rivista anarchica
anno 45 n. 398
maggio 2015





Grecia/
Il grande inganno di Tsipras

Come da prevedibile copione il governo greco di Tsipras (Syiriza) si inchina al volere dei poteri forti della UE e della Troika e ben poco cambierà per un popolo ormai ridotto alla miseria e alla fame da quegli stessi poteri con cui Tsipras ha subito trattato una significativa e veloce resa cancellando gran parte di quelle promesse elettorali che avevano determinato la sua vittoria. Possiamo così riassumere gli accordi tra governo greco e UE: i tagli e austerità imposti dalla Troika al precedente governo non si toccano, così come rimangono le vendite dei beni del paese e le privatizzazioni e non si prevedono aumenti dei minimi dei salari del pubblico impiego. Ridicola la parte sulla povertà perchè le misure da adottare dovranno essere compatibili con la finanza pubblica e, come per le misure pro equità e i contratti collettivi, “in consultazione con le istituzioni europee”, cioè sotto il controllo della Troika. I riferimenti su riforma del lavoro (precarietà) sanità, pensioni e buoni pasto ci ricordano maledettamente le scelte antipopolari del governo Renzi e di quelli che in Italia lo hanno preceduto.
E intanto nella Grecia della Syiriza di “sinistra” si governa insieme a un partito di destra, la presidenza della repubblica è stata “donata” da Tsipras a un esponente di destra (per scambio favori interni al governo) e nelle piazze la polizia sta tornando a colpire chi lotta e si oppone, primi tra tutti anarchici ed antagonisti. C'è chi, come Syriza Manolis Glezos, il partigiano che nel ‘41 ammainò la bandiera nazista dal Partenone dando il via alla rivolta contro Hitler, si scusa con i greci per aver sostenuto Tsipras, condanna la svendita delle promesse elettorali e grida nessun compromesso con la UE e con chi ci opprime, come lui tanti greci stanno allontanandosi da un governo e da una “sinistra” collusa con il potere dei grandi sfruttatori. Con buona pace di chi, in Italia, attorno all'inganno Tsipras aveva raccolto i resti di una “sinistra” allo sbando appoggiata da settori sindacali e sociali (FIOM, centri sociali “disobbedienti”, ecc.) compatibile con il sistema e su questa strada intende continuare.
Una sinistra (in Grecia come in Italia) che si illude che il neoliberismo e il capitalismo possa essere riformato e cavalcato “a sinistra”. Un grande inganno, portato avanti di proposito per poter gestire una fetta del potere (piccola o grande, purchè ci sia). Il tavolo va rovesciato, non ci si siede alla stessa tavola di chi sfrutta e affama.
La società è a un bivio o si trasforma in modo autogestionario, federalista e libertario o precipiterà nelle barbarie che sono già da tempo cominciate e forze terribili sono lì ad aspettare il loro momento (le scelte di Tsipras possono regalare la Grecia ai nazisti di Alba Dorata). Va costruito, un mondo nuovo, libero e solidale, collettivista e rivoluzionario, subito però perchè dopo potrebbe essere troppo tardi.

Gruppo Anarchico “Malatesta”
Ancona



Anarchici italiani/
Dizionario 2.0

È ora online la più ampia banca dati storica sugli anarchici di lingua italiana tra 19° e 21° secolo.

