rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014


cultura

Piccola storia (di) Letteraria

di Giuseppe Ciarallo


Un ricordo di Stefano Tassinari attraverso il racconto della sua ultima “creatura”. Che è continuata dopo la sua morte.
E non ha intenzione di smettere.


Tra i miei tanti incontri con Stefano Tassinari ne ricordo uno in particolare, nel maggio 2008 al Salone Internazionale del Libro di Torino, presso lo stand di Marco Tropea, l'editore che aveva appena pubblicato il suo ultimo romanzo Il vento contro. In quell'occasione Stefano mi disse: “Ti chiamerò a breve, perché sto tentando di realizzare un progetto che coinvolga tutti i miei amici scrittori, artisti e intellettuali, ma non aggiungo altro. Ti farò sapere a tempo debito.” Non lo sapevo ancora, a quell'epoca, ma Stefano aveva posto il seme affinché germogliasse quella straordinaria esperienza che è stata ed è ancora Nuova Rivista Letteraria – semestrale di letteratura sociale.
Stefano e io ci eravamo incontrati per la prima volta nell'agosto del 1995 in Sardegna, in quello splendido tratto di costa che risponde al nome di Cala Sinzias, entrambi ospiti di un campeggio. Ci eravamo conosciuti dopo esserci “annusati” come animali in cerca del proprio simile, complice il manifesto che entrambi leggevamo. Da lì era stato un fiume in piena di racconti, incentrati principalmente sulla nostra passata militanza politica negli anni '70, ma anche discorsi su letteratura, dischi, film. In quella occasione ci scambiammo i nostri rispettivi libri da poco pubblicati. Il suo, Ai soli distanti, lo conservo ancor oggi con particolare affetto.
Il 20 settembre del 2008 si tenne, presso una saletta del Bar La Linea di Bologna, la riunione fondativa della rivista. Oltre a Stefano, e al sottoscritto, c'erano scrittori che avevo incontrato solo attraverso le pagine dei loro libri (Bruno Arpaia, Milena Magnani, Maria Rosa Cutrufelli, Wu Ming 1, Massimo Vaggi, Paolo Vachino) e altri che avrei imparato a conoscere come straordinari compagni di viaggio. Del collettivo redazionale facevano parte, oltre ai citati, Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Pino Cacucci, Marcello Fois e molti altri scrittori di primo piano del panorama letterario contemporaneo.
Stefano espose molto chiaramente il suo progetto di rivista che, nell'ambito del rinnovamento di una casa editrice dal passato prestigioso, quale era Editori Riuniti (da poco rilevata con il suo ricco catalogo e rilanciata da una nuova proprietà) doveva irrompere nell'asfittico panorama culturale italiano e riavviare una discussione seria sui grandi temi, una volta ossatura del dibattito interno alla sinistra (il lavoro, la giustizia sociale, pubblico e privato, i movimenti antagonisti) e che da troppo tempo oramai erano stati relegati in soffitta. Questa irruzione culturale sarebbe dovuta avvenire attraverso il ritorno a una dimensione collettiva, dopo l'ubriacatura di narcisistico egotismo esploso nei deleteri anni '80 che non aveva certo risparmiato ampi settori dell'intellettualità di sinistra, e che pareva non voler più farsi da parte.
Per questo motivo Letteraria (questo il titolo coralmente scelto per la rivista) doveva avere un taglio preciso, immediatamente identificabile, e che decidemmo di riassumere nel sottotitolo: rivista semestrale di letteratura sociale. “di letteratura” perché sarebbe stata fatta da scrittori e avrebbe raccontato di come la letteratura aveva interpretato in passato e stava affrontando nel presente, le tematiche che avremmo deciso di affrontare; “sociale” perché noi tutti eravamo intenzionati a riscoprire percorsi che non fossero quelli individuali degli anni appena trascorsi e sentivamo l'urgenza di mettere nuovamente sul tavolo della discussione importanti elementi quali storia e memoria, conflitto e lavoro, attualità e cambiamenti di costume nella società contemporanea. Tutto ciò venne egregiamente raccontato da Stefano nell'editoriale del numero 1, dall'esplicativo titolo Cercando un altro noi…: “Come risulta evidente dalla scelta dei temi, non abbiamo alcuna intenzione di dare un taglio accademico alla rivista, puntando invece, a rivolgerci al pubblico (relativamente vasto) dei cosiddetti lettori forti, nonché a quelle persone magari più interessate al dibattito politico interno a una sinistra frantumata (e tuttora incapace di esprimere un vero progetto di trasformazione sociale e di superamento – da sinistra, appunto, della crisi economica), ma non per questo insensibili agli stimoli che possono arrivare da chi ha scelto la letteratura come principale mondo espressivo, da vivere anche in modo militante, come si diceva un tempo.”
Una particolarità della rivista, composta da una parte monografica che occupava i 2/3 delle pagine, e da altre rubriche (Letterature dal mondo, Riflessioni, Ripescaggi – di artisti ingiustamente caduti nel dimenticatoio) consisteva nel fatto che un ruolo non secondario era affidato alla sezione iconografica, fatta di una serie di scatti di un solo o più fotografi, che doveva rappresentare un racconto a sé stante, del tutto slegato, o “fuori sincrono”, dai pezzi scritti.

