rivista anarchica
anno 45 n. 396
marzo 2015


dopo Parigi

Appunti sulla Jihad

di Andrea Papi


Una visione teocratica e totalitaria che non ammette critiche né forme di libertà di pensiero. Le donne sono trattate con grande inferiorità, l'omosessualità è peccato grave punito fino alla morte. È l'apice di ogni autoritarismo e la più completa negazione del principio di libertà.


Da Wikipedia: Jihad significa “esercitare il massimo sforzo”. È parola araba che connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa, e fa riferimento ad una delle istituzioni fondamentali dell'Islam. Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava a La Mecca, lo jihad si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale, quindi a quello sforzo interiore necessario per la comprensione dei misteri divini. In seguito al trasferimento (Egira) da La Mecca a Medina nel 622, e alla fondazione di uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo e iniziò a incorporare la parola qital (combattimento o stato di guerra) per scopo difensivo. Oggi invece è usata in numerosi circoli come se avesse una dimensione esclusivamente militare.
Apprendere la genesi del significato mi suscita un'ulteriore ripulsa. I movimenti che oggi si autodefiniscono jihadisti da più di due decenni rivendicano con orgoglio di essere autori di efferati fatti di sangue perpetrati in nome del trionfo della loro fede. Oltre l'orrore e le atrocità, sono anche responsabili di attribuzioni di significato che deviano dal senso originario per indurre ad aggressioni militari e imposizioni schiavizzanti. Faccio pure fatica a chiamarli “fondamentalisti”, che vuol dire richiamarsi ai fondamenti di base. Mi sembra invece che siano intransigenti e acritici nella loro interpretazione della dottrina e che, vivendola fanaticamente come esclusiva, la portino ad estreme conseguenze volendola imporre. Per questo preferisco chiamarli “integralisti estremi”.
Il loro scopo fondamentale mi sembra l'asservimento alle oligarchie teocratiche che ne hanno il comando, le stesse che con un'assolutezza sconcertante dichiarano di voler sottomettere l'umanità alla loro visione del mondo. Non a caso propongono il Califfato, sistema di governo adottato dal primissimo Islam il giorno stesso della morte di Maometto con a capo un califfo, il “comandante dei credenti”, inteso in senso più politico che spirituale come il successore legittimo del Profeta. Il califfo, che dovrebbe costituire la rappresentanza pro tempore di Allah sulla terra, ha il compito di realizzare la Umma, l'unità dei musulmani, e di regnare applicando la Shari'a, la legge di dio. Una visione teocratica e totalitaria che non ammette critiche né forme di libertà di pensiero. Nelle sue realizzazioni le donne sono trattate con grande inferiorità, relegate a ruoli e mansioni di fatto sottomessi ai ruoli maschili, mentre l'omosessualità è peccato grave punito fino alla morte. Tutto ciò rappresenta l'apice di ogni autoritarismo ed è la più completa negazione del principio di libertà.
Ai miei occhi di libertario una tale concezione è terrificante e non può che essere contrastata in quanto tale. Se infatti per un malaugurato sviluppo degli eventi trionfasse sarebbe la fine di ogni aspetto umanista e laico, di ogni possibilità di quelle libere espressioni per le quali i ribelli di ogni epoca e di ogni parte del globo hanno lottato per millenni e continuano a farlo. Equivarrebbe ad annichilire l'originario spirito dell'umanità.

