rivista anarchica
anno 45 n. 401
ottobre 2015


Rudolf Rocker/1

Aderire o sabotare?

di David Bernardini


Nel primo di una serie di tre scritti sulla vita dell'anarchico tedesco Rudolf Rocker, si affronta la questione dell'antibellicismo ai tempi della seconda guerra mondiale. Rocker era per l'adesione, gran parte del movimento no. Un dibattito per molti aspetti attuale.


Nel febbraio 1946 l'anarchico francese André Prudhommeaux scriveva che “quando un compagno della notorietà e della competenza di Rudolf Rocker prende solennemente la responsabilità di una posizione che segue una parte non trascurabile del movimento anarchico, è dovere di ogni militante riconsiderare la questione alla piena luce della ragione e dell'esperienza”1.
Queste parole si inseriscono in un lungo dibattito, suscitato nel 1941 dalla presa di posizione di Rudolf Rocker di fronte allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel corso di queste pagine, si cercherà dunque di ricostruire le ragioni che si opposero nell'ambito di questa dura polemica riguardante l'atteggiamento che gli anarchici avrebbero dovuto assumere davanti al nuovo conflitto e che toccava un nodo fondamentale: la guerra (e come comportarsi davanti ad essa).
Nel caso dell'anarchismo, il problema potrebbe sembrare di facile risoluzione: gli anarchici sono contro tutte le guerre e l'antimilitarismo è un loro tratto fondamentale. Eppure i due conflitti mondiali del Novecento hanno dimostrato che la questione non era così semplice. Nel 1914, Kropotkin prese posizione a fianco dell'Intesa e contro la Germania (seguito poi da altri attivisti di primo piano), contrastato da figure come ad esempio Malatesta, Emma Goldman e lo stesso Rocker.
In occasione della seconda guerra mondiale, le divisioni si ripropongono e in questo contesto si colloca il dibattito che ora verrà preso in considerazione.
Esiste una scala di priorità!
Rudolf Rocker, pur non essendo molto conosciuto in Italia, è stato definito come una delle figure più prestigiose del movimento anarchico internazionale ed espressione “della natura transnazionale e cosmopolita dell'anarchismo”2. Contraddistinto da una straordinaria parabola esistenziale e da un particolare sguardo critico, è autore di una monumentale autobiografia e di importanti libri come ad esempio Nazionalismo e cultura (1937) e Anarchosyndicalism (1938)3.
Il Fraye Arbeter Shtime, giornale statunitense degli anarchici di lingua yiddish, pubblica nel novembre 1941 un breve articolo intitolato The Order of the Hour e firmato da Rudolf Rocker4. Punto di partenza della riflessione di quest'ultimo è l'affermazione dell'eccezionalità della “presente guerra”, la quale si differenzia sostanzialmente da tutti i conflitti del passato. L'elemento nuovo che la caratterizza è il totalitarismo nazista, che minaccia tutta la società. I lavoratori non sono stati in grado di evitarla e, anzi, Rocker afferma che la classe operaia francese è stata fin troppo attenta ai suoi interessi, indebolendo così la resistenza “alle orde di Hitler”. L'articolo sostiene che gli anarchici non possono rimanere passivi, ma devono farsi parte attiva nel conflitto in corso, poiché quest'ultimo si configura come lo “scontro di potere tra due diverse forze dell'evoluzione umana”. Si tratta della lotta tra il totalitarismo (collocato sulla scia dell'assolutismo, della schiavizzazione degli esseri umani e della militarizzazione della vita sociale) e quella tendenza che “lentamente innalza il popolo ad un più alto livello sociale e culturale e porta con sé l'eredità storica delle rivoluzioni del passato”5. Rocker traccia quindi brevemente una visione della storia secondo la quale le rivoluzioni liberali e democratiche del passato, spazzando via l'assolutismo feudale, avevano posto le basi per lo sviluppo del movimento operaio e del socialismo. È necessario allora battersi per difendere questi diritti. Rocker sottolinea che l'esito della guerra non può lasciare indifferenti, poiché una vittoria di Hitler significherebbe il collasso della civiltà (o meglio di quella civiltà dei diritti conquistati dopo una lotta secolare contro il dominio e lo sfruttamento) e con questa la fine del movimento operaio e di tutte le aspirazioni libertarie. Non schierarsi significa insomma “aiutare codardamente” il Terzo Reich. La ”citizenship society”, precisa Rocker, non è “la migliore del mondo”, ma è senza dubbio preferibile rispetto al regime nazista. La questione fondamentale posta da The Order of the Hour è l'esistenza di una scala di priorità, al vertice della quale c'è la necessità della sconfitta del nazismo a tutti i costi6.
Ritornando successivamente sull'argomento nell'ultimo volume delle sue memorie, pubblicato nel 1952, Rocker ripete ancora una volta che il governo nazista è l'unico responsabile del conflitto e della distruzione di quella che definisce la “comunità culturale europea”, cosa che non era accaduta nemmeno nel corso del primo conflitto mondiale. Tuttavia Rocker rimprovera anche il lassismo degli Alleati, colpevoli di aver lasciato agire troppo a lungo Hitler e di non aver impedito ai capitalisti di fare affari con il regime nazista mentre si preparava alla guerra. Inoltre viene precisato che la sua posizione non ha mai implicato una rivalutazione del capitalismo e della guerra, contro la quale è rimasto ostile per principio. Chi l'aveva accusato di essere un guerrafondaio senza aver mai letto i suoi articoli e si era accontentato di ribadire opinioni preconcette, non merita risposta, scrive Rocker, il quale conclude notando a questo proposito che la resistenza antinazista (per esempio in Francia) non aveva voluto certo difendere il capitalismo, bensì aveva semplicemente identificato il pericolo principale nel Terzo Reich7.

