rivista anarchica
anno 44 n. 392
ottobre 2014


antropologia

Un'antropologa dallo sguardo 'altro'

intervista a Franco Cuomo di Domenico Sabino


Annabella Rossi (Roma, 1933 - 1984) fu tra le prime ad utilizzare la fotografia e la ripresa video nella ricerca antropologica in Italia.
Ne parliamo con un filosofo e saggista.

Franco Cuomo, docente all'università di Napoli, funzionario del settore Musei e Biblioteche della regione Campania, dove e quando conosci l'antropologa Annabella Rossi? Qual è il suo modus operandi per entrare in contatto con le persone e gli informatori?
Non sono un antropologo e la mia conoscenza di Annabella Rossi è stata meramente fortuita. La conobbi nel 1976 a una festa popolare al Santuario della Madonna di Materdomini a Nocera Superiore (SA); la festa si svolge il 14 agosto vigilia di Ferragosto e dura fino all'alba del giorno successivo. Durante la festa numerosi gruppi si esibivano nello spazio antistante al Santuario con canti e danze rituali “dedicati alla Madonna”. Una festa molto intensa e suggestiva. Io andai con i miei amici di allora: Annibale Ruccello, Franco Autiero, Vanni Baiano. Noi eravamo col M° Roberto De Simone che registrava tali canti di tradizione orale per una sua pubblicazione; fu lui a presentarcela: bassina, rotondetta, con gonnellone e collane etniche. Insegnava Antropologia Culturale all'università di Salerno. L'impressione che ebbi fu quella di una donna molto abile a entrare in contatto con altre donne, anche se molto più avanti negli anni di lei e di diversa collocazione culturale. Era capace di far venir fuori aspetti inconsueti e oltremodo autentici, lavorando sul loro universo simbolico su cui indagava già da anni attraverso ricerche storiche, antropologiche e sociali del profondo Sud d'Italia. Credo che per lei sia stato decisivo l'incontro avvenuto nel 1959 con l'antropologo Ernesto de Martino, con l'uscita di un numero monografico della rivista Nuovi Argomenti, dedicato a “Mito e Civiltà Moderna”.

Nel 1959 Annabella incontra Ernesto de Martino; trae indicazioni per il proprio lavoro di ricerca sul campo; acquisisce una presa di coscienza della problematica dei rapporti tra classi al potere e classi subalterne e ne parla nell'articolo del '71 “Realtà subalterna e documentazione”: «Questa realtà deve essere documentata, per essere conosciuta, per circolare, per smascherare chi la copre per precisi fini politici». È attuale tale asserzione?
Oggi è molto difficile definire i rapporti tra classi e potere perché le classi, nell'accezione marxiana del termine e anche demartiniana, non esistono più, omologate come sono in una low class di massa, mentre lo stesso concetto di potere è diventato altro dall'idea monolitica del grande Moloch. È un potere molto diffuso e 'liquido', per dirla col sociologo Bauman. Anche il capitale politico è 'liquido' e pronto a qualsiasi investimento e coglie con prontezza le possibilità di profitti che la paura del futuro offre in misura crescente. Grandi investimenti si profilano di fronte allo scricchiolare della sovranità di quel Leviatano che aveva costruito la sua forza e legittimazione proprio sulla paura (ma restituendo protezione e sicurezza). In questa fluidità si accompagna un aumento della disuguaglianza che, se una volta, soprattutto per le classi subalterne, aveva dei riferimenti simbolici e identitari, oggi no. In più, vedo una forte resistenza al cambiamento e una chiusura verso ogni possibile emancipazione.

