rivista anarchica
anno 45 n. 397
aprile 2015


No Tav

Dietro quelle barricate c'eravamo tutti

di Maria Matteo


La nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lione è un grande affare per la lobby del cemento e del tondino e per i loro santi protettori nelle istituzioni. Questo spiega molto, se non tutto. A partire dalle recenti pesanti sentenze giudiziarie (e politiche).


Nella lotta No Tav ci sono stati tanti giorni e tante notti importanti. Alcune restano indelebili nella memoria. Il 27 giugno 2011 fu una notte di veglia in attesa delle truppe inviate a sgomberare la Libera Repubblica della Maddalena. Ricordo che era passata la mezzanotte quando giunsi sul piazzale del Museo Archeologico della Maddalena, dove si era appena conclusa l'assemblea. Le auto dei politici di professione stavano già sgasando sul piazzale per andare via. Dopo poco calò una quiete vigile. Rivedendo le immagini montate per i processi ai No Tav, rivivo quella notte. L'odore acre dei lacrimogeni, il respiro che si mozza, il tempo sospeso dell'attesa di quella breve notte estiva. Il trascolorare delle stelle nell'alba e i primi mezzi che arrivano sull'autostrada e sostano a lungo prima di entrare in azione.
Dopo le condanne a oltre 140 anni di carcere per i 47 No Tav, i media irridevano il “mito” della Libera Repubblica della Maddalena, come una sorta di “zona rossa all'incontrario”, dentro i No Tav, fuori le forze dell'ordine. Chi visitasse oggi il fortino/cantiere di Chiomonte e poi mostrasse le immagini a qualcuno lontano da questo scampolo di Piemonte, difficilmente potrebbe convincerlo che quello che vede è un cantiere e non un avamposto militare in zona di guerra. Dentro, oltre gli infiniti strati di cemento e acciaio e filo spinato ci sono soldati, carabinieri, poliziotti, blindati Lince, depositi per i lacrimogeni e le altre armi. Una barriera (quasi) impenetrabile.
Chi veniva alla Libera Repubblica poteva farsi un giro per gli accampamenti, alla baita, alle barricate inventate da decine di ingegneri e carpentieri No Tav, alla tenda dove arrivavano in continuazione cibo e bevande. Per tutti c'era sempre qualcosa da mangiare e da bere. Durante lo sgombero le pentole vennero riempite d'acqua per soffocarci i lacrimogeni.
Alla Libera Repubblica c'erano lezioni universitarie, incontri, feste, musica, lunghe assemblee, turni giorno e notte alle barricate che sapevamo bene sarebbero state buttate giù da chi ha il monopolio della violenza.
Lo spirito di fratellanza e condivisione di quelle giornate era quello di chi non si era chiuso in un fortino, ma aveva liberato per tutti uno spazio. Fuori stavano solo le forze di occupazione e gli emissari delle ditte. Le porte erano aperte: quasi tutti quelli che hanno bussato sono entrati.
Ricordo un tizio di Vicenza che faceva la Francigena e si fermò a lungo alla barricata che chiudeva l'accesso da Giaglione. Gli raccontammo la nostra storia e forse la capì, forse no. Ci scambiammo delle cose da mangiare e poi lui proseguì. Chi sa se ha mai saputo di essere stato uno degli ultimi a percorrere quella strada, prima dell'occupazione militare e della deviazione verso l'alto del sentiero.
La notte del 27 giugno sapevamo che la polizia avrebbe preso la Maddalena, sapevamo che il 3 luglio l'assedio non si sarebbe concluso con la capitolazione della cittadella fortificata che stavano cominciando a costruire. Siamo rimasti lì lo stesso. Siamo rimasti lì perché non intendevamo arrenderci.
In tanti ci hanno suggerito il realismo, vorrebbero che ri-consegnassimo ai giochi della politica istituzionale la partita, allontanando i “cattivi”. La carta della divisione è stata giocata ancora una volta dai gazzettieri che provano a seminare la paura, a suggerire la rassegnazione, ad indicare un comodo rifugio al sicuro dalle aule di tribunale, dalle sentenze di anni di reclusione e decine di migliaia di euro di “risarcimenti”. Chi continua a cantare la canzone dei buoni e dei cattivi, chi continua a provare a dividere, finge di non sapere che il movimento No Tav, tutto il movimento nelle sue molteplici sfaccettature, non è mai stato e non intende diventare un movimento di opinione. Nessuno vuole essere mero testimone del disastro ma ognuno, come sa, come può e come ritiene, si mette di mezzo per impedire la realizzazione del Tav.
Dietro a quelle barricate c'eravamo tutti. Qualcuno in prima fila, qualcun altro più indietro, ma tutti insieme.
Lo dimostra, paradossalmente, la sentenza stessa del tribunale, che fa leva sul “concorso”, sul fatto che chi era lì rafforzava l'intento degli altri con la sua stessa presenza. Sul piano squisitamente giuridico, una vera aberrazione, sul piano politico l'essenza stessa del movimento.