Circa dieci anni fa usciva il Dizionario biografico degli anarchici italiani e Paolo Finzi su “A” (n. 296, febbraio 2004) salutava l'evento non nascondendo l'emozione e affermando che questa ricerca «avrebbe segnato una pietra miliare nella storia e per la storiografia» riguardante il movimento anarchico.
L'opera uscì sotto la direzione di Maurizio Antonioli, Giampietro (Nico) Berti, Pasquale Iuso e Santi Fedele con la collaborazione di oltre un centinaio di studiosi e ricercatori, italiani e non, che in pochi anni riuscirono a realizzare un progetto che solo un ventennio prima sarebbe stato inimmaginabile. Un lavoro che coinvolse oltre che le persone anche le istituzioni e i centri di documentazione che conservano materiali riguardanti la storia dell'anarchismo, dall'Archivio centrale dello Stato di Roma, all'International Institute of social history di Amsterdam, dalle biblioteche libertarie fino al più remoto archivio privato. Scopo principale del dizionario è stato quello di restituire alla memoria comune la straordinaria ricchezza di donne e uomini impegnati nei vari territori accomunati dall'appartenenza a quel movimento politico/sociale andatosi costituendo dopo la seconda metà del 19° secolo e che tanta parte ha avuto nelle vicende storiche del 20° secolo: non soltanto i nomi dei militanti più noti, ma anche e soprattutto i protagonisti di tante vicende locali dalla cui intersezione si è dipanata la storia del movimento libertario italiano.
Nell'articolo citato si auspicava una versione online dell'opera che potesse accogliere le integrazioni e magari altre biografie che per vari motivi erano state omesse dall'edizione cartacea.
Ora questo auspicio è diventato realtà: la Biblioteca Franco Serantini con un lavoro durato due anni è riuscita nell'intento di trasferire in ambiente web tutte le voci del dizionario, comprendendo in questa operazione non solo la scheda con il racconto della vita del biografato, ma anche tutte le fonti di riferimento (archivistiche e bibliografiche), georeferenziando i luoghi di nascita e aggiungendo, quando presenti, anche le immagini (indirizzo web: http://bfscollezionidigitali.org/index.php/Detail/Collection/Show/collection_id/3).
Oggi, dunque, non abbiamo solo un dizionario che si presenta come un laboratorio in progress, ma anche un'ampia fonte di informazioni sugli archivi e i libri afferenti la storia dell'anarchismo liberamente a disposizione di chiunque, cittadino, militante e storico voglia conoscere da vicino la storia dell'anarchismo di lingua italiana attraverso i suoi protagonisti, noti e meno noti. Va aggiunto poi che la banca dati rispetto all'edizione cartacea presenta già alcune novità nel senso che sono state corrette e/o integrate varie biografie, ne sono state inserite molte di quelle che erano state escluse per motivi di spazio, e si stanno aggiungendo anche quelle del dizionario biografico degli anarchici calabresi curato da Katia Massara e Oscar Greco, uscito nel 2010 sempre per i tipi delle BFS edizioni. Il totale delle voci finora inserite è di 2.500, con diverse centinaia di immagini.
Il progetto del dizionario, inoltre, non ha più cesure storiche come nella edizione cartacea dove erano compresi, a parte pochissime eccezioni, solo i nati e attivi prima del Sessantotto mentre ora vengono accolte tutte le biografie che abbiano una base documentaria, archivistica e bibliografica, sufficientemente strutturata da un punto di vista storico.
La redazione del dizionario, che è sempre sotto la responsabilità scientifica dei quattro direttori dell'opera cartacea, è un progetto aperto nel senso che chiunque può proporre voci, integrazioni, correzioni o forme di collaborazione che possano arricchire la banca dati (email: redazione@bfs.it). Il dizionario degli anarchici italiani si affianca sul piano internazionale ad altre esperienze che sono nate nell'ultimo decennio in Francia, Svizzera e in altri paesi e con questi progetti vuol mantenere un rapporto di collaborazione e integrazione.
Infine, va ricordato che il dizionario è inserito in una piattaforma digitale della Biblioteca F. Serantini che offre ai navigatori e ai ricercatori altre banche dati, da quella relativa ai «documenti di pietra» (un censimento di tutti i monumenti e le lapidi presenti sul territorio nazionale che sono afferenti alla storia dell'anarchismo; ne parleremo su uno dei prossimi numeri di A); ai manifesti e fogli volanti, fino al catalogo della biblioteca (oltre 45.000 record) e altre banche dati che verranno implementate nei prossimi mesi. Tutte le banche dati sono interrogabili da un'unica pagina.
Questo progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione di diverse persone di cui sarebbe lungo fare l'elenco, voglio però ricordare in particolare il giovane Fabio Tiana che ha dedicato ben due anni al progetto, curando la scelta del software open-source e creando l'architettura della piattaforma.
L'articolo del 2004 terminava affermando che «solo con il trascorrere del tempo si potrà cogliere fino in fondo la profondità e l'importanza di questo lavoro collettivo» che oggi, giorno dopo giorno offrirà nuovi spunti alla ricerca, allo studio e alla passione per la più intrigante storia del movimento politico e sociale che da oltre due secoli lotta per una società di liberi e uguali.

