rivista anarchica
anno 45 n. 400
estate 2015


economia

L'eterno ritorno del neoliberismo

di Carlotta Pedrazzini


Più di vent'anni sono passati dall'approvazione del Nafta (Accordo nordamericano per il libero scambio) che ha portato all'insurrezione zapatista in Messico. Le conseguenze catastrofiche in termini ambientali, sociali ed economici non hanno impedito la proposta di un progetto analogo, questa volta in Europa e con un acronimo diverso: Ttip.


Si dice che il miglior modo di imparare sia tramite l'esperienza e l'errore, e che solo attraverso un'analisi di quanto fatto (o non fatto) sia possibile rivedersi e quindi migliorare. Lo studio della storia è ritenuto importante proprio per via di questo assunto; solo grazie alla valutazione degli eventi del passato, e delle conseguenze che questi hanno sul presente, si può pensare di costruire un futuro diverso. Si tratta di un'idea molto semplice, generalmente accettata e ritenuta applicabile a tutti i campi della vita e della conoscenza. Anzi, a quasi tutti. Per quanto riguarda l'economia, infatti, sembra che l'analisi delle politiche economico-finanziarie intraprese nel passato da governi e organismi quali Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale non sia importante e possa puntualmente non essere tenuta in considerazione quando si tratta di decidere in materia. Così, ogni volta che esperti, ministri, funzionari promuovono una ricetta economica, ecco che si presentano proiezioni su probabili esiti positivi, si adottano proclami, ma si sorvola su ciò che potrebbe andar male e, ancor più, si ignorano gli esperimenti già avvenuti. Soprattutto se hanno avuto esiti nefasti. Anche nel caso del Ttip, il cui acronimo sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership, il dibattito si è svolto (e si sta tuttora svolgendo) seguendo la linea della reticenza. Esistono infatti esempi di trattati simili che possono mostrarci gli effetti delle politiche neoliberiste in termini ambientali, socio-economici e politici. Eppure negli specifici dibattiti ufficiali, di questi precedenti non si trova alcuna traccia.
Al momento ancora in fase di discussione (in gran parte segreta e a porte chiuse), il Trattato Transatlantico sul Commercio e sugli Investimenti (Ttip) coinvolge Stati Uniti ed Unione Europea e si pone l'obiettivo di creare la più ampia area di libero scambio del mondo; un blocco che, da solo, rappresenterebbe quasi la metà dell'intero PIL mondiale e il 45% di tutti i flussi commerciali del mondo. Affinché ciò sia realizzabile, è essenziale abbattere tutti quegli ostacoli che limitano la libera circolazione di beni, servizi e investimenti tra le due sponde dell'Atlantico: si tratta di barriere tariffarie (dazi) e non tariffarie (regolamenti, leggi, normative) al momento responsabili del mancato libero scambio tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti.
La creazione di una sola grande area commerciale è, da molti decenni, il sogno di lobbisti, magnati dell'industria e governanti; si tratta di un'idea che prese a circolare già nel 1918 con il presidente americano Woodrow Wilson e i suoi “Quattordici punti” riguardanti l'assetto mondiale postbellico e che, da allora, è rimasta nella lista degli obiettivi da concretizzare. In seguito alla recente crisi economica mondiale e ai cambiamenti geopolitici in atto in questi anni, i negoziati hanno subito un'accelerazione. Chi sostiene la bontà dell'accordo affida a questo il compito di risollevare l'economia di USA e Unione Europea. Secondo i promotori del trattato, i benefici sarebbero molteplici: l'eliminazione delle barriere allo scambio favorirà un incremento del commercio che si tradurrà in un aumento del PIL stimato tra 0,1-1% nell'arco di una decina di anni, con conseguente espansione occupazionale; in sostanza, più soldi e lavoro per tutti. Inoltre, in termini geopolitici, permetterebbe la creazione di un blocco occidentale capace di contrapporsi ai BRICS in ascesa (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).

