rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014


storia

Abbasso la guerra

a cura dell'Ateneo degli Imperfetti e del Centro studi libertari G. Pinelli
foto AFA - Archivi Fotografici Autogestiti
ricerca iconografica di Roberto Gimmi


Contro la retorica “sangue e onore” con cui si vuole celebrare il primo conflitto mondiale, un incontro che parla di diserzione, renitenza, insubordinazione, ammutinamento, autolesionismo, indisciplina...


Tu sei maledetta!
Uomini e donne contro la guerra: Italia 1914-1918

Convegno di studi, 20 – 21 settembre 2014
Venezia, Sala San Leonardo, Campo San Leonardo, Cannaregio 1584

Il Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli di Milano e il Laboratorio libertario/Ateneo degli Imperfetti di Marghera (VE) promuovono questo convegno di studi con l'intento di evidenziare, nel clima enfatico delle celebrazioni ufficiali, tutte quelle micro storie di resistenza, disobbedienza, diserzione, rivolta, ecc. che non hanno trovato e tuttora non trovano spazio nella storiografia e nelle manifestazioni agiografiche che già si stanno consumando in tutta Europa e soprattutto in Italia.
Questa iniziativa, proprio nello sforzo di proporre una riflessione più ampia e articolata, affianca al convegno di studi, in cui verranno discusse nove puntuali relazioni di argomento diverso, una serie di iniziative che hanno lo scopo di offrire ulteriori stimoli di riflessione, di denuncia e di informazione.
La prima è una Rassegna cinematografica curata e presentata da Goffredo Fofi che si svolgerà lungo tutto il mese di settembre 2014, ogni martedì e giovedì, presso il Centro culturale Candiani di Mestre (piazzale Candiani 7), a partire da giovedì 4 settembre, sempre alle ore 17.30. Giovedì 18 settembre sarà presente con un intervento il curatore della rassegna che si soffermerà sulle possibili chiavi di lettura che i film avranno suggerito in merito ai temi oggetto delle relazioni del convegno
La seconda iniziativa è una mostra fotografica esposta presso la sede dell'Ateneo degli Imperfetti e del Laboratorio Libertario durante i due giorni del convegno. La mostra, intitolata Guerra alla guerra. 1914 1918: scene di orrore quotidiano, propone le immagini raccolte da un giovane anarchico tedesco, Ernst Friedrich, nel 1924. Friedrich decise di svelare al mondo il vero volto della guerra pubblicando una raccolta di fotografie terrificanti e commoventi che raccontavano che cosa era davvero successo, durante il conflitto mondiale, nelle trincee e nei campi di battaglia. Le mutilazioni fisiche e psicologiche, la distruzione della natura e del territorio, le sofferenze dei combattenti e di coloro che erano rimasti nelle città e nei paesi, il dolore per i morti e quello dei sopravvissuti, costituiscono l'oggetto di queste immagini forti e drammaticamente reali, che denunciano in modo radicale sia la retorica dei militaristi di ogni epoca sia la vera e propria vigliaccheria che si cela dentro il primo conflitto mondiale. Una denuncia di tutte le guerre, un monito a non dimenticare, un impegno alla lotta contro ogni esercito e ogni guerra. Con la consapevolezza di ciò che si nasconde dietro altisonanti parole come Patria, Valore, Onore che altro non è se non dolore, atrocità, desolazione, dominio.
La sede dell'Ateneo funge anche da luogo di incontro conviviale. Nella serata di sabato 20 settembre è prevista una cena – ispirata alle ricette di guerra raccolte da Andrea Perin nel volume pubblicato da elèuthera, La fame aguzza l'ingegno – a partire dalle ore 20.30 (gradita prenotazione, contributo 10 euro a copertura parziale delle spese).
Nella stessa serata segue il recital... e il ritorno per molti non fu del Canzoniere internazionale contro la guerra, a cura di Carlo Ghirardato (voce e chitarra), Benni A. Parlante (percussioni), Luca Demicheli (basso). Infine esibizione del Coro degli Imperfetti diretto da Giuseppina Casarin con alcuni canti che richiameranno i temi del convegno.

Segreteria organizzativa e riferimenti telefonici: Centro Studi Libertari, Milano, tel. 02-2846923; mail: centrostudi@centrostudilibertari.it / Ateneo degli Imperfetti, Marghera: cell. 3275341096; mail: ateneo.imperfetti@gmail.com.