Franco Bertolucci



Parma/
La Torre Libertaria

Lo scorso lunedì 19 gennaio l'esperienza della Torre Libertaria occupata, iniziata il primo novembre 2014, si è conclusa.
L'occupazione, o meglio ancora, la liberazione, di una Torre medievale abbandonata da anni nonostante fosse stata ristrutturata da poco, di proprietà comunale, situata di fronte al Parco Ducale, in pieno Centro Storico, è stata portata avanti dal gruppo Anarchico Antonio Cieri-FAI e l'USI-AIT Parma, con l'aiuto del gruppo di ragazzi di Azione Proletaria. L'obiettivo era denunciare la situazione di ormai insostenibile attesa rispetto ad un'amministrazione comunale che da troppo tempo è bloccata circa l'approvazione del regolamento di assegnazione di sedi, e per l'USI Parma la sede è un diritto di riappropriazione di parte del suo patrimonio storico, distrutto dal fascismo. La necessità di una sede che non fosse più quella distante e un po' fatiscente di S. Prospero è divenuta impellente dato il crescente radicamento in città. Mai come in questi ultimi tempi, la lunga, estenuante, generosa attività sta iniziando a dare qualche frutto! Nella sede, oltre alle consuete attività politiche, sindacali e culturali, dovrebbe trovare uno spazio adeguato l'Archivio-Biblioteca Sociale Furlotti, col suo patrimonio librario e archivistico ora non utilizzato.
Nella Torre si sono svolte in questo periodo parecchie attività, interne e pubbliche, che raccontarle tutte nel dettaglio ci vorrebbe un articolo apposta: presentazioni di libri, mostre, assemblee di movimento (in un periodo particolare per Parma, con la venuta di Salvini, Renzi e Moroni, in distinte occasioni), incontri con registi, concerti, mercatino del baratto; info-point, assemblee sul pensiero libertario, sportello autogestito di lotta sindacale, ecc. Ma soprattutto, abbiamo dato la possibilità a tanti parmigiani di visitare uno spazio di alto prestigio e bellezza, cosa che la burocrazia e l'incompetenza dei nostri politici stava impedendo. Non erano rituali le lacrime che ci scendevano una delle ultime sere in Torre, quando dal panorama più bello della città, abbiamo brindato alle nostre idee accompagnati dal bellissimo Coro dei Malfattori.
Fin qui la parte della cronaca, che è raccontabile ancora meglio sfogliando Umanità Nova o guardando i vari profili facebook (Gruppo anarchico A. Cieri, USI Parma, Torre Libertaria).
Ma altrettanto importante è anche il momento della riflessione, che attorno a questa esperienza si può fare. Innanzitutto, per noi era importante affermare la centralità di un “modo” di intendere l'anarchismo, quello comunemente definito “sociale”, che se è vero che non può avere il monopolio di un'idea tanto poliedrica come quella anarchica, è anche vero che noi lo rivendichiamo con orgoglio, perché ci sembra il più credibile. Quindi, senza equivoci, noi non volevamo uno spazio generico (magari molto estetico negli slogans e negli atteggiamenti, ma poco interagente con il contesto in cui viviamo e forse poco realmente consapevole nella realtà della specificità della storia, dei valori, degli obbiettivi libertari), ma una sede di USI e FAI. E anche questo passaggio è importante: noi non crediamo nel valore dell'occupazione di per sé, ma ugualmente questa è una pratica che può avere anche significati importanti, e perché anarchici della FAI o sindacalisti dell'USI non possono farlo? A volte, anche nel panorama libertario si cristallizzano opinioni e pregiudizi, ma è la prassi la vera discriminante.