Con regolarità semestrale

Nel primo numero fanno bella mostra di sé le fotografie di quel grande Maestro dell'immagine che è Mario Dondero, e in copertina campeggia la famosa foto di gruppo degli scrittori del cosiddetto Nouveau Roman, ritratti a Parigi nell'ottobre 1959 davanti alla sede de L'Editions de Minuit, con Samuel Beckett, di profilo, che guarda davanti a sé, pensieroso.
Il numero 1 fu forse il più disomogeneo rispetto a quelli che seguirono; sembrava quasi racchiudere in sé il frastuono armonioso e anarchico di un'orchestra che prova gli strumenti prima che il direttore chieda il silenzio per l'inizio del concerto. Stefano si dimostrò infaticabile nel coordinare il lavoro di un collettivo redazionale che contava una trentina di elementi sparsi, fatta eccezione per il nutrito nucleo bolognese, un po' su tutto il territorio nazionale.
L'esperienza di Letteraria, appena iniziata, rischiò di naufragare dopo l'uscita del secondo numero (parte monografica incentrata sul mondo del lavoro, con sezione iconografica affidata all'ottimo fotografo ferrarese Luca Gavagna): la nuova proprietà della casa editrice che pubblicava la rivista, infatti, non aveva mai pagato grafici e stampatori (gli scrittori e il fotografo partecipavano in puro stile militante offrendo le loro collaborazioni gratuitamente) e non sembrava intenzionata a farlo.
Naturalmente questa era una condizione inaccettabile, una contraddizione di termini per un collettivo che aveva deciso di condurre una battaglia socio-culturale all'interno della sinistra. La rottura fu inevitabile e Stefano, che era il “garante” di quell'operazione, ne soffrì moltissimo. Fortunatamente, a Editori Riuniti subentrò in corsa una giovane casa editrice romana, Alegre, nata nel 2003 sotto forma di società cooperativa giornalistica, e molto attiva nella pubblicazione di libri, riviste e materiali legati al pensiero critico e al lavoro culturale. Tassinari tentò anche un “gentlemen's agreement” con la proprietà di Editori Riuniti per conservare nome e grafica della testata (peraltro ideate all'interno del collettivo redazionale e non dall'editore), ma non ci fu verso, e quindi Letteraria divenne Nuova Rivista Letteraria e la sua numerazione dovette ripartire dal numero 1.
Le traversie parevano non aver lasciato strascichi, il collettivo aveva approvato all'unanimità il cambio di editore, e nel maggio del 2010 vide la luce il nuovo numero 1, con la parte monografica dedicata proprio al “lavoro culturale”, con numerosi omaggi all'opera di Luciano Bianciardi.
Con regolarità semestrale uscirono poi il numero 2, con saggi sul rapporto naturale, ma spesso contrastato, tra sinistra e cultura, e i numeri 3 e 4 che ebbero come tema centrale il populismo/i populismi.
E fin qui tutto fila liscio. Ma dopo l'uscita del quarto numero accade qualcosa di drammatico. Stefano Tassinari, che da circa otto anni combatte strenuamente contro il male incurabile che lo ha colpito, si aggrava improvvisamente e nell'aprile del 2012 si rende necessario il suo ricovero presso l'Hospice di Bentivoglio, tra Bologna e la sua Ferrara dove, circondato dall'affetto di Stefania, la sua compagna, e di tanti amici e compagni, si spegnerà poche settimane dopo, l'8 maggio.

