rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014


donne

Quella puta sovversiva

di Pino Cacucci


La vicenda umana e politica di Elvia Carrillo Puerto (1878-1967),
un capitolo dell'ultimo libro di Pino Cacucci.


La storia del Messico moderno pullula di inestimabili figure femminili, e ogni volta che approfondisco le vicende di un certo periodo o, come in questo caso, di una zona lontanissima dall'epicentro dell'emancipazione che fu – ed è tuttora – Città del Messico, cioè la penisola yucateca, emerge qualche donna a cui varrebbe la pena dedicare un libro intero.
Elvia Carrillo Puerto nacque il 6 dicembre 1878 a Motul, una quarantina di chilometri a est di Mérida, figlia di Justiniano e Adela, allora diciannovenne. Il fatto che a quell'età sua madre partorisse per la sesta volta, aiuta a comprendere come fosse stato possibile che Elvia si sposò a soli tredici anni. All'epoca le ragazze – che oggi definiremmo bambine – crescevano in fretta, specie nello Yucatán dove l'infanzia durava poco. Eppure, quello di Elvia e Vicente fu un matrimonio scaturito dall'amore reciproco, non da un'imposizione famigliare.
Prima, Elvia aveva frequentato la scuola distinguendosi per la vivace intelligenza, mentre l'educazione comune imponeva di andare spesso in parrocchia, per il catechismo e la messa. Fin da allora, Elvia e suo fratello Felipe, più grande di quattro anni, erano diventati inseparabili, condividevano piccole complicità quotidiane e passione per le letture. E intanto il destino portava a Motul, proprio nella loro chiesa, un singolare prete che oggi il Vaticano sicuramente ridurrebbe al silenzio sospendendolo a divinis, ma erano tempi in cui a Roma neanche sapevano dove diamine fosse, lo Yucatán. Padre Serafín García era venuto dalla Catalogna portandosi appresso i testi e le esperienze del pedagogista anarchico Francisco Ferrer, fondatore della Escuela Moderna di Barcellona improntata all'insegnamento razionalista; Ferrer verrà fucilato dai militari spagnoli nel 1909, accusato di aver fomentato una rivolta di diseredati che protestavano contro la leva obbligatoria per le guerre coloniali in Africa. Padre Serafín aveva altri libri con sé: Rousseau, Voltaire, e soprattutto Proudhon e Kropotkin. Insomma, un prete anarchico, che tanto mi ricorda don Andrea Gallo.
Elvia e Felipe non fecero alcuno sforzo per assimilare gli insegnamenti di padre Serafín, perché già dimostravano una viscerale sensibilità nei confronti dei soprusi subiti dalle popolazioni maya, la guerra de castas volgeva al termine e i due precoci figli dei Carrillo Puerto sembravano vivere sulla propria carne le ingiustizie dei reietti. In breve, Elvia e Felipe divennero i discepoli prediletti del prete libertario. Altra fonte di ispirazione sovversiva fu la maestra che toccò in sorte a Elvia: Rita Cetina Gutiérrez, fondatrice della società femminista La Siempreviva, che pubblicava anche una rivista e diede questo nome pure alla sua scuola. Sulle pagine de La Siempreviva si leggevano scritti di Tristán, Harriet Taylor, Susan Anthony, John Stuart Mill, Mary Wollstonecraft, Victoria Woodhull, Robert Owen, e gli argomenti, così “scabrosi” per l'epoca e il luogo, trattavano di controllo delle nascite, aborto, divorzio, malattie veneree, libero amore e, addirittura, scandalosi approfondimenti sulla sessualità femminile, ricchi di ogni dettaglio.