Profughi di Lavarone
A Lavarone il primo colpo di cannone fu sparato dal forte
italiano di Forte Verena alle 3.55 del 24 maggio 1915 contro
il forte austriaco di Werk Gschwent. Da quel momento una
tempesta di fuoco si riversò sugli Altipiani, costringendo gli
abitanti ad abbandonare in fretta e furia le proprie abitazioni,
per raggiungere le cosiddette «città di legno» costruite per
loro in Boemia e Moravia. Solo a guerra finita i profughi
potranno tornare nelle loro case, adesso in territorio italiano

Il rifiuto individuale e collettivo della guerra moderna

Prima della Prima Guerra Mondiale era impossibile immaginare un evento che utilizzasse la tecnologia disponibile ai fini di un massacro di massa in Europa per la durata di quattro anni. Fin da subito gli Stati in Europa iniziarono a sacralizzare l'evento: un massacro per cui non si trovavano parole veniva reso dicibile rendendo omaggio alle ragioni che l'avevano prodotto. Ma contemporaneamente racconti, canzoni, lapidi, romanzi autobiografici e film hanno evidenziato non solo l'orrore provato dai singoli ma anche il rifiuto individuale e collettivo, raccontando scene di diserzione, renitenza, insubordinazione, paura, fuga, ammutinamento, autolesionismo, non-collaborazione, indisciplina, scioperi, tregue spontanee e fraternizzazione con il nemico.

In occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, il Centro studi libertari - Archivio G. Pinelli di Milano e l'Ateneo degli Imperfetti di Marghera promuovono due giornate di studio sulle diverse forme di opposizione, disobbedienza, protesta, nonviolenza e dissenso che si verificarono nel primo conflitto mondiale in Italia, alla luce di analoghe esperienze europee e non solo. L'iniziativa intende riaffermare l'attualità di quelle pratiche e di quei valori che, seppure sconfitti, testimoniano il rifiuto attivo di ogni nazionalismo e ogni militarismo. Al centro dell'analisi saranno i gesti e il comportamento di uomini e donne singoli, discussioni private e pubbliche, attività di associazioni, movimenti politici e religiosi, espressioni artistiche, correnti culturali e politiche, nell'intento di individuare come filo conduttore della storia non gli eventi bellici e gli eccidi ma le pratiche che cercarono, a volte con successo, di evitarli e di costruire un mondo migliore.
Profughi di Lavarone


Il ruolo del cinema

di Goffredo Fofi

Il cinema ha raccontato la prima guerra mondiale spesso e volentieri, negli anni dopo il 1918, ma raramente, nei diversi paesi, in modi che non fossero nazionalisti, anche quando camuffati di generico umanitarismo. Storie di famiglie divise, di soldati colpiti da amnesia, di coppie divise, di uomini che tornano dalla guerra e si sostituiscono a commilitoni che sanno morti anche nei letti delle loro vedove, belle spie alla Mata Hari, donne stuprate dai soldati nemici... Il cinema italiano abbonda di queste storie soprattutto nel secondo dopoguerra, ed è un cinema o semplicemente evasivo, o decisamente di destra.
Le eccezioni ci sono e sono grandi: Chaplin, il cui Charlot soldato è del 1918, Dovzenko nella Russia rivoluzionaria, Pabst nella Germania di Weimar, Renoir al tempo del Fronte Popolare e, dopo la carneficina della seconda guerra mondiale, molto più mondiale della prima (sei morti per ognuno della prima), Kubrick, Losey, Monicelli e altri. Pochi i registi di prim'ordine, però, mentre la guerra – tutte le guerre – serviva da sfondo per un cinema d'avventura e sciovinista, in cui i “cattivi” erano sempre gli altri e gli eroi abbondavano. È Forza del destino di Verdi, ironicamente, e “Oh che bella guerra” si cantava in un celebre musical pacifista degli anni Sessanta-Settanta, ma c'è anche chi ha insistito nel dire che la guerra fa parte dell'uomo (e della donna che ne facciamo?), che la sua eccitazione è segno di vita, che la violenza e l'aggressività fanno parte della natura umana e che bisogna accettarlo.
Sì, la pace e la democrazia non sono innate nell'uomo, diceva la Montessori, ma si possono raggiungere tramite l'educazione – che è educazione alla convivenza, al rispetto e all'amore per l'altro, al riconoscimento delle nostre pene e fatiche nelle pene e fatiche dell'altro. Una educazione o co-educazione che è anche, obbligatoriamente, lotta. Intanto, le guerre continuano e niente ci assicura che non coinvolgeranno direttamente prima o poi anche quella parte (ricca) del mondo che oggi ne è preservata.
Rivedere i vecchi film che hanno narrato la prima guerra mondiale nell'ottica dell'indignazione e dello scandalo, dell'odio per i potenti e criminali che l'hanno voluta, è molto istruttivo, il messaggio che essi trasmettono è univoco e deciso. Se mancano i film che hanno saputo descrivere i retroscena (gli interessi economici di pochi manipolatori della politica e della storia, che i vecchi socialisti chiamavano i “pescicani”), vi sono però molti capolavori che hanno raccontato la vita al fronte, la morte al fronte.
E nessuno, come All'ovest niente di nuovo ha saputo descrivere così veridicamente la vita di trincea (o più tardi, retrospettivamente, Per il re e per la patria), secondo la testimonianza di chi c'era, nessuno ha saputo descrivere meglio la “logica” militare meglio di Orizzonti di gloria, nessuno la speranza che la prima guerra mondiale fosse “la der des ders”, la “dernière des dernières”, l'ultima delle ultime, meglio del film di Renoir che si intitolava appunto – un anno o poco più prima che scoppiasse la seconda – La grande illusione.