Nel fronte avversario si aprono crepe

I No Tav tra dicembre e febbraio hanno dato una calda solidarietà ai condannati: assemblee, manifestazioni e un blocco stradale si sono susseguiti a ritmo serrato.
Il movimento ha tante anime ma un unico scopo: fermare il Tav e dare una bella botta al mondo che rappresenta. Lo abbiamo imparato poco a poco: il Tav, la nuova linea tra Torino e Lyon, non diversamente dalle altre linee costruite lungo la penisola, è un grande affare per la lobby del cemento e del tondino e per i loro santi protettori nelle istituzioni.
Il movimento No Tav rappresenta una spina nel fianco di questo sistema. Una spina sempre più dolorosa, che va estirpata costi quel che costi, perché rischia di compromettere equilibri consolidati, dando slancio ad altre lotte. La bandiera No Tav è sventolata in decine di manifestazioni in tutta la penisola: ha fatto capolino tra gli sfrattati, tra chi si batte contro le servitù militari, tra i lavoratori disoccupati precari in lotta contro i lacci legislativi imposti dal governo Renzi.
In ogni dove il treno crociato è diventato simbolo di rivolta contro l'imposizione violenta di scelte non condivise, dal Tav al Muos, sino all'Expo.
Sebbene la situazione non sia facile, anche nel fronte avversario si aprono crepe. In questi mesi il governo Renzi ha incassato l'ingresso di alcune amministrazioni al tavolo per le compensazioni, ma ha messo solo promesse sul piatto di una compagine istituzionale che cerca di accontentare anche l'elettorato moderato, ma è consapevole di dovere le proprie poltrone al movimento No Tav.
Lo scorso 21 febbraio, al grande corteo che ha attraversato Torino sotto una pioggia battente c'erano anche i sindaci in fascia tricolore, che hanno presentato in piazza nuove delibere contro la Torino Lyon. Già dieci anni fa c'era chi riteneva la partecipazione delle amministrazioni il lievito e la colla del movimento No Tav. La rivolta popolare dell'inverno 2005 dimostrò che i sindaci erano una variabile dipendente dal movimento, non il contrario.
Oggi più che mai la partita è in mano ad un movimento che ha dimostrato con i fatti la propria autonomia, costruendo ambiti di confronto e decisionalità al di fuori del recinto istituzionale.
L'autogoverno è ancora una prospettiva lontana, tuttavia in questi anni si sono moltiplicati gli spazi liberi dove l'ambito politico si è emancipato dal gioco elettorale. Certo la strada da percorrere è ancora molta, ma l'immobilismo delle amministrazioni, che limitano la loro azione ad atti simbolici, è il miglior antidoto alla delega elettorale.
L'ultima mossa del governo è un evidente segno di debolezza. In questi mesi è entrata in ballo una variante al progetto del tunnel di base, il super tunnel di 57 chilometri nel massiccio dell'Ambin, il nodo strutturale della Torino-Lyon, ormai ridotta al solo tunnel e alla stazione di Susa, perché il resto viaggerebbe sulla linea “storica”.
L'uovo di Colombo sarebbe la decisione di rimandare di un decennio i cantieri a Susa, facendo partire i lavori per il tunnel di base dalla conclusione del tunnel geognostico di Chiomonte. Il governo pare intenda cominciare il tunnel dentro la montagna, costruendo una sorta di mega caverna dove verrebbe montata la nuova talpa.
Una soluzione “tecnica” ad una questione che è squisitamente politica. Il timore di blocchi e proteste che rendano ingovernabile la bassa valle è all'origine di questa trovata che farà inevitabilmente lievitare i costi dell'opera. Poco importa che in tutta questa partita nessuna delle regole del gioco sia stata rispettata: ancora oggi non c'è un progetto definitivo per il tunnel, né un calcolo dei costi per chiedere il finanziamento del 40% dell'opera all'Unione Europea. La delibera del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) che avrebbe dato il via libera al progetto “definitivo” è un capolavoro di bizantinismo: infatti la formula adottata è “accolto con rimando”.
Un groviglio normativo nel quale le istituzioni non hanno timore di impigliarsi, mentre hanno ancora paura del movimento No Tav.

Un confronto a tutto campo

Il movimento, se quest'ipotesi diverrà concreta, dovrà fare i conti con uno scenario difficile da gestire. L'area di Chiomonte, scelta per le sue caratteristiche di inaccessibilità, distanza dai centri abitati, facile controllo militare, non può essere il terreno in cui si gioca una partita che, sul piano dello scontro diretto, è persa in partenza.
Anche le azioni di sabotaggio, dentro o fuori dalla valle, pur importanti nel ridare fiducia nella possibilità di gettare sabbia nell'ingranaggio dell'occupazione militare, hanno tuttavia una valenza del tutto simbolica che il can-can mediatico che a volte suscitano non muta.
Tocca al movimento No Tav riacutizzare il proprio ormai consolidato senso critico evitando di farsi irretire dai media, sempre più abili nel dosare rumore di nulla e fragoroso silenzio.
La scommessa, l'unica che valga le violenze subite, i feriti gravi, le condanne e le carcerazioni, è quella di dare gambe ad un movimento in cui non vi siano specialisti della politica o dell'azione, ma ambiti di riflessione ed azione in cui ciascuno, come vuole e come può, nel necessario confronto tra tutti, possa dare il proprio contributo alla cancellazione della Torino-Lyon.
Per bloccare l'ingranaggio non bastano poche manciate di sabbia, non bastano le manifestazioni popolari in sostegno di chi agisce, serve l'azione diretta popolare.
Occorre un confronto a tutto campo, di comitato in comitato, di paese in paese, di quartiere in quartiere, saldando le lotte, unendo i fronti, mettendo a fianco chi non ha una casa e chi rischia di perderla per il Tav. Se il tunnel lo scaveranno dentro la montagna, l'unica alternativa è creare le condizioni perché l'intera valle si blocchi, perché ovunque vi sia una barricata, un blocco, un'azione, anche piccola, che inceppi la macchina, ma in cui ciascuno sia protagonista.
In fondo dipende solo da noi. Da ciascuno di noi. Senza deleghe a nessuno.

Maria Matteo