Quando Elvia aveva compiuto dodici anni, ne dimostrava sicuramente di più, e non solo per l'altezza superiore alla media, ma soprattutto per la bellezza adolescenziale che era sbocciata in lei: le descrizioni di quanti la conobbero parlano di un corpo snello e un profilo “aristocratico”, grandi occhi da sognatrice ma capaci di fulminare l'avversario in una discussione sulle passioni che le stavano a cuore... e intanto Elvia cominciava a non sopportare più le mansioni a cui erano dedite la ragazze di “buona famiglia”, come cucire, ricamare, tessere amache secondo l'antica tradizione yucateca, mentre era attratta molto di più dalla musica: con Felipe aveva imparato a suonare il flauto, ed era anche dotata di una bella voce da soprano. L'orchestra del paese l'accolse con entusiasmo, però, a Motul sul finire dell'800, una ragazza che cantasse e suonasse nel chiosco della piazza non si era mai vista. Infatti, Elvia fu la prima: dicono che quella sera un giovane maestro, Vicente Pérez, ascoltandola e ammirandone la grazia con cui si esibiva sul palco, finì per innamorarsene perdutamente. Si conoscevano già, Vicente era anch'egli seguace della pedagogia libertaria di Ferrer, e i due avevano avuto varie occasioni di incontrarsi nelle riunioni parrocchiali di padre Serafín. Anche Elvia provava un'irresistibile attrazione per Vicente. Il padre tentò in tutti i modi di dissuaderla: sposarsi a tredici anni! Che se lo togliesse dalla testa. Ma Elvia aveva già un carattere volitivo, e non arrossì ricorrendo a un argomento decisivo, e allora fu il padre ad arrossire: “Quando voi avete sposato la mamma, lei quanti anni aveva? Tredici. E cosa avete dovuto aspettare? Che la mamma avesse le mestruazioni. Ebbene, io ho avuto le mestruazioni qualche mese fa. Perché aspettare ancora?”
E don Justiniano si rassegnò a ricevere la visita formale di Vicente, che, per altro, le cayó bien, non poteva certo dire nulla contro quel giovane maestro serio e decente, a parte il fatto che aveva circa una decina di anni in più, ma pazienza, la storia in famiglia si ripeteva, ed Elvia al suo fianco sembrava quasi coetanea. Per non parlare poi del determinante appoggio di Felipe, schieratosi con sua sorella insistendo a voler convincere il padre che non doveva ostacolare il loro amore, perché difficilmente avrebbe trovato un genero stimabile quanto Vicente.
Le nozze le celebrò padre Serafín, che non perse l'occasione della chiesa gremita di gente per tenere uno dei suoi sermoni: scusandosi innanzi tutto per non officiare la messa in lingua maya, esortò Elvia e Vicente a lottare insieme, “perché le donne, ancor più degli uomini, possono trasformare il mondo”.