Goffredo Fofi


Rassegna cinematografica

La rassegna cinematografica, curata da Goffredo Fofi, si terrà al Centro
culturale Candiani di Mestre (piazzale Candiani 7)
ogni martedì e giovedì di settembre 2014, con inizio alle ore 17,30.
Giovedì 18 settembre il film sarà preceduto da un intervento
di Goffredo Fofi.

I film in programmazione

All'Ovest niente di nuovo
di Lewis Milestone (USA 1930)

Orizzonti di gloria
di Stanley Kubrick (USA 1957)

La grande illusione
di Jean Renoir (Francia 1937)

La grande guerra
di Mario Monicelli (Italia 1959)

I recuperanti
di Ermanno Olmi (Italia 1970)

Charlot soldato
di Charlie Chaplin (USA 1918)

La vita e nient'altro
di Bertrand Tavernier (Francia 1989)

Uomini contro
di Francesco Rosi (Italia 1970)

Addio alle armi
di Frank Borzage (USA 1932)

Addio alle armi

di Ernest Hemingway

Ero sempre imbarazzato dalle parole sacro, glorioso e sacrificio e dall'espressione invano. Le avevamo udite a volte ritti nella pioggia quasi fuori dalla portata della voce, in modo che solo le parole urlate giungevano, e le avevamo lette su proclami che venivano spiaccicati su altri proclami, da un pezzo ormai, e non avevo visto niente di sacro, e le cose gloriose non avevano gloria e i sacrifici erano come i macelli a Chicago se con la carne non si faceva altro che seppellirla. [...] Parole astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene accanto ai nomi concreti dei villaggi, ai numeri delle strade, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti e alle date.

Ernest Hemingway

Il disertore

di Boris Vian

In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà.

La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest'altro lunedì

Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me

Io non ce l'ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.

Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.

Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà.

Quand'ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età.

Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.

Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò.

Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.

Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà.

E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.

Boris Vian

Un fotogramma di Orizzonti di gloria
di Stanley Kubrick (1957)

Una insolita rivisitazione dei tempi di
guerra l'ha fatta Andrea Perin nel suo libro
La fame aguzza l'ingegno, cucina buona
per tempi difficili
(dal quale è tratta questa
immagine), che propone pietanze riprese
dai ricettari di difesa alimentare pubblicati
durante il primo conflitto mondiale

Il diario di un disertore

di Bruno Misefari

Bruno Misefari, conosciuto anche con lo pseudonimo anagrammatico Sbarnemi (Palizzi, 17 gennaio 1892-Roma, 12 giugno 1936) è stato un anarchico, filosofo, poeta e ingegnere italiano.
Il Diario di un disertore (La Nuova Italia, Firenze, 1973) è stato scritto da Misefari nel carcere di Zurigo – Kantonspolizei, Kasernenstrasse – nel 1918.

23 aprile 1916
Dei tanti soldati che conoscevo non ho più ritrovato che qualcuno ancora inabile ai lavori di guerra. Tutti gli altri sono al fronte e a quest'ora sono forse feriti o sono morti.
Intanto è un continuo arrivare di reclute. È una razzia. Ci sono imberbi e ci sono uomini dai capelli grigi. Di tutte le età, di tutti i colori, di tutte le taglie, di tutti i paesi. E nell'enorme cortile della caserma, è un via vai insolito, un ronzio come d'immenso alveare, un qualcosa che ricorda in modo stridente un giorno di festa, mentre è giorno di lutto e di dolore. In ogni faccia non vedo espressione di gioia. Non ci sono che espressioni di spavento, sbigottimento, ira repressa. Segno evidente che nessuno di essi vuol morire sul campo di battaglia.
E dire che si ha ancora il coraggio di asserire che è il popolo a volere la guerra.
(p. 64)
Bruno Misefari (Palizzi, 1892-Roma, 1936)