Altro aspetto importante, in parte accennato prima, è la critica all'anarchismo puramente “estetico” e ribellistico, che è vissuto come sfogo temporaneo, ma non ci fa avanzare di un passo verso il nostro ideale. Nell'anarchismo contemporaneo italiano, questa tendenza, un po' di comodo (vuoi mettere la difficoltà di provare a confrontarti, a coordinarti con altri anarchici sparsi per la penisola?), un po' genuina (la ribellione al sistema gerarchico è quasi istintuale e prepolitica, e quindi da coltivare con intelligenza), è quella che maggiormente s'impone. Per cui si deve fare la faccia cattiva, si devono urlare slogans, ci si deve abbigliare in un certo modo, si devono avere gli stessi pregiudizi verso ogni forma di organizzazione libertaria. Da noi invece i contenuti, prima ancora dell'apparenza, devono avere la priorità.
Per intenderci: noi siamo gente che se serve prende in mano un bastone contro i fascisti o per fronteggiare una carica poliziesca, ma sappiamo bene che il mito della violenza fine a se stessa non ci porta da nessuna parte. Detestiamo l'assetto economico e politico in cui viviamo, ma proprio per questo riteniamo doveroso che gli sfruttati si autorganizzino cercando forme non gerarchiche e libertarie di confronto. Non ci piace come pensa gran parte della gente “comune”, ma sono i nostri amici, i nostri familiari, i nostri colleghi, i nostri compagni di curva, con cui, volenti o nolenti, dobbiamo entrare in relazione. Anche dura e conflittuale, se serve, ma mai nichilistica. Poi, è inevitabile, attorno ad un progetto certo consapevole ma portato avanti da persone in carne ed ossa, ci sono ugualmente contraddizioni e problemi: dall'occasionale (a volte con problemi suoi personali) che viene pensando che “dagli anarchici si possa fare quel cavolo che gli pare” (e come diciamo, da noi c'è una buca, tutti i buontemponi vengono a noi, sarà che dagli altri prenderebbero due schiaffi e noi invece...); da chi non regge la tensione e s'incazza anche per niente ad ogni parola; da chi prima predica, predica, predica e poi... sparisce; dai “compagni” che s'ingelosiscono perché gli rubi visibilità e perché gli anarchici vanno bene, ma se si accodano e non se sono protagonisti e credibili; dal dover ripetere dieci-cento-mille volte chi sei, come la pensi, quali sono i tuoi metodi, quando pensavi ormai fosse chiaro; e via dicendo. Ma questa è la realtà in cui viviamo.
Per noi l'anarchismo si fa in primo luogo cercando di diffondere le nostre idee. Per noi l'anarcosindacalismo si pratica consapevolizzando i lavoratori della loro condizione. Tutto il resto viene da sé.