Negli anni Sessanta, conduce nel Meridione ricerche sulla religiosità popolare, corredate di documentazione fotografica e confluite nei volumi “Le feste dei poveri” e “Lettere da una tarantata”. Si può affermare che abbia dato inizio all'antropologia visiva in Italia, ovvero immagine-documento definito 'campo visivo'?
Sicuramente. Annabella Rossi è stata tra le prime a utilizzare la fotografia e la ripresa video nella ricerca antropologica in Italia; molti suoi reportage sono fotografici. Un'antropologia visiva è un documento antropologico definito 'campo visivo'. A Vico Equense (Na) - nella frazione di Ticciano - con Roberto De Simone ha fotografato e registrato una serie di canti rituali inseriti poi nel saggio Carnevale si chiamava Vincenzo, risultato di una ricerca durata quattro anni, ancora oggi unica e insuperata per vastità e completezza, condotta negli anni Settanta in Campania.

Annabella Rossi

Di tammorra, taranta, pizzica salentina, ecc.

Nei due saggi sopra citati si evidenzia l'approccio gramsciano alla struttura festa e al folclore considerato fino ad allora elemento 'pittoresco' e 'spettacolare'; per la Rossi, invece, esso è l'espressione di determinati strati sociali con cui entrare in simbiosi. Basti pensare che con “Lettere da una tarantata” - esempio ante litteram di antropologia dialogica - l'analisi del fenomeno è scandita da una tarantata e dal suo vissuto reso accessibile per la prima volta. Cosa puoi aggiungere in merito a tale considerazione comparandola alla situazione odierna?
Nulla. Gramsci è stato per molti di noi una guida per comprendere ciò che Pasolini chiamò “mutazione antropologica”, ma gli approcci antropologici di quegli anni si nutrirono anche degli studi del linguista/semiologo Saussure ovvero dello strutturalismo. Nel 1958 un gruppo di antropologi, tra cui Tullio Seppilli, Amalia Signorelli e Tullio Tentori, elaborò una vera e propria carta di fondazione dell'antropologia culturale italiana che cominciò a fare il suo ingresso negli atenei. Per ritornare al libro che citi, Lettere da una tarantata, è un testo mitico e introvabile. Lo conosco perché me ne parlava Annibale Ruccello che lo aveva incluso tra le cose da leggere; ne abbiamo letto anche qualche passo insieme, nella pizzeria 'Zemberiniello' a Castellammare di Stabia (Na) dove ci incontravamo, oltre che per mangiare la pizza anche per caotici seminari preparatori di Ipata, una rilettura dell'Asino d'oro di Apuleio. Le Lettere da una tarantata furono frutto di una corrispondenza intercorsa dal '59 al '65 fra Annabella Rossi e Anna, un'anziana contadina della provincia di Lecce, afflitta fin dalla giovinezza da crisi epilettiche quotidiane. Il testo inquadra nella giusta luce questo fenomeno, tenendo conto delle condizioni di vita in cui viveva il contadino del Sud. Oggi tutto questo non esiste più e laddove sembra esistere è solo una scialba riproposizione folkloristica. Mi riferisco alle scuole di tammorra, taranta, pizzica salentina, etc.

Negli anni Settanta, durante la docenza di Antropologia Culturale presso l'università di Salerno, Annabella conosce Roberto De Simone e avvia cospicue ricerche in Campania con documentazione fotografica, sonora e filmica. Ritroviamo i risultati antropologici ed etno-musicologici di tali lavori nei saggi “Immagini della Madonna dell'Arco” e “Carnevale si chiamava Vincenzo”. Ciò avrebbe dovuto suscitare maggior attenzione per l'antropologia e la cultura popolare. Cosa ricordi di quel periodo?
Quegli anni per molti di noi furono un laboratorio permanente di crescita culturale, eravamo giovanissimi senza internet e senza cellulari. La società italiana mi pareva più aperta e curiosa rispetto a quella omologata di oggi. Certo quegli anni furono attraversati dal terrorismo, ma credo che la società fosse attraversata da un anelito democratico e da una spinta al cambiamento che oggi non c'è. L'interesse per le culture subalterne nasceva proprio dalla voglia di partecipazione e di democrazia. A veicolare tutto ciò c'erano folk singer, artisti, registi, scrittori. Noi eravamo giovani in quegli anni, ma gli intellettuali che spingevano e alimentavano questa spinta erano quarantenni: Annabella Rossi, De Simone, Calvino, Pasolini, Signorelli. L'Antropologia Culturale e la cultura popolare fanno il loro ingresso nelle università. Negli anni 70 io, Ruccello e Autiero eravamo studenti; abbiamo conosciuto gli antropologi Luigi Maria Lombardi Satriani, Amalia Signorelli, Alfonso Maria di Nola e seguito con vivo interesse le lezioni all'università di Napoli.