Lettera di Mado
Caro Bruno,
aprirai questo plico con immensa curiosità, curiosità ben giustificata. La tua meraviglia sarà diretta, oltre che al nome del mittente, al contenuto di esso.
È il diario di Furio.
Te lo affido con la coscienza sapendo che tu, con altrettanta coscienza, capacità e tenacia, un giorno lo pubblicherai. Solo tu possiedi la sua medesima sensibilità, lo apprezzerai e ne farai un tesoro.
Furio è morto al fronte fucilato alla schiena da un ufficiale italiano, mentre abbracciava un soldato austriaco. Entrambi uccisi. Morti il giorno dei morti, il 2 novembre 1918, alle ore sette di sera.
Io ho ucciso. Ho ucciso il tenente, che a sua volta aveva ucciso Furio.
Tenevo nascosta una pistola, l'avevo prelevata dalla tasca di un giubbotto di un ufficiale austriaco, morto ai miei piedi.
Con essa ho sparato, ho ucciso anch'io.
Bruno, penso e so che solo tu puoi comprendere e giustificare la mia azione, eseguita in quel momento particolare.
Non potevo farne a meno.
Comprenderai anche il gran gesto di Furio.
I pochi soldati rimasti in trincea hanno assistito all'uccisione del tenente, sono stati fermi, zitti. Anche dopo l'armistizio non mi hanno denunciato.
Oltre al diario – composto, come vedrai, da tutte quelle carte, fogli, fogliettini, prelevati da me con tanta cura da sotto la sua panciera (come se lo teneva riguardato il suo scritto, era tutta la sua vita!) – ho trovato su di lui i due preziosi volantini contro la guerra di Tripoli del 1911. Sono logorati, disgregati, come vedi. Hanno raccolto tutto il fervente calore umano che si sprigionava dal suo corpo e dal suo intelletto. Era tutto ciò ch'egli volesse possedere.
Ti ricordi? Fu allora che iniziarono per lui le sue prime battaglie antimilitariste ed egli fu allora, per la prima volta in carcere, da studente a 19 anni, a Reggio Calabria.
Quei due pezzettini di carta sbiaditi dal tempo erano il suo «talismano». Potrai pubblicarli? O addirittura farne una copia e includerli nel diario?
Avrai un enorme lavoro, caro Bruno. Dovrai avere una pazienza da certosino per mettere insieme questa enormità di appunti, questi scritti talvolta illeggibili. Riuscirai a ricavarne un volumetto? Dovrai però prima imparare un nuovo mestiere, dovrai diventare mosaicista.
Ho tanta fiducia in te, ci riuscirai.
Ti piace il titolo? Diario di un disertore (Nella morsa). A me piace molto.
Puoi assicurare i genitori di Furio che il loro figlio l'ho seppellito io, con l'aiuto di tutti i soldati della trincea, in presenza di tutti i soldati austriaci.
L'abbiamo sotterrato in un luogo suggestivo, sembra una cripta, una grotta naturale, un posto degno di questo nostro amico, apostolo dell'amore.
Abbiamo sepolto là anche il tenente, accanto a Furio.
Nella medesima grotta abbiamo assistito anche noi italiani alla sepoltura del povero Erwin. Tre uomini. Tre fratelli. Verrò presto a trovarti a Reggio.
Verresti con me questa primavera a vedere la grotta?
Ti abbraccio forte.
(pp.175-177)
Bruno Misefari

Tra gli argomenti che verranno discussi al Convegno ci sarà anche la follia come fuga dall'orrore, che emergerà in maniera forte appunto durante la Prima Guerra Mondiale.

Il rifiuto antimilitarista della guerra era già esploso nell'ottobre
1911, all'epoca della guerra di Libia, con l'atto di rivolta di
Augusto Masetti che aveva sparato a un ufficiale, e nel giugno
1914, con l'insurrezione popolare nota come “settimana rossa”