Elvia Carrillo Puerto
Nella Liga Feminista

Nel frattempo, la famiglia Carrillo Puerto doveva affrontare la prima “grana giudiziaria” di Felipe, che aveva aiutato una famiglia di contadini maya ad abbattere una recinzione fatta costruire dai proprietari terrieri intorno al loro piccolo rancho, allo scopo di impedire al poco bestiame di pascolare e costringerli a lasciare quella porzione di terra. I latifondisti avevano preteso che Felipe finisse in carcere, ma don Justiniano era riuscito a convincere il locale capo delle guardie a liberarlo in quanto minorenne.
Un anno dopo, Elvia e Vicente ebbero il primo e unico figlio, Marcial. Elvia era molto determinata, al riguardo: non avrebbe seguito le orme di sua madre, partorendo in pratica ogni anno. Nelle loro condizioni di ristrettezze economiche, potevano assicurare il futuro a un solo figlio, e comunque lei non intendeva dedicare l'intera esistenza a svezzare bambini a ripetizione. Poi Elvia imparò a battere a macchina e trovò lavoro come dattilografa, mentre ricorreva ai metodi anticoncezionali dell'epoca per continuare a far l'amore con Vicente. Il controllo delle nascite sarà sempre al centro delle sue lotte per l'emancipazione delle donne messicane, e in particolare per contrastare l'alta mortalità infantile nelle famiglie di contadini maya che non avevano i mezzi per accudire una prole numerosa.
Fu un grande amore, quello tra Elvia e Vicente, ma destinato a durare soltanto un decennio: lui si ammalò, cominciò a deperire, e nessun medico riuscì a diagnosticare una causa precisa. Elvia rimase vedova nel 1901. Con il sostegno assiduo del fratello Felipe, rifiutò di tornare a vivere nella casa dei genitori e si occupò di Marcial facendolo studiare e continuando a mantenersi con il lavoro di dattilografa e dando lezioni a scuola. E intanto, ogni sabato sera organizzava riunioni con le donne della zona per discutere dei loro diritti, della necessità dell'alfabetizzazione e di organizzarsi nella Liga Feminista. Infaticabile quanto il fratello Felipe, insegnava ai bambini maya a leggere e scrivere, dovendo affrontare situazioni inaccettabili o spesso abominevoli: le condizioni di schiavitù non erano finite con la “guerra delle caste”, basti pensare che una notte Felipe le portò un ragazzino con le caviglie piagate dai ceppi di ferro, i latifondisti delle terre dove lo aveva trovato e liberato lo avevano sottoposto a dure punizioni per “disobbedienza”.
Se Elvia non era sola nella sua lotta incessante, va ricordato che l'oligarchia yucateca la considerava una pericolosa sovversiva e per giunta una vedova troppo giovane e bella, che si faceva confezionare i vestiti da un altro fratello, Edesio, che faceva il sarto, prendendo a modello le immagini ritagliate dalle riviste di Mérida. Per non parlare poi delle scuole laiche dove insegnava e diffondeva propaganda femminista e socialista: tutto vero, dal loro punto di vista, perché Elvia agli alunni insegnava che nello Yucatán non c'era un problema di “caste”, cioè razziale, ma di sfruttamento dei poveri, e l'oligarchia non aveva ricevuto un “mandato divino” ma esercitava il potere perché controllava i mezzi di produzione usando la mano d'opera schiavizzata e l'esercito e le guardie private per mantenere i propri privilegi. Nello Yucatán di inizio 900 non sembrava mai entrata in vigore la legge della repubblica messicana che aboliva la schiavitù, e aveva scatenato nel 1847 il pretesto per i coloni texani anglosassoni di proclamare la secessione perché non volevano saperne di rispettarla.
Nel 1910 Elvia si prodigò a sostenere Francisco Madero nella sua campagna elettorale contro il dittatore Porfirio Díaz, che fece arrestare Madero e, successivamente evaso e riparato in Texas, avrebbe avviato la rivoluzione di Villa e Zapata: dallo Yucatán era difficile fare propaganda per un politico della lontana Città del Messico, ed Elvia si spostava di villaggio in villaggio per tenere riunioni e comizi a favore di Madero, che nel suo programma elettorale aveva messo in chiara evidenza la riforma agraria. In quei frangenti, si ritrovò coinvolta nell'insurrezione dei braccianti a Valladolid, repressa nel sangue, e si salvò solo perché i soldati, vedendo una signora distinta ed elegante e per giunta alla guida di un'auto, la scambiarono per un'appartenente a quell'oligarchia che pagava loro l'infame salario di massacratori dei poveri.