Massimiliano Ilari



Rubbiano (Pr)/
Inceneritori e diossina

Laterlite è la maggiore azienda italiana per la produzione di argilla espansa e altri premiscelati per edilizia. Lo stabilimento di Rubbiano, situato nel comune di Solignano (Parma) è uno dei tre impianti del gruppo Laterlite operativi in Italia. Il quarto impianto, quello di Bojano (Campobasso), è stato chiuso nel 2012 dopo essere stato coinvolto in vicende giudiziarie per cui l'azienda fu accusata di disastro ambientale.
A Rubbiano, Laterlite brucia rifiuti speciali pericolosi per alimentare il proprio processo produttivo di cottura dei materiali edilizi. Fino al 2000 il combustibile utilizzato era il gas metano, successivamente la provincia di Parma ha autorizzato l'utilizzo prevalente di “reflui industriali costituiti da oli esausti ed emulsioni oleose esauste”, nella quantità di 65 mila tonnellate all'anno, limite tuttora concesso e mai ridotto nonostante le proteste di associazioni e cittadini.
La combustione dei rifiuti tossici è molto eterogenea, i codici autorizzati in Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) sono decine, e gli inquinanti emessi in atmosfera sono centinaia. Dal camino fuoriescono 100.000 metri cubi/ora di emissioni contenenti, tra gli altri, metalli pesanti, diossine, furani, Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici), ossidi di zolfo e azoto, cloro, fluoro, polveri sottili (fonte Arpa). Molti dei rifiuti bruciati presentano alcune caratteristiche decisamente preoccupanti: si tratta di rifiuti tossici, cancerogeni, corrosivi, teratogeni (possono produrre malformazioni congenite o aumentarne la frequenza), mutageni (possono produrre effetti generici ereditari o aumentare la frequenza).
È appurato a livello scientifico che, nonostante i limiti stabiliti dal legislatore nazionale e/o comunitario, per sostanze come gli Ipa e le diossine non esistono ragionevoli livelli di sicurezza al di sotto dei quali esse non provochino danni alla salute umana e all'ambiente.
Laterlite è situata in adiacenza al centro abitato di Rubbiano, nel raggio di alcuni chilometri sono situati diversi centri abitati (Ramiola, Fornovo, Varano, Viazzano, Felegara, Riccò), sui quali ricadono gran parte degli inquinanti emessi dal camino.
Gli impianti di co-incenerimento sono dotati di sistemi di abbattimento che dovrebbero garantire un rilascio ridotto di inquinanti, anche se permangono dei dubbi sull'effettiva efficacia della misurazione di tale impatto, poiché le altissime temperature, anche superiori ai 1.000 gradi, producono nanoparticelle finissime che sfuggono al controllo.
Attualmente nessun sistema di filtraggio è in grado di trattenere le particelle inquinanti con diametro inferiore ai 2,5 nanometri. Questo è il principale problema degli inceneritori, la causa di un inquinamento “sconosciuto”, che desta allarme presso i cittadini e la comunità scientifica.
Come dimostrato da una letteratura scientifica ormai corposa, la pericolosità delle particelle è direttamente proporzionale alla diminuzione della loro dimensione. Quindi il particolato ultrafine risulta essere infinitamente più aggressivo e pericoloso, anche se la legislazione vigente non ne considera il monitoraggio.
Nel 2005 si è costituito un comitato di cittadini, “Rubbiano per la Vita”, e nei mesi successivi è stato istituito un Osservatorio ambientale con la partecipazione di Arpa, Ausl e provincia di Parma. Nel 2006 l'Osservatorio commissionò ad Arpa un'indagine sulle matrici ambientali. I test di mutagenesi, analisi che verificano la capacità di indurre mutazioni genetiche da parte di agenti fisici o chimici, furono tutti positivi, “[...] evidenziando una prevalenza di sostanze che agiscono sul Dna inducendo sostituzione di coppie di basi [...]”.
Si ha la sensazione che l'attività di incenerimento dei rifiuti costituisca il business principale per Laterlite. Un business che la comunità paga a caro prezzo in termini di contaminazione ambientale (3 tonnellate di particolato, ad esempio, rilasciate in atmosfera ogni anno). In una delle zone più inquinate d'Europa, quale risulta essere la Pianura Padana, l'autorizzazione a tali attività concesse a multinazionali private appare come una insulsa e sconcertante superficialità da parte degli enti locali.
Le campagne di monitoraggio dell'aria effettuate negli ultimi mesi da Arpa hanno confermato come i livelli degli inquinanti controllati a Rubbiano siano superiori a quelli registrati in alcune centraline di Parma città. Questo nonostante Rubbiano sia in una zona molto meno antropizzata, alla confluenza di due fiumi, con la presenza di un'autostrada (Autocisa Fornovo-La Spezia) che ha negli ultimi anni registrato oltretutto un notevole calo del traffico veicolare.
Il Comitato Rubbiano per la Vita, spesso additato di volere la chiusura dell'azienda, propone sostanzialmente di ripristinare l'utilizzo del gas metano come combustibile per il funzionamento del forno, in modo da attenuare l'impatto emissivo ed eliminare l'immissione in atmosfera di sostanze cancerogene come le diossine prodotte dalla combustione eterogenea degli oli esausti.
Questo comporterebbe una diminuzione del profitto per Laterlite, ma, di certo, un miglioramento delle condizioni ambientali e sanitarie. Il Comitato si propone anche di sensibilizzare ed informare rispetto ad una realtà che, per volumi e impatto, ha pochi eguali in Italia. Laterlite è uno dei 25 stabilimenti di questa tipologia in Europa e la quantità di rifiuti inceneriti è pari a quella dell'inceneritore di Parma, ma suscita molto meno clamore e pare una situazione tanto acclarata quanto accettata supinamente dalla maggioranza dei cittadini e delle amministrazioni locali.