10 aprile 1918 - 55esima divisione britannica, vittime del gas

“Scemi di guerra”: tra follia e ribellione

di Ilaria La Fata

Nel linguaggio popolare gli «scemi di guerra» erano quei soldati che, dopo essere stati al fronte per un tempo più o meno lungo, manifestavano segni di «alienazione mentale» e per questo venivano ricoverati in manicomio, da dove venivano poi definitivamente riformati oppure accusati di simulazione e ricondotti al reparto di appartenenza. Riflettere sul loro comportamento e sui disturbi che ne determinarono il ricovero significa in primo luogo analizzare la guerra come trauma, come evento che sconvolse le vite e le menti di moltissimi soldati. Eppure, i paradigmi psichiatrici prevalenti fra i medici del tempo consideravano unicamente la predisposizione biologica alla malattia mentale, escludendo che eventi bellici potessero produrre autonomamente effetti patologici, pur con interessanti differenze di atteggiamento tra psichiatri militari e civili. A prevalere fu, per la psichiatria militare, il tentativo di mettere a punto tecniche di individuazione dei “simulatori”, soldati la cui unica patologia riconosciuta era, a loro avviso, la totale assenza di amor di patria. L'insieme dei militari bollato come “simulatori”, tuttavia, offre la possibilità di analizzare comportamenti e reazioni assai variegati che, con livelli di sofferenza e di consapevolezza assai diversi, rimandano però, tutti, al grande tema della fuga dalla guerra e della disobbedienza all'ordine di uccidere o farsi uccidere.

Ilaria La Fata

Staffordshire (Gran Bretagna), National
Memorial Arboretum - Il monumento Shot
at Dawn
commemora i 306 soldati britannici
e del Commonwealth uccisi in seguito
all'accusa di codardia e diserzione
durante la Prima Guerra Mondiale

Stoccarda (Germania) - Il monumento,
che rappresenta una figura umana
ricavata da un blocco di granito,
è dedicato a tutti i disertori


Arte contro la guerra

Come documentano queste immagini raccolte da Roberto Gimmi, in diversi paesi nord-europei, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono stati realizzati da artisti internazionali – e installati in luoghi pubblici – alcuni monumenti esplicitamente dedicati a quanti hanno rifiutato in vari modi la guerra. Forse il più famoso è Shot at Dawn (ovvero “Fucilati all'alba”), il nome dell'opera dedicata ai 306 soldati britannici fucilati durante il primo conflitto mondiale con l'accusa di diserzione e codardia. Il sito si trova nel National Memorial Arboretum di Alrewas, nello Staffordshire. La maggior parte di questi soldati soffriva di quella che oggi è conosciuta come la sindrome da stress post-traumatico, all'epoca non diagnosticata. La figura ritratta nel monumento è quella del soldato semplice Herbert Burden, del Primo Battaglione dei Fucilieri del Northumberland, fucilato a Ypres nel 1915 all'età di 17 anni.

Molti i monumenti innalzati in tutta Europa immediatamente dopo la fine del primo conflitto mondiale. La stragrande maggioranza rispondeva alla logica “sangue e onore”, ma non sono mancati i monumenti esplicitamente contro la guerra, come questo di Gentioux la cui scritta non lascia spazio a equivoci: Sia maledetta la guerra. Anche in Italia furono innalzati monumenti apertamente critici, ma vennero tutti distrutti durante il fascismo, come racconta lo storico inglese John Foot nelle sue “Contromemorie”.
Berlino (Germania), giugno 1990 - Una replica della scultura in bronzo
realizzata da Carl Frederik Reuterswärd come simbolo di pace e non-violenza

Brema (Germania), novembre 2007 - Un ex-soldato della Wehrmacht
condannato per diserzione siede accanto al monumento
Per il disertore sconosciuto, eretto nel 1986

Praga (Repubblica Ceca) - Il John Lennon Wall è un tributo all'artista
che ha predicato pace e amore attraverso la sua musica

Programma del Convegno

sabato 20 settembre
ore 14,30 - 19,00


Coordina Francesco Codello

Cent'anni dopo. Introduzione, Piero Brunello

La diserzione, Bruna Bianchi

Luci e ombre dell'antimilitarismo dalla
Settimana rossa del giugno 1914 a Caporetto
,
Mimmo Franzinelli

Il pacifismo, Alberto Cavaglion

Le proteste popolari, Stefano Musso

dibattito

tra una relazione e l'altra, incursioni musicali
del
Coro de Gli Imperfetti diretto
da Giuseppina Casarin


domenica 21 settembre
ore 9,30 - 13,30


coordina Bruna Bianchi

Classificare e punire, Elena Iorio

“Scemi di guerra”: tra follia e ribellione,
Ilaria La Fata

Le contromemorie, John Foot

Eccoci bella mia domani parto.
Le canzoni della guerra
, Alessandro Portelli

dibattito

 

È una storia un po' complicata
è una storia sbagliata

Fabrizio De André

chiusura sezione Storia