Mancano i presupposti

Perché l'accordo generi un aumento del commercio tra le due aree, e quindi un vantaggio economico per entrambe, ci sono due presupposti vincolanti, senza i quali non è possibile che si verifichi un aumento degli scambi commerciali: la presenza di una domanda di beni e servizi crescente e la volontà di non comprimere i redditi da lavoro (salari); è palese che nessuna di queste due condizioni sia presente in Europa e negli Stati Uniti in piena crisi economica, con una domanda stagnante (quindi tutt'altro che in crescita) e con una costante pressione verso il basso dei salari (che da tempo sono in calo sia in Europa sia nel Nord America). Ma le criticità del Ttip non risiedono solo nella possibilità che il commercio non si incrementi come da proiezione.
I rischi collegati al trattato sono molteplici e legati principalmente alla prevista “armonizzazione” e “reciproco riconoscimento” delle norme e delle regolamentazioni in materia di produzione agroalimentare, tutela dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori. Come esplicitato dalla Commissione Europea, sono proprio le difformità in queste materie a rendere poco agevole lo scambio di merci, servizi e investimenti tra le due aree e per questo motivo vanno eliminate. Ma il timore che con il pretesto di armonizzare le tutele si finisca per scardinarle, in nome della competitività e del libero scambio è molto forte.
Il mercato del lavoro statunitense differisce da quello europeo per una presenza di contratti meno tutelati e peggio retribuiti. Una spinta “armonizzatrice“ avverrebbe verso il basso, a scapito dei lavoratori europei. Analoga situazione per la tutela dell'ambiente e della salute, notoriamente più ampia in Europa rispetto agli USA. In questi tre ambiti, una aperta e deregolamentata competizione porterebbe ad un drastico abbassamento degli stadard correnti.
La denuncia di una manovra speculativa delle multinazionali si è levata da più parti. Sarebbero loro i soggetti che maggiormente/esclusivamente guadagnerebbero da un'area di libero scambio tra le due sponde dell'Atlantico. Grazie a quella che viene definita “armonizzazione” delle norme in materia di OGM e biotecnologie, per esempio, il mercato europeo si troverebbe letteralmente inondato da generi alimentari a basso costo; un fatto, questo, che porterebbe i piccoli agricoltori europei a non poter competere con i prezzi dei prodotti dell'agroindustria americana, che diventerebbe unica e sola padrona indiscussa del settore. Al fine, poi, di attirare investimenti diretti statunitensi, l'Europa potrebbe spingere ancora più a fondo la leva della flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro, scenario perfettamente in linea con le politiche sul lavoro adottate finora.
È possibile evitare calcoli, sforzi e previsioni circa le conseguenze che un simile trattato può comportare analizzando il percorso e gli esiti del Nafta. Stipulato nel dicembre del 1992 ed entrato in vigore nel 1994, l'Accordo nordamericano per il libero scambio prevedeva la creazione di un'area liberoscambista tra Canada, Stati Uniti e Messico. Come il contemporaneo Ttip, anche il Nafta sarebbe stato redatto da tre paesi con un diverso tessuto sociale e diverse sensibilità in materia di diritti, tutele ambientali e mercato del lavoro; come lui si riproponeva di migliorare le economie dei paesi coinvolti grazie alla leva del commercio. Ieri come oggi la ricetta neoliberista era stata proposta come panacea per tutti i mali sociali ed economici e, a detta dei decisori politici, all'orizzonte ci sarebbero stati benessere e prosperità. Ciò che successe in realtà, e contro cui l'Esercito zapatista di liberazione nazionale si sollevò, fu molto diverso.
L'incubo della delocalizzazione di fabbriche statunitensi e canadesi sul suolo messicano, per sfruttare il vantaggio della manodopera a basso costo, si realizzò. L'attrazione da parte del Messico di siti produttivi canadesi e statunitensi fu tutto fuorché una manna dal cielo: per mantenere i lavoratori “appetibili” al fine di attirare gli investimenti diretti, non ci fu un livellamento verso l'alto delle tutele della classe lavoratrice; al contrario è possibile riscontrare un progressivo peggioramento. Per Usa e Canada la millantata crescita di occupazione si risolse invece nella perdita di un cospicuo numero di posti di lavoro. Il mais americano a basso costo arrivò in Messico, mandando fuori mercato le produzioni locali e spingendo moltissimi contadini ad emigrare. A distanza di vent'anni, gli effetti negativi dell'accordo sono ancora riscontrabili ed effettivi.
Le condizioni per cui, a distanza di due decenni, il passato si ripresenti uguale a se stesso, ma con un acronimo differente, ci sono tutte. Eppure, nonostante le somiglianze tra Ttip e Nafta siano facilmente riscontrabili, i (pochi) dibattiti sull'argomento continuano ad essere caratterizzati dalla visione del libero scambio come unica via, la sola percorribile per il raggiungimento di un benessere collettivo che evidentemente non ci sarà. È bene non farsi ingannare da quella che sembra una “dimenticanza” rispetto alle trascorse esperienze economiche. La censura del passato e l'oscuramento dei fatti sono i metodi sistematici utilizzati da chi propina dogmi e tralascia la verità.
Dimostrare di avere memoria è il primo passo per sfuggire alla perpetrazione di scenari sempre uguali. Per provare che non siamo vittime inermi di un eterno ritorno della storia.

Carlotta Pedrazzini