Comitato Rubbiano per la Vita
www.comitatorubbiano.it
comitatorubbianoperlavita@gmail.com
https://www.facebook.com/comitatorubbianoperlavita

Si ringrazia Michele Salsi per la collaborazione



Expo 2015/
L'appello della FAI

Il Primo Maggio, giornata di lotta e di festa della classe lavoratrice, sarà in questo 2015, la giornata inaugurale della massima espressione del paradigma capitalistico del 21° secolo: la fiera espositiva Expo prende il via.
Expo non è una semplice fiera, un'esposizione delimitata nel tempo e nello spazio. Expo 2015 travalica qualsiasi funzione storica, ha natura invasiva e si erige a modello, a paradigma di un sistema sociale caratterizzato da un progressivo e inarrestabile processo di privatizzazione.
Privatizzazione che parte dalle speculazioni sui terreni su cui si erigono i padiglioni della fiera internazionale, si estende in modo tentacolare a vaste zone della metropoli riproducendo meccanismi di espropriazione a discapito di settori sempre maggiori di popolazione proletaria soggetta a violenti sgomberi coatti.
Expo è massima espressione della cosiddetta “grande opera”, ovvero drenaggio di soldi pubblici a solo vantaggio di soggetti privati gestori di una devastante e inutile rete veicolare e di viabilità all'insegna di cemento e catrame. La rete stradale e autostradale lombarda modificherà in modo irrimediabile il paesaggio extraurbano della regione.
Il sistema capitalistico, nella sua mortifera corsa devastatrice, ha però anche bisogno di ripulirsi l'immagine – non certo la coscienza di cui è privo – ed è per questo motivo che Expo e la stragrande maggioranza di Paesi e aziende multinazionali presenti, per questa edizione giocano la carta dell'alimentazione con toni e slogan propagandistici relativi alla volontà e capacità di nutrire l'intero pianeta.
Ne scaturisce la volontà di rappresentare un mondo pacificato all'interno del quale, nel rispetto delle gerarchie strutturali, possano convivere modalità di produzione e consumo spacciate un tempo come alternative le une alle altre, ma in realtà solo concorrenti nello stesso mercato capitalistico. Vi è quindi la possibilità di vedere multinazionali come Monsanto – maggiore responsabile di produzioni alimentari ogm – con aziende fautrici del cosiddetto mercato biologico. Mc Donald's e Nestlé a braccetto con Slow Food. In questa sorta di villaggio globale i vari conflitti e contraddizioni devono essere banditi e in primis quella relativa a capitale e lavoro.
I processi realizzativi e di gestione dell'evento nei suoi sei mesi devono essere laboratorio di sperimentazione legislativa e giuridica di forme di lavoro schiavizzanti. Con accordi padronali, istituzionali e sindacali si sancisce la volontà di rendere completamente asservita a logiche di mercato – con i suoi tempi e spazi – la figura del singolo lavoratore. Lavoratore che non è più, nella sua forma contrattuale, anche soggetto collettivo ma bensì soggetto atomizzato, separato, in rapporto individuale asimmetrico con il proprio datore di lavoro, nella fattispecie, rappresentato da una agenzia di caporalato interinale incaricata di effettuare selezioni in cui, primo requisito richiesto è la propria capacità di resilienza ovvero l'adattamento alle mutevoli condizioni richieste. Il lavoro quindi non è più considerato nella sua dimensione di scambio di vendita di prestazione d'opera in cambio di adeguato salario: con la scusa di opportunità formative attraverso collaborazioni volontarie, di stages, ecc. si torna a forme di schiavitù, il lavoro senza salario. Un esercito di forza lavoro gratuito quindi anche richiesto e ottenuto dal mondo della formazione scolastica ed universitaria.
Questi, molto brevemente ed in sintesi, solo alcuni dei motivi per cui ribadiamo il nostro rifiuto e contrarietà allo svolgimento di Expo 2015. Un rifiuto e contrarietà che non si dovrà esaurire nel contrasto alle giornate inaugurali, ma che sia capace di disegnare un percorso altro rispetto ai diktat socio economici del sistema.
Partire da queste giornate di maggio con la propensione ad interconnettere, a saldare tra loro, i vari scenari di conflitto sociale: la lotta intransigente contro la devastazione ambientale con quella della salvaguardia del diritto ad un lavoro e ad un reddito degno. La volontà di anteporre una modalità di formazione dei saperi libera e critica a quella asservita alla logica d'impresa così come oggi si delinea nel mondo della scuola e dell'università, con la volontà di ridisegnare modelli di relazione sociale alternativi a quelli imposti da culture religiose, patriarcali, gerarchiche e autoritarie.
Le anarchiche e gli anarchici della FAI invitano pertanto le realtà federate a dare la massima diffusione alle iniziative di opposizione all'Expo 2015, sia nelle e iniziative locali del Primo Maggio che in occasione dei vari appuntamenti previsti a Milano: corteo studentesco nazionale del 30 aprile; giornata di lotta internazionalista del 1 maggio con un corteo pomeridiano comunicativo in centro, attraverso i simboli esemplificativi della natura predatrice e sfruttatrice di Expo; nei due giorni successivi azioni dirette di blocco e contrasto all'apertura ufficiale della kermesse; proposte di mobilitazione nei mesi successivi decise in modo assembleare.