Dalla parte del torto

Proprio in quei giorni uscì il numero 5 di Nuova Rivista Letteraria, portato a termine da un comitato ristretto di redattori, creatosi quasi spontaneamente nel marasma e nel vuoto che la scomparsa di Stefano aveva lasciato. Pochi giorni prima della sua morte, la casa editrice Alegre aveva dato alle stampe Lavoro Vivo, una raccolta di dieci racconti sul mondo del lavoro e della fabbrica, e Carlo Lucarelli, visibilmente emozionato, dal palco del Primo Maggio di Piazza di Porta San Giovanni a Roma aveva letto proprio un estratto del racconto di Stefano.
Con la morte del suo fondatore e direttore responsabile Nuova Rivista Letteraria, o Letteraria come tutti continuavamo a chiamarla, si trovava a un bivio, troppo importante era stato il ruolo giocato da Stefano che da solo costituiva l'intera redazione della rivista raccogliendo i pezzi, facendo editing, titolandoli, scrivendo i “cappelli” e scegliendo gli “estratti”, sollecitando i ritardatari.
Durante una riunione del collettivo molto affollata, decidemmo che la pubblicazione della rivista dovesse proseguire, per un debito verso Stefano ma anche e soprattutto perché con Letteraria avevamo rimesso in moto un congegno necessario alla circolazione delle idee in un Paese devastato dal disimpegno e dal tentativo di azzeramento di ogni pur minima istanza culturale.
Il numero 6 uscì quasi di getto, sulle ali della commozione per la perdita del nostro compagno, e vide una massiccia partecipazione: avevamo infatti deciso di dedicare a Stefano Tassinari un intero numero monografico, per far conoscere al pubblico e raccontare la figura di un intellettuale, uno scrittore, un poeta, un giornalista, ma soprattutto un compagno e straordinario agitatore (e aggregatore) culturale.
Ad oggi, Nuova Rivista Letteraria ha tagliato il traguardo del suo nono numero (in realtà l'undicesimo), è entrato nel suo sesto anno d'età e ha la ferma intenzione di proseguire nel cammino, per Stefano, per noi che la facciamo, per tutti coloro che pensano sia sempre più necessaria una molteplicità di voci fuori dal coro e “in direzione ostinata e contraria”, insomma per i tanti che, citando Bertolt Brecht, da sempre preferiscono sedere dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono già occupati.

Giuseppe Ciarallo


Ci sono persone la cui vita intera è servita a sviluppare un discorso.
E come lo fermi tu un discorso?

di Milena Magnani

Un'altra redattrice di Nuova Rivista Letteraria ne ricorda il fondatore, Stefano Tassinari.
E spiega perché il volo continua.

Nuova Rivista Letteraria nasce da un'idea di Stefano Tassinari, scrittore, poeta, drammaturgo, uomo di teatro, che ci ha lasciato due anni fa.
Qualcuno dice che quando un artista muore la sua immagine cambi, che la morte crei una linea di demarcazione oltre la quale un certo discorso artistico non può apparire altro che testimonianza del passato.
Non vale questo per Stefano Tassinari perché l'atto del ricordarlo, a due anni dalla morte, innesca un rianimarsi di freschezza, che è la freschezza del suo discorso, è la freschezza di ciò che fa sentire in fondo all'animo l'urgenza di tirare su la testa, e di fare della propria vita, qualunque essa sia, un manifesto del rifiuto del qualunquismo, delle derive dell'individualismo e della banalità.
Il cuore pulsante del lavoro artistico di Stefano Tassinari, è stato infatti soprattutto questo: mescolare le istanze della politica, quella politica per cui aveva occupato le piazze degli anni 70, con i linguaggi più vari dell'arte, e di farlo in modo tale da interrogare il suo interlocutore fino al punto da chiedergli di prender posizione.
Quando ci si sedeva in teatro per assistere a un suo spettacolo, dove una coralità di attori musicisti fotografi sviluppavano una narrazione a più linguaggi, ci si sedeva in realtà nel mondo, ci si trovava immersi in quella storia che lui con grande abilità era capace di ricreare e rendere vibrante.
Che lui parlasse dei desaparecidos argentini, dei movimenti di lotta del ‘68, o che ripercorresse le ricerche sonore della voce di Demetrio Stratos, quello che succedeva era che ti sollevava dalla poltrona e non ti riposava lì, ma più in là, in un altrove che non era fatto di spazio scenico e teatrale ma era il luogo di un'interrogazione, il luogo in cui il nostro essere cittadini veniva messo in discussione dagli ideali che lui riusciva a risvegliare. Quella “possibilità di cambiare il mondo”, in cui aveva creduto e che non intendeva per nessuna ragione abbandonare.

Canti di stagione anime salve

Si definiva comunista Stefano, e spiegava che il comunismo per lui non era solo un'idea di società che probabilmente non avremmo mai visto realizzata, ma era anche e soprattutto uno stile di vita, difficile, che lo faceva stare con fermezza da una certa parte (quella brechtiana del torto...) al di là delle contingenze.
Una spinta politica la sua, una passione per la dialettica che è stata alla base anche di quell'appassionato laboratorio di confronto che stava dirigendo quando ci ha lasciato a causa di una difficile malattia, quel laboratorio che è Nuova Rivista Letteraria e che noi, collettivo di redattori, abbiamo sentito con grande passione l'esigenza di continuare.
Riporto qui lo stralcio di una lettera che scrisse nel 2008 di fronte al progetto nascente della rivista: Oggi la contingenza è la peggiore che io ricordi, eppure sento che può essere superata, magari grazie alle “loro” contraddizioni, anche materiali (il capitalismo finanziario sta esplodendo, e questa è una buona notizia!). Per questo è importante “fare comunità”, ragion per cui anche una nuova rivista può essere uno stimolo importante per non rinchiudersi in se stessi e per non “dismettere” certi stili di vita. Stefano Tassinari
È proprio vero che anche dopo un applauso finale, è possibile chiudere gli occhi e continuare a volare.

Milena Magnani