Potere incondizionato

Con la strage della redazione di Charlie Hebdo a Parigi, ennesimo eclatante atto cruento di questa prospettiva teocratico-assolutista, è la prima volta che viene massacrato un gruppo di individui la cui unica arma erano le vignette satiriche. È un lampante messaggio della più spietata intolleranza, una minaccia che dichiara esplicitamente che è in atto una guerra per dare potere incondizionato a una dottrina che vuole imporre a chiunque come pensare, cosa fare, cosa dire e come muoversi. Se vincesse sarebbe l'apoteosi di un oscurantismo assoluto.
Di fronte a una tale epopea ultrareazionaria, così limpida nella sua raccapricciante ferocia antiumanista, si frantuma ogni contorno, ogni cornice, ogni appendice che in qualche modo possa giustificarla. So perfettamente che l'occidente colonizzatore è altamente responsabile e complice, più o meno diretto, dell'attuale egemonia jihadista nel mondo islamico. Abbiamo tutti letto da più parti che Bin Laden fu addestrato dalla Cia, che l'Isis, ora Is, fu inizialmente fomentato e armato dagli americani per abbattere il despota siriano Assad, che Boko Haram al suo sorgere in Nigeria è stato sottovalutato e continua a perpetrare indisturbato agghiaccianti stragi di civili e stupri di massa, come pure che negli anni novanta furono praticamente ignorati i macellai algerini che a colpi di machete massacravano nelle loro case tutti coloro che osavano metterli in discussione.
Queste informazioni, ormai di dominio pubblico, non possono pregiudicare nulla. Il fatto che l'occidente della politica corrotta e degli affari (sempre sporchi) sia in buona parte responsabile e complice, che continui nascostamente a permettere che costoro si armino e si finanzino con commerci più o meno leciti, o che vengano finanziati da stati e multinazionali potenti che pensano di trarne profitto, non può incidere in alcun modo rispetto al giudizio e alla considerazione su queste orde di assassini e macellai che propagandano di agire in nome del loro dio. Ciò che l'attuale movimento jihadista rappresenta è talmente pregnante da trovarsi al di là delle connivenze, più o meno ambigue e più o meno occulte, che ne permettono la perpetuazione.
Ritengo invece che per comprendere meglio cosa stia succedendo bisogna andare oltre le contingenze relativizzanti, risalire all'essenza del processo in atto e cercare di cogliere e identificare il deus ex machina che dà il la, l'archetipo congenito che spinge l'insieme delle cose a manifestarsi al di là della molteplicità delle differenziazioni. In questa attualizzazione dello jihadismo il primo aspetto determinante che salta agli occhi è la potentissima tensione androcratica (potere del maschio) che la ispira e la forgia. Ci fa intravedere che stiamo attraversando una transmutazione (trans, passaggio, mutazione, cambiamento radicale irreversibile) di tipo epocale, che ci stiamo trasferendo verso una dimensione collettiva, culturale e antropologica insieme, qualitativamente diversa da quella in cui l'avvento della modernità ci aveva illusi di poter continuare a dimorare. Stiamo vivendo un cambio di paradigma socio/esistenziale.
Sta montando una fortissima spinta total/autoritaria che ha assunto l'attuale forma jihadista. Una propensione simbolica e una mutazione di senso che vorrebbero riportarci a quando, attorno al 2500 a.c., gli insediamenti stanziali gilanici, in cui era prevalente la complementarietà tra i generi e la mutualità delle relazioni comunitarie, furono annientati dalla furia bellica di orde di nomadi che con brutale violenza imposero un efferato dispotismo androcentrico impregnato di schiavismo (1).

La lezione di Kobane

Con la decadenza in atto del capitalismo, in questa fase a egemonia finanziaria, che per sua natura non è né androfilo (amico dell'uomo) né ginofilo (amico delle donne) ma per l'appropriazione egoistica personale, la schiacciante predominanza dei sistemi fondati su dispotismo e sottomissione sta cominciando a incrinarsi seriamente. Se questo processo che ha preso avvio continuasse, c'è il rischio per il potere che potrebbe lasciare spazio a qualità e livelli di relazioni sociali fondati sulla cooperazione e la mutualità, fino a un futuribile annullamento di gerarchie e strutture di dominio. La tensione androcratica, ancora molto forte e diffusamente imperante, di fronte a questo rigurgito di un passato che si era illusa di aver definitivamente seppellito, sta tentando di rialzare la testa per riportare il tutto alla condizione di assoggettamento che era riuscita a imporre con forza schiacciante all'incirca 4.500 anni fa.
Anche per questo è fondamentale la lotta che i compagni e le compagne libertari/e kurdi/e stanno conducendo, armi in pugno, a Kobane per fermare l'avanzata del califfato “Is”. Nonostante siano lasciati/e soli/e e non armati/e in modo adeguato, continuano eroicamente a fronteggiare un nemico super armato e addestrato. Lo hanno dichiarato ogni volta che ne hanno avuto l'occasione: la loro resistenza non è solo per loro stessi, ma per la libertà universale, compresi i valori che noi tanto esaltiamo. Nonostante siano l'unico finora efficace avamposto di resistenza, l'occidente continua criminalmente a non sostenerli e ad essere ambiguo nel conflitto contro l'avanzata jihadista che gli ha dichiarato guerra.

Andrea Papi

1. Tutto ciò è ampiamente documentato dalle ricerche archeologiche di Marija Gimbutas (La civiltà della dea, voll. 1 e 2, Stampa Alternativa, 2012) e indirettamente confermato da numerosi studi antropologici che mostrano come in epoche pre/storiche avesse grande prevalenza un diffuso livello di relazioni comunitarie non centraliste, mutuali, non aggressive e non androcratiche (Ashley Montagu, Il buon selvaggio, Elèuthera, 2012)