Il convegno nazionale della Federazione Anarchica Italiana
Milano, 23 marzo 2015



La rivoluzione comoda/
Sedere è sovversivo

Come in quel gioco di ragazzi, alla fine della musica ci si lancia sulla sedia più vicina e chi resta in piedi ha perso. Ben saldi sulle loro poltrone gli amministratori locali negli ultimi venti anni di gestione liberista e autoritaria della povera cosa pubblica hanno lasciato col culo per terra i cittadini. Letteralmente.
Il divieto di sedere o semplicemente di stare, vero divieto di sosta pedonale, è diventato uno dei parametri del peggioramento della qualità della vita e delle relazioni sociali in regime capitalista. Già vietate le panchine a Vicenza e i gradini a Firenze: misure deliziosamente bipartisan, dalla Lega al Pd. Fermarsi, restare, occupare lo spazio pubblico per qualcosa più che qualche secondo è socialmente poco accettabile, sconsigliabile perché magari pericoloso, sintomo manifesto di inattività, malattia, vecchiaia e renitenza alla produttività. Chi siede è fuori e, forse, contro.

Asoltare una storia

La classe dirigente ha il terrore, la fobia della possibilità dell'occupazione dello spazio pubblico urbano da parte di masse non semplicemente, rapidamente e continuamente in transito. Perché accomodarsi, o comunque stare, vuol dire esserci, più o meno consapevolmente, rivendicando la propria esistenza, con annessi diritti, e la propria potenzialità di cittadinanza.
Attendere, rilassarsi, contemplare, oziare e socializzare fermi all'aperto in tre o più senza consumare nulla è sovversivo, lo è diventato via via per sottrazione di spazi e di diritti. Le categorie sociali improduttive, marginali e cosiddette deboli, dunque quelle potenzialmente pericolose o comunque da gestire in anticipo attraverso il controllo, siedono o sostano: al muretto i giovani disoccupati del quartiere; all'angolo, ingombranti e chiassosi, gli immigrati stranieri; sulle poche panchine residue in piazza o al parco gli anziani; siedono poveri ed esclusi di ogni nazionalità alle fermate del tram, quando ci sono sedili, sennò stanno in piedi, ma stanno. Chi non corre, escluso dalla catena di produzione e consumi, e siamo sempre di più, diventa un problema, rappresentazione fisica, statica, plastica della cattiva coscienza di chi comanda.

Ora di pranzo

Nelle periferie di Roma fioriscono sedie. Con la bella stagione ma non solo, spontaneamente. Prima una, due. Poi sempre di più. Queste disegnano crocchi di socialità diffusa e spontanea, spazi instabili e incontrollabili di incontro, luoghi autonomi abitati da chi li inventa insieme, creandoli e disfacendoli, mutandoli in continuazione, liberamente e gratuitamente.
Prati, aiuole, incroci sono abbelliti da pavesi di seggiole e poltrone di ogni foggia, epoca, colore. Storie che tornano all'aria alla rinfusa: quelle di questi vecchi sedili usciti da case, cantine e discariche e quelle raccontate da chi ci si siede. Sedere insieme chiama la parola, il racconto, magari perfino il confronto. Minuzie, facezie, partite, pettegolezzi e problemi di vita, di lavoro, commenti su cosa ci succede intorno. Un modo di cercarsi e trovarsi, sedere: gesto semplice tra i più semplici, accessibile a tutti, nel vuoto di senso e relazioni di una società invasa da segni e simboli nei quali senza soldi è sempre più difficile riconoscersi.