Sempre a Valladolid, Elvia conobbe Francisco Barroso, agitatore sociale con cui condivideva ideali e lotte quotidiane: si sposarono, ma lei, come quando era la moglie di Vicente, continuò a firmarsi Carrillo Puerto, senza assumere il cognome del marito secondo la consuetudine imperante.
Gli eventi della Revolución arrivavano nello Yucatán come echi di una realtà separata, ma ciò non evitava l'insorgere di ribellioni un po' ovunque. E furono soprattutto le donne maya, a scatenarle. Le stesse che Elvia istruiva e incitava a lottare. Quando i campesinos venivano reclutati a forza per formare milizie dei latifondisti, mogli e madri li esortavano a disertare. E in molti casi, come accadde nel 1911 a Yaxcabá, gli uomini aspettarono di ricevere i fucili e li usarono per sparare agli ufficiali. L'esempio si propagò come polvere da sparo incendiata, con le donne maya che istigavano i loro uomini a non farsi assoldare per uccidere i propri fratelli. Non solo, ma quando si formarono gruppi di indigeni ribelli che impugnarono le armi contro il governo locale, tra loro c'erano molte donne. E spesso, si trattava di “allieve” di Elvia, alle quali aveva insegnato non solo a leggere e scrivere ma anche a non restare indifferenti di fronte all'ingiustizia.
Il 14 luglio 1912 Elvia fondò la prima Liga Feminista Campesina, che quattro anni dopo avrebbe dato vita alla Resistencia Feminista Socialista. E di conseguenza, Elvia doveva sempre più cuidarse dall'odio dei latifondisti e dei settori reazionari della società urbana, che la volevano morta.
E ancor più suo fratello Felipe, che entrava e usciva dal carcere, arrestato dalle forze dell'oligarchia per poi essere rimesso in libertà su ordine del potere centrale del presidente Madero; ebbe fortuna, nel 1913, a ritrovarsi a piede libero, quando il generale Huerta mise in atto il colpo di stato facendo assassinare Madero: Felipe poté così defilarsi, mentre Villa dal nord e Zapata dal centro-sud ricominciavano a combattere contro gli usurpatori. Lo Yucatán era sempre lontanissimo da Città del Messico, ma Venustiano Carranza, che aveva assunto il comando politico e strategico delle operazioni, riuscì a inviare un forte contingente di truppe rivoluzionare a Mérida, strappando lo stato ai militari golpisti. Fu un triste spettacolo, l'ingresso di quegli uomini sfiancati dal lungo viaggio affrontando continui scontri con i federali, che si aspettavano un'accoglienza da “liberatori” e si ritrovarono una città con porte e finestre sbarrate, in un silenzio ostile.
La borghesia yucateca si preoccupava soltanto di fare buoni affari con l'Europa grazie all'imminente scoppio della Prima guerra mondiale, aumentando a dismisura le vendite di sisal per cordami e teloni, e un manipolo di donne capeggiate da Elvia furono pressoché le uniche a dare il benvenuto ai rivoluzionari e alle soldaderas che facevano parte dei battaglioni di prima linea, rifocillandoli e ringraziandoli per essere arrivati fin laggiù. Più avanti, giunse anche uno dei cosiddetti batallones rojos, formati da operai, in questo caso dai tessili di Orizaba, nel Veracruz, che avrebbero contribuito enormemente a organizzare i lavoratori nelle haciendas, nonché nel settore del commercio e delle imprese artigianali, tanto che nel giro di un anno sorsero ben cinquecento tra sindacati e cooperative. Ma soprattutto, grazie all'abnegazione di Elvia e delle sue compagne, il governo rivoluzionario instituì un migliaio di scuole rurali e almeno una quarantina nelle periferie diseredate delle città, quasi tutte improntate al metodo razionalista che si rifaceva a Ferrer, e a Mérida aprì i battenti la prima scuola Montessori del Messico, in largo anticipo sulla diffusione che avrebbe avuto mezzo secolo dopo, e questo grazie ai rapporti tra le femministe messicane e quelle statunitensi, dove Maria Montessori aveva suscitato un proficuo interesse.