Rudolf Rocker 1873-1958
Una responsabilità troppo grave...

La posizione di Rocker espressa in The Order of the Hour trova il sostegno per esempio di giornali come il già citato Fraye Arbeter Shtime e l'Arbeter Fraint (animati entrambi da anarchici di lingua yiddish), e di attivisti come Diego Abad de Santillan, Maximov e Virgilio Gozzoli8. Ma, allo stesso tempo, si sollevano anche dure voci critiche. Tra queste c'è quella di Marcus Graham, editore del giornale libertario MAN! tra il 1933 e il 1940 e autore dell'opuscolo The Issues in the present War, nel quale nega l'eccezionalità della seconda guerra mondiale e accusa Rocker di essere un “pro-war anarchist”9. Il gruppo londinese “Freedom” supporta Graham, come del resto fa un altro testo, il Manifesto of the Anarchist Federation on War, il quale sintetizza la sua posizione riguardo al conflitto in corso con queste parole: “chiunque vinca, i lavoratori perdono”10.
André Prudhommeaux, nel già citato scritto Rudolf Rocker et la position anarchiste devant la guerre11, dichiara di voler contestare il contenuto del “famoso articolo” The Order of the Hour dal punto di vista dell'azione diretta, definita come principio irrinunciabile per gli anarchici in qualsiasi condizione, comprese quelle eccezionali. Secondo Prudhommeaux, il problema cruciale consiste nel fatto che Rocker, reclamando l'intervento degli Stati Uniti nel conflitto, si prende la grave responsabilità di spingere nel massacro europeo operai e contadini americani e, così facendo, mette da parte proprio quei diritti che tanto reclama, visto che in caso di mobilitazione militare sarebbero le prime vittime (in primo luogo il diritto di sciopero). Al contrario, Prudhommeaux ritiene che gli anarchici non debbano farsi coinvolgere nella guerra in corso, pena la compromissione della propria integrità rivoluzionaria. È vero, gli anarchici sono pochi e non hanno la forza di determinare il presente, si legge nell'articolo, ma possono ancora impegnarsi in piccoli atti di resistenza all'interno dei quali affermare il persistere dei loro grandi ideali. La posizione di Prudhommeaux risulta allora chiara: le tesi contenute in The Order of the Hour sono inaccettabili in quanto incrinano la coerenza che ha sempre contraddistinto l'operato degli anarchici12.

Disperazione o necessità?

