rivista anarchica
anno 44 n. 389
maggio 2014


Torino

Tra l'asfalto e il cielo

foto e testi di Mirko Orlando


Basta azzardarsi un po' più in là, oltre gli occhi dei turisti, per accorgersi che sotto la maschera di una città-spettacolo si sedimentano i rancori di un territorio ancora in cerca della sua identità

Ma davvero credevamo di spazzar via tutto! Qualcuno ha mai davvero creduto nel sogno olimpico? In qualche modo le XX Olimpiadi Invernali hanno aiutato la città a ripensare il proprio ruolo culturale, ma basta azzardarsi un po' più in là, oltre gli occhi dei turisti, per accorgersi che sotto la maschera di una città-spettacolo si sedimentano i rancori di un territorio ancora in cerca della sua identità, e più avanza lo show, più attraenti si fanno le performance, più si vizia l'aria che si respira dietro le quinte. Così Torino rinasce sulle spalle degli sconfitti, e mentre si monta un palco in piazza Castello per l'ennesimo concerto che canti la perdita di memoria, si smonta ciò che resta di un'altra cooperativa che non ce l'ha fatta. Si fa ciò che si può... ma lo spettacolo deve continuare!
Dopo Roma e Milano, Torino è la terza città in Italia per numero di residenti stranieri, e la convivenza non è sempre pacifica: le persone non amano la diversità, non amano il dialogo, non amano l'altro. Incontrarsi è doloroso; non soltanto per l'uomo contemporaneo che ormai si sente minacciato da tutti i fronti, ma per gli uomini d'ogni tempo che hanno sempre difeso la loro terra innalzando muri, fortezze, cinte invalicabili. L'altro non è mai stato un altro-uomo ma un uomo-altro, qualcosa di diverso e irriducibilmente distante. Tuttavia, fintanto sia altrove l'altro può godere del rispetto che si riserva ad ogni distanza, e che lo si combatta per prendersi la sua terra, o lo si accolga per allacciare col suo popolo contatti commerciali, la sua estraneità ancora non sollecita il mio straniamento. L'altro è lontano, distante quanto basta per non confondersi con me ed i miei simili: ci possiamo scontrare, incontrare, ma non possiamo scambiarci. Oggi qualcosa è evidentemente cambiato, e la distanza che mi separa dall'altro viene costantemente minacciata: l'altro è ovunque e perciò chiunque può essermi altro, altro non perchè straniero, ma anzitutto perché estraneo. Ne consegue un enorme disagio che alimenta fortemente la microcriminalità, ma più della violenza degli sconfitti mi turba il garbo col quale i macellai dell'ordine sociale ripuliscono i loro mattatoi. Del resto la violenza è cruda quando è povera, disadorna, umile, e al contrario s'estingue nel decoro di quanti amano macchiarsi la coscienza anziché le mani... perché quelle devono essere baciate.

Mani, ancora le mani (ma molto diverse) sul quale il mio cuore si frange: quelle delle tossicomani, ruvide e gonfie. Mani che sembrano dimentiche del tatto e che pertanto non si stringono... si soffocano. Poi i loro volti (specialmente le più giovani), fragili come le bambole di un tempo, si sottraggono ad occhi che aperti, comunque non vedono... non possono vedere. Sono volti che non si colgono: tre giorni spesi male e diventano altri volti, altre maschere. La droga trasforma i corpi, li incide? No! La droga li s-definisce, così come fa sfumare ogni cosa obliandone i confini: gli amori, i lutti, le sconfitte di una vita intera. “Santa eroina” mi dice qualcuno, perché la White di oggi fa le veci di Caronte. Perché neanche la droga è quella di una volta. La sostanza è tutto...è chiaro!

Non se la passano meglio i rom, costretti a spartirsi i loro diritti negati con gli stranieri di ogni dove, che intanto salpano sul nostro Paese in cerca di un pur misero risarcimento per i loro sogni traditi, e meno che mai se la spassano quanti hanno perso il lavoro, magari ad un'età che scoraggia ogni possibile ripresa. Ciò che davvero spaventa dell'attuale disagio sociale non sono tanto le condizioni di vita, comunque inaccettabili, ma il crescente antagonismo intraclassista ulteriormente alimentato dal fallimento dei partiti politici. Quel che rimane, è l'idea che il vero scontro non debba riguardare le classi sociali ma gli stessi rapporti interpersonali. Le politiche neoliberiste, avulse dalla tassazione e dalla regolamentazione dei mercati da parte dello Stato, hanno convinto i meno abbienti che il loro disagio non derivi dai privilegi concessi a chi detiene i mezzi di produzione – conferimento proporzionale al ritiro dello Stato dal meccanismo di redistribuzione finanziaria – ma da una tassazione irresponsabile che impedisce a chi può d'investire nel mercato del lavoro, o da un'incosciente interpretazione dei diritti umani. In questo modo, furbescamente, i pochi ricchi e i molti poveri si alleano contro lo Stato da un lato, e contro gli stranieri che invadono il mondo del lavoro dall'altro. Questa intesa mi pare oggi uno degli aspetti più problematici del discorso socio-politico, poiché alimentando l'odio tra i poveri li annienta come forza politica che possa regolare le infinite ambizioni dei ricchi. Non avendo più nemici interni su cui riversare la responsabilità dei torti subiti, il problema della razza ritorna pericolosamente attuale tra quanti si trovino in difficoltà economica.

Allora che fare? Come combattere una crisi così ampia e diversificata tanto nelle cause che nei suoi effetti? Nessuno può credere di aver tra le mani una soluzione immediata e soddisfacente: tutte le lingue sono sbagliate ed ogni lamento è inutile come il pianto di un maiale sulla porta del macello. Del resto siamo nelle mani di persone votate ad un suicidio senza martirio, perciò ignobile e schifoso, sterile e privo di coraggio, una morte che non è sacrificio ma soltanto l'ovvio epilogo di una grande abbuffata. Nondimeno ne sorridiamo, perché prima o poi finiranno con l'ingozzarsi e stramazzare al suolo, naso in su, e soltanto allora, gli avanzi lasciati sul tavolo, basteranno a sfamare le bocche di tutti i popoli. Nella migliore delle ipotesi vivremo di avanzi... ma è pur sempre un gran lusso per chi non ha mai voluto le loro portate avvelenate.

Mirko Orlando