Quei sogni infranti

Nel 1920 Felipe venne eletto deputato federale del Partito socialista per lo Yucatán, ed Elvia si trasferì nella capitale, dove affrontò l'aperta ostilità di alcune donne appartenenti alla nuova borghesia postrivoluzionaria, sedicenti “femministe” che però la consideravano troppo radicale nonché “autodidatta e socialista”: ai loro occhi era una sobillatrice di poveracci, mentre i rispettivi mariti – che avevano soprannominato Elvia “la suffragetta bolscevica” – erano impegnati a costruire una società corporativa dove certe istanze legate al mondo rurale e indigeno andavano tenute a freno. Elvia non si lasciò scoraggiare, e approfittò per frequentare librerie e circoli di intellettuali, continuando a lottare per il voto alle donne, ancora un tabù nel Messico dell'epoca. E questo per un motivo alquanto singolare: nel governo postrivoluzionario, di Obregón prima e successivamente di Elías Calles, l'anticlericalismo si traduceva nella convinzione che la stragrande maggioranza delle donne – non tanto delle grandi città, quanto delle province e campagne – fosse facilmente irretita dai preti, quindi, farle votare significava esporsi all'influenza della Chiesa sulle elezioni politiche. Elvia avrebbe dovuto affrontare questo paradosso per molto tempo ancora, senza riuscire a convincere i governanti – alcuni dei quali sicuramente la stimavano – che i tempi erano più che maturi per il voto alle donne, anche se, doveva ammetterlo, il clero messicano era maggioritariamente oscurantista e diversissimo da quel padre Serafín che le aveva trasmesso i suoi ideali libertari.
Nel 1921 Felipe vinse le elezioni a governatore dello Yucatán, e anche Elvia tornò a Mérida. Aiutò il fratello a redigere il famoso discorso di insediamento in lingua maya, in cui esaltava il lavoro contro le logiche depredatorie del capitale e la fondamentale importanza dell'istruzione e la necessità di costruire scuole ovunque vi fossero comunità indigene, persino nelle stesse haciendas.
Intanto, Elvia si era separata da Francisco Barroso, e quando il suo governo promulgò la legge sul divorzio, fu una delle prime a usufruirne. Certo, quello del fratello era il suo governo, ma si sa, un conto è stare all'opposizione e tutt'altro gestire il potere, con l'incessante caterva di problemi pratici da risolvere e fondi da trovare per attuare riforme. Su questo, Elvia sosteneva Felipe ma si dimostrava più radicale di lui, e tra i “sogni infranti” che dovette accettare pur senza rassegnarsi, ci fu la creazione di una serie di asili nido per le operaie, che il fratello governatore non poté realizzare per mancanza di risorse.
In ogni caso, quel clima di fermento progressista sarebbe durato poco, appena due anni scarsi, ma fu altresì un periodo di intensità e furore rinnovatore unico nella storia dello Yucatán. Tra campagne di alfabetizzazione e controllo delle nascite, il governo di Felipe Carrillo Puerto emanò una legge di esproprio delle haciendas abbandonate, cioè di quelle che un tempo producevano henequén e con la fine della guerra in Europa erano decadute, ma i latifondisti le consideravano intoccabili, e quando Felipe le requisì distribuendo le terre ai contadini indigeni, quelli giurarono vendetta contro il maldito bolchevique che parlava in maya.
E se non erano pochi gli uomini che odiavano lui e forse ancor più sua sorella Elvia, non pochi furono quelli che votarono per lei e altre due donne, eleggendo così le prime deputate della storia messicana. Tutto ciò, paradossalmente, senza che le donne potessero ancora votare.
Nel maggio del 1923 Elvia guidò la delegazione delle compagne yucateche al Congresso panamericano delle donne a Città del Messico, un evento epocale di cui era la principale organizzatrice. Nel suo intervento mise particolare enfasi sulla necessità che alfabetizzazione e istruzione dovevano andare di pari passo con educazione sessuale e controllo delle nascite. Alcuni giornali della capitale si limitarono a riportare le sue parole, in qualche caso denotando una certa simpatia per la sua verve appassionata, mentre il conservatore Excelsior pubblicò un editoriale in cui Elvia veniva apostrofata come “scandalosa”.
Comunque, per quanto tentassero di denigrarla, Elvia aveva un carisma e un fascino che intrigava anche gli inviati più ostili. Per non parlare dei giornalisti che l'ammiravano apertamente, come Santiago Bustos Brito, fine intellettuale e poeta, nonché collaboratore di Felipe Carrillo Puerto, che così la descrisse anni dopo:
“Elvia era una donna bellissima, alta ed elegante, dotata di un incanto naturale che ti catturava, e un modo di parlare disinvolto. Ma ciò che più colpiva di lei erano gli occhi, occhi ambiti da un'artista del cinema, e che a Elvia servivano per attrarre simpatizzanti alla causa del socialismo yucateco. Lo sguardo di Elvia sapeva sorridere, sapeva accarezzare, sapeva stimolare l'entusiasmo, ma anche fulminare i nemici della causa. La sua voce vellutata, soavemente femminile, a volte acquisiva toni mascolini quando fustigava l'avversario costringendolo a rifugiarsi nella caverna dei suoi pregiudizi. La sua grazia e il suo profumo, l'aroma della sua giovinezza travolgente, abbandonarono la mia casa quando si consumò in Yucatán il più vile dei tradimenti, stroncando vite e frantumando l'ideale di rinnovamento e giustizia sociale che Felipe Carrillo Puerto sognava per tutti i messicani”.

