversati da corpi e macchine e sempre meno da esseri pensanti.
Appariremo atemporalmente per condividere idee e progetti, raccontarvi, invitarvi a 'belle storie' auto-organizzate e autogestite, e perché no, darvi anche i nostri 'consigli per I non acquisti!' Per tenervi compagnia e stimolarvi mentre vi godete la brezza primaverile che comunque spira con voglia di cambiamento anche qui, tra smog, vetrine e cemento, nella Milano che non vogliamo sia solo quello che appare.”

G. R.

  1. “265. Qualunque associazione di malfattori contro le persone o le proprietà è un misfatto contro la pubblica quiete. 266. Questo misfatto esiste col solo fatto della formazione di bande”. Francesco Gaetano Carrara, Bollettino delle leggi del Ducato lucchese, D. Marescandoli, Stampatore nazionale, Lucca,1810, p. 145.