Incontrarsi in un prato

Ci si autorganizza, spesso senza saperlo, pensando magari di avere solo portato una sdraio, per migliorare lo spazio pubblico urbano sottraendolo al degrado. Si raccolgono i rifiuti, propri e altrui, si taglia l'erba, ci si cura di allontanare ratti e serpi anche per la sicurezza dei bambini e dei cani che scorrazzano intorno, si decorano i luoghi di volta in volta prescelti con oggetti disparati, spaiati e curiosi, recuperati chissà come, scovati chissà dove. Spazi pubblici metropolitani temporaneamente occupati e autogestiti, riappropriazione di ciò che è di nessuno e di tutti. Ha davvero tutto il sapore e il valore di un sobrio sit-in permanente in cui c'è sempre posto per tutti.
Che fioriscano allora ancora mille e mille seggiole e inizi finalmente da qui la minima rivoluzione comoda ma non passiva, certamente e inconsapevolmente libertaria, dagli esiti imprevedibili, che ci riporta a stare insieme in pubblico smettendola di essere pubblico.

Paolo Papini



Patagonia argentina/
Mapuche in lotta contro Benetton

Nei paraggi di Vuelta del Rio, nel nord-est della provincia del Chubut nella Patagonia argentina, lungo la strada 40, tra Cholila e Esquel, ha preso vita un'iniziativa di recupero del territorio ancestrale mapuche.
I partecipanti, che avevano tutti il volto coperto, denunciano da molto tempo una persecuzione politica da parte della polizia. Ci raccontano che durante le prime ore della mattina del 13 marzo scorso, un gruppo di uomini, donne e bambini di distinte comunità mapuche della zona hanno deciso di attraversare il filo spinato e dare inizio al recupero delle terre recintate dall'azienda di Luciano Benetton. Ci riferiscono che appena arrivati, e mentre iniziavano a preparare il luogo dove fermarsi, c'è stato un tentativo di sgombero da parte della polizia che ha anche sparato alcuni colpi di arma da fuoco.
Gli attivisti hanno resistito all'interno del campo, reclamando la presenza di qualche responsabile politico che si incaricasse di stabilire un dialogo per poter arrivare ad un accordo in merito alla restituzione della terra. Hanno denunciato anche il dislocamento storico delle comunità mapuche verso zone aride e inadatte al pascolo degli animali, al fine di smantellare le comunità incentivando le migrazioni verso i centri urbani.
Riportiamo il comunicato del gruppo che ha effettuato l'azione di recupero territoriale.

Michele Salsi

Di fronte alla situazione di povertà delle nostre comunità, la mancanza d'acqua, la desertificazione, il dislocamento forzato in terre improduttive (pietrose e sabbiose) e il saccheggio che è stato realizzato dalla mal denominata “conquista del deserto”, la presenza di grandi proprietari terrieri sommata all'immensa quantità di famiglie senza una terra dove poter sussistere dignitosamente e svilupparsi, affermiamo che:
il territorio è di vitale importanza per la nostra esistenza come popolo, soprattutto nel contesto attuale, in cui grandi proprietari terrieri winka (bianchi, stranieri) posseggono la maggior parte del nostro territorio ancestrale (territorio che nella sua grande maggioranza venne dato come “moneta di scambio” per ripagare chi finanziò la campagna militare genocida della “conquista del deserto”).
Mentre noi mapuche continuamo ad essere un'immensa maggioranza senza terra, con l'unica alternativa di essere peones (contadini), impiegati domestici e operai, sarebbe a dire manodopera a basso costo e sfruttata, per l'oligarchia creola e l'impresario internazionale.
Per tutto questo, noi comunità in resistenza, vogliamo comunicare che iniziamo un nuovo processo di recupero di territori produttivi dalla multinazionale Benetton, nel settore Leleque-Ranguilhuao-Vuelta del Rio, intendendo questa come l'unica soluzione concreta per far fronte alle nostre necessità insoddisfatte [...]. Questo processo è legato anche alla nostra lettura della logica espansiva del modello estrattivo capitalista che, con imprese minerarie e petrolifere, pretende di distruggere il poco che ci resta; l'unica maniera per frenare “l'assassinio pianificato” da parte del potere economico e dello Stato (ecocidio e etnocidio) è mediante il controllo territoriale effettivo delle nostre comunità in mobilitazione, affermando tutte le forme di lotta fino ad ottenere tutto il territorio ancestrale libero e recuperato per il nostro popolo.
Fuori Benetton, le imprese minerarie, petrolifere e idroelettriche dalla Wallmapu!

Pu Lof in resistenza del dipartimento Cushamen, Argentina