Ma i tempi non sono maturi. Sì, ma...

Dunque, nel 1923, i militari sobillati dall'oligarchia si schierarono con la sollevazione di Adolfo de la Huerta e rovesciarono il governo dello Yucatán, catturando Felipe e tre dei suoi fratelli, che condussero nel cimitero di Mérida per fucilarli. L'ufficiale che comandava il plotone d'esecuzione li apostrofò così: “Cosa credete che stiamo facendo, qui? Dobbiamo risanare la patria, farla finita con il bolscevismo, con la distribuzione delle terre agli indios, e anche con tutto il vostro farneticare di amore libero e controllo delle nascite! E già che ci siamo, basta adulteri con certe gringas calore!”
Con quell'ultima battuta da caserma, il golpista si riferiva all'amore di Felipe per Alma Reed.
Elvia, intanto, sfuggiva alla stessa sorte per questione di pochi minuti: quando un drappello andò a cercarla a casa, lei si stava allontanando alla guida dell'auto, indossando abiti maschili e un berretto da autista. Quelli volevano arrestare una “bella puta sovversiva”, e vedendo passare un probabile dipendente di qualche ricca famiglia, non si azzardarono a bloccare l'automobile.
Per qualche tempo si fermò a Motul, da sua madre, in attesa degli eventi, e infine, quando nel 1924 le truppe inviate dal governo centrale entrarono a Mérida mettendo in fuga gli ultimi sediziosi, Elvia si trasferì a Città del Messico: per lei lo Yucatán era diventata la terra del lutto, mentre nella capitale federale avrebbe potuto continuare a lottare per i suoi ideali. Il figlio Marcial era ormai adulto e viveva nel Sonora, all'estremo nord della repubblica, dove svolgeva l'incarico di ispettore fiscale; Marcial non aveva mai goduto di buona salute, soffriva d'asma e aveva frequenti crisi respiratorie, ma il clima del deserto sembrava alleviarlo. Elvia alloggiò all'hotel Imperial, sul Paseo de la Reforma, rimasto oggi identico ad allora, con la sua architettura dell'epoca porfiriana che richiamava il liberty europeo. Pensava di starci qualche mese, e avrebbe finito per risiedervi fino al 1935.
Per anni e decenni Elvia ottenne mille volte la promessa da deputati, senatori e persino presidenti che le donne messicane avrebbero avuto finalmente diritto di voto. E poi, ogni volta, trovavano qualche pretesto per rimandare. Lei, senza fermarsi ad attendere in anticamera, continuava a organizzare congressi femministi, e di operaie e contadine, in varie città del paese. Per sopravvivere, trovò un impiego al ministero delle Finanze: dopotutto, era un'ex deputata e una brava dattilografa, non aveva bisogno di “raccomandazioni”.
Nel 1939 il presidente Lázaro Cárdenas la insignì dell'onorificenza di Veterana de la Revolución, ma Elvia non sapeva che farsene delle medaglie: per l'ennesima volta, chiese anche a Cárdenas quando il Messico avrebbe finalmente avuto il suffragio universale. E quello che fu il più progressista dei presidenti postrivoluzionari, ancora una volta la esortò ad avere pazienza, che i tempi erano ormai maturi, sì, ma...Solo nel 1946 le donne poterono votare alle elezioni municipali, poi, nel 1953, a quelle della Camera, e infine, nel 1958, anche alle presidenziali.
Elvia non poté vedere coronati i suoi incessanti sforzi, perché nel 1941 aveva avuto un grave incidente automobilistico ed era rimasta quasi cieca. Morì nel 1967, nel piccolo appartamento di calle San Cosme n. 8, in povertà e ormai dimenticata, con il dolore di essere sopravvissuta a suo figlio Marcial. La nipote Dulce María Carrillo la fece seppellire a Mérida, accanto alle tombe dei suoi amati fratelli.