Negli anni in cui opera la Rossi, la cultura egemone opera una sorta di rimozione della cultura popolare definendola volgare e inopportuna. Contro tale rimozione si leva forte la voce di Annabella, tant'è che durante i viaggi nel Salento e nel Mezzogiorno studia e denuncia siffatta situazione. Oggi ci sono antropologi che operano entrando in contatto diretto con la comunità, carpendone le trasformazioni in atto?
Penso che l'Antropologia Culturale è diventata antropologia urbana. Oggi la ricerca antropologica sulle comunità è svolta in maniera dignitosa e con molta serietà nei centri sociali, poli attrattori di istanze che arrivano da culture 'altre' alla nostra: mi riferisco agli immigrati, ma anche ai ceti emarginati dal nostro sistema sociale. La società è diventata neofeudale: signori molto ricchi con una sterminata, benché informatizzata, servitù della gleba.

Attualmente la ricerca antropologica ha avuto un'evoluzione o un'involuzione? Dove dovrebbe volgere lo sguardo? Cosa dovrebbe significare per un antropologo 'osservare' una festa popolare?
La ricerca antropologica si è completamente trasformata e oggi un antropologo potrebbe osservare le feste popolari degli immigrati, i flash mob che si attivano per le cause più disparate, i movimenti che si organizzano contro un grigio conformismo.

Perché una personalità vigorosa come Annabella Rossi è spesso dimenticata dagli antropologi? Cosa rimane proficuo della sua produzione scientifica e del suo insegnamento? Cosa dovrebbe trasmettere la sua lezione a chi si avvicina all'antropologia?
La lezione che Annabella Rossi trasmette e lascia, come tutti i grandi intellettuali, è l'impegno profuso nel lavoro e nella ricerca. Un'analisi come la sua, oggi, non si potrebbe più fare in Italia perché quel mondo magico del Mezzogiorno, indagato in profondità, nei contenuti e nei documenti della tradizione orale, è scomparso da tempo e per sempre. Prevedo tempi ancora bui e lontana una possibile ripresa.

Domenico Sabino

Bibliografia essenziale

Annabella Rossi, Simonetta Piccone Stella, La fatica di leggere, Roma, Editori Riuniti, 1964
Annabella Rossi, Roberto Leydi, Osservazioni sui canti religiosi non liturgici, Milano, Ed. del Gallo, 1965
Annabella Rossi, Le feste dei poveri, I ed., Bari, Laterza, 1969
Annabella Rossi, Lettere da una tarantata, I ed., Bari, De Donato, 1970
Annabella Rossi, Lello Mazzacane, Miseria e follia, Milano, Editphoto, 1971
Annabella Rossi, Ferdinando Scianna, Il glorioso Alberto, Milano, Editphoto, 1971
Annabella Rossi, Roberto De Simone, Immagini della Madonna dell'Arco, Roma, De Luca, 1974
Annabella Rossi, Roberto De Simone, Carnevale si chiamava Vincenzo, Roma, De Luca, 1977
Annabella Rossi, Claudio Barbati, Gianfranco Mingozzi, Profondo Sud. Viaggio nei luoghi di Ernesto de Martino a vent'anni da “Sud e magia”, Milano, Feltrinelli, 1978
Annabella Rossi, E il mondo si fece giallo, Vibo Valentia, Qualecultura - Jaca Book, 1991
Vincenzo Esposito (a cura di), Annabella Rossi e la fotografia. Vent'anni di ricerca visiva nel Salento e in Campania, Napoli, Liguori, 2003.