Pino Cacucci


Messico e Pino

Il Messico è il paese dei contrasti estremi. E all'estremo di tutto, c'è Mahahual: dove finisce la penisola dello Yucatán, sorge questo paesino di mille abitanti, a pochi chilometri dalla frontiera con il Belize. Angolo di paradiso tra palme e mangrovie, di fronte ha la barriera corallina seconda al mondo per estensione, mar dei Caraibi e scorrere lento del tempo: siamo nello stato del Quintana Roo, che a nord vanta la celebre Cancún, mentre qui c'è l'opposto assoluto, non solo geografico, perché a Mahahual il cemento non ha ancora invaso la vista, tra casupole, palafitte e hotel con il tetto di palme.
Ma un'insidia minaccia costantemente questi litorali: per un capriccio delle correnti oceaniche, la plastica vi arriva da tre continenti, e ogni mattina all'alba, una miriade di volenterosi la raccolgono dalle spiagge, rendendole splendidamente bianche e pulite per un altro giorno, in un incessante “mito di Sisifo” che meriterebbe l'attenzione del resto del mondo, cioè di chi quella plastica continua a gettarla in mare, tra Americhe, Europa e Africa, contribuendo a soffocarne la vita.
Mari e terre ricchi di storia e leggende, dove i corsari ingaggiarono sfide mortali con i dominatori spagnoli, e i fieri maya non si lasciarono assoggettare da nessuno dei contendenti stranieri. Qui si narra che avvenne il primo meticciato: un conquistatore, Gonzalo Guerrero, si schierò con gli indios e combatté contro i compagni d'arme fino alla morte in battaglia, lasciando figli che furono il frutto dell'amore multirazziale, e non dello stupro etnico come altrove. Tra i tanti corsari, sir Francis Drake lasciò impronte indelebili, ma più attraente per il narratore fu senz'altro quel Diego Grillo, il Mulatto, che si unì all'inglese per odio contro chi lo fece nascere schiavo. E nell'infinità di personaggi che riemergono dal passato, anche questa volta Pino Cacucci ha riportato in vita la figura di una donna straordinaria: Elvia Carrillo Puerto, indomita ribelle, che non attese la Revolución per affermare la propria libertà individuale e gli ideali di emancipazione collettiva, femminista ante litteram, e poi protagonista di quell'epoca di irripetibile intensità che furono gli anni postrivoluzionari in Messico; ma lei non viveva nella capitale dove brillavano le stelle di Frida Kahlo, Tina Modotti o Nahui Olín, bensì nello Yucatán, così lontano da tutto, così ferocemente legato ai privilegi delle oligarchie...
Dopo “La polvere del Messico” e “Le balene lo sanno”, un altro itinerario tra realtà odierna e immersione nel fertile terreno della storia messicana, spunto per viandanti che possono leggerlo come un “diario di viaggio”, e narrazione per chiunque voglia approfondire le radici di una terra conosciuta solo superficialmente dal “turismo di massa”, con il suo incessante andirivieni di mastodontiche navi da crociera. In appendice al libro, il racconto “El Genovés”, storia di pirati, corsari e guerrieri maya, ambientato nel XVIII secolo e in questi luoghi densi di eventi avventurosi.


Pino Cacucci

NonsoloMessico

Pino Cacucci (8 dicembre 1955) da oltre trent'anni divide la sua vita tra l'Italia e il Messico. Nel 1988 ha pubblicato Outland Rock, e nel 1990 Puerto Escondido, da cui il regista Gabriele Salvatores ha tratto il film omonimo. Anche San Isidro Futból è stato portato sugli schermi con il titolo Viva San Isidro!. È inoltre autore di Tina (biografia di Tina Modotti), Punti di fuga, Forfora e altre sventure, In ogni caso nessun rimorso, La polvere del Messico (racconti di viaggio, giunto alla 22ma edizione), Camminando, incontri di un viandante, Demasiado Corazón, Mastruzzi indaga, Ribelli!, Oltretorrente, Nahui, e il libro fotografico Gracias México, diario di viaggio e catalogo della mostra tenutasi a Parma nel 2001 e successivamente riproposta in altre città. Un po' per amore un po' per rabbia (2008), raccolta di vent'anni di scritti di viaggio, passioni letterarie, riflessioni sociali e politiche. Le balene lo sanno (2009), racconto di un lungo viaggio attraverso la penisola della Baja California messicana dove le balene grigie si radunano ogni anno. Viva la vida!, monologo teatrale su Frida Kahlo, è del 2010 (portato in scena da Assemblea Teatro di Torino nell'interpretazione dell'attrice italo-uruguayana Annapaola Bardeloni, e rappresentato anche in Spagna e in varie città latinoamericane – dal Messico all'Argentina, dal Perù al Cile), a cui è seguito Nessuno può portarti un fiore. Tutti editi da Feltrinelli.
Sotto il cielo del Messico (edito da Photology nel settembre 2009) narra gli anni di Tina Modotti in Messico, in forma di romanzo, volume che comprende trenta opere della grande fotografa.
Ha pubblicato due graphic novel: Tobacco (Granata Press, 1993) e La giustizia siamo noi (Rizzoli, 2010), entrambe disegnate da Otto Gabos.
Traduttore di letteratura spagnola e latinoamericana (oltre 90 i titoli finora tradotti), collabora a riviste e giornali ed è coautore di soggetti e sceneggiature per il cinema (ricordiamo la collaborazione al film Nirvana di Salvatores, che gli è valsa la candidatura al David di Donatello 1997).

Questo libro
In giugno, è uscito Mahahual – un paradiso non riciclabile, un altro viaggio in Messico attraverso storie di maya indomiti e leggende di corsari nello stato del Quintana Roo, con particolare attenzione ai delicati equilibri della barriera corallina minacciata dall'inquinamento da plastica.
“Mahahual”, pubblicato in giugno da Feltrinelli, è un misto di diario di viaggio, storie del passato prossimo o remoto, leggende e aneddoti raccontati da persone incontrate lungo il cammino, nello stato del Quintana Roo, che fa parte della grande penisola messicana dello Yucatán. Nella narrazione, prendono vita corsari e pirati (ma anche piratesse), maya ribelli e indomiti, odierni pescatori impegnati nella difesa dei delicati equilibri ecologici della barriera corallina, e alcuni personaggi storici ben poco noti ai più, come Gonzalo Guerrero, il conquistatore che passò dalla parte degli indios e combatté contro i propri commilitoni, o Elvia Carrillo Puerto, inestimabile figura di femminista ante litteram in un'epoca, gli anni 20, che vide tante donne protagoniste della vera rivoluzione messicana (Frida Kahlo, Tina Modotti, Nahui Olín, Antonieta Rivas Mercado...), e che rischiarono la vita per ottenere diritti e libertà di scelte allora considerate scandalose e inaccettabili dalla morale imperante.
In definitiva, anche in questo libro Pino Cacucci narra – ancora una volta – le vicende umane di “eretici”, rivoltosi, irriducibili difensori della dignità.