La questione non viene affatto messa da parte e nel dopoguerra ha luogo un dibattito tra Ugo Fedeli e Vernon Richards. Tutto ha inizio con una serie di articoli del primo dedicati alla vita e al pensiero di Rudolf Rocker, pubblicati tra il 1953 e il 1954 sulla rivista Volontà13. Occupandosi delle posizioni di quest'ultimo in occasione della seconda guerra mondiale14, Fedeli afferma che la sua posizione in merito “non risultò contraddittoria”, tanto che “contro di lui veramente non si può dire, come qualche compagno osservò, che «fosse fautore e sostenitore di guerre» (in corsivo nell'originale, il riferimento è esplicitamente Prudhommeaux)”. Rocker infatti in quell'occasione “non diceva; questi hanno ragione contro quelli, ma soprattutto lotta contro quelli”. Pertanto Fedeli afferma che anche in quel frangente si ritrovava quella “posizione attiva (in corsivo nell'originale)” che aveva sempre contraddistinto l'anarchico tedesco15.
Vernon Richards, che aveva animato War Commentary nel corso del secondo conflitto mondiale, risponde a Fedeli nel 1954 con lo pseudonimo “Libertarian” sulla stessa rivista con l'articolo La guerra e gli anarchici16. Richards sostiene due punti fondamentali: non solo Fedeli sbaglia a sostenere la coerenza di Rocker, ma è la stessa posizione espressa da quest'ultimo ad essere errata per un anarchico, poiché è inammissibile sia accettare la guerra come mezzo, sia arrogarsi il diritto di spingere altri a fare qualcosa in nome dei propri valori personali. Infatti, constata Richards, è un controsenso voler costringere a combattere per la libertà. La sfera d'azione libertaria è necessariamente ristretta e va accettata in quanto tale, dato che opera sulla piccola dimensione e sulla capacità di persuasione. Dimenticare ciò, significa rifiutare le basi dell'anarchismo. Piuttosto che la posizione “disperata” di Rocker, è meglio il silenzio, conclude lapidariamente Richards.
Ugo Fedeli replica a sua volta alcuni mesi dopo, sempre su Volontà, invitando in primo luogo “ad intavolare una vasta discussione” sul problema della “guerra e gli anarchici”. Inoltre si focalizza sull'approccio che avrebbe contraddistinto Rocker tanto nelle lotte a fianco dei lavoratori, quanto nella seconda guerra mondiale. Questo metodo sarebbe rimasto sostanzialmente il medesimo: il raggiungimento del “particolare” (in questo caso la sconfitta del totalitarismo nazista) come tappa necessaria verso il “tutto” (ossia il futuro libertario)17.
L'idea della continuità della riflessione rockeriana sostenuta da Fedeli sembra riecheggiare anche nel saggio di Biagini sopra citato18, mentre Mina Graur ha sostenuto che l'anarchico tedesco nel 1941 aveva riscoperto le posizioni di Kropotkin nel 1914, identificando nella Germania l'incarnazione del militarismo e della reazione19. Una tesi che potrebbe apparire azzardata dato che per Rocker il nodo cruciale non era tanto la Germania, bensì il governo della Germania in quel momento, cioè il totalitarismo nazista. Berti ha invece messo in rilievo la connessione tra l'atteggiamento di Rocker davanti alla seconda guerra mondiale e il suo ripensamento del rapporto tra anarchismo e liberalismo20.

A sinistra l'anarchico e giornalista inglese Nicolas Walter,
a destra Vernon Richards (1915-2001)
Cosa rimane del dibattito di allora

Nel corso di queste pagine, si è presentato un frammento della discussione all'interno del movimento libertario sull'atteggiamento da tenere di fronte alla seconda guerra mondiale. In sintesi, si potrebbe dire che le posizioni presenti nel dibattito qui analizzato sono due:
1. La posizione di Rocker: gli anarchici devono intervenire come possono, specie in condizioni drammatiche ed eccezionali che, pur non dipendendo da loro, esistono e davanti alle quali è impossibile chiudere gli occhi. La scelta di non agire è quindi in determinati casi insufficiente se non dannosa.
2. La posizione dei critici: la prospettiva sostenuta da Rocker in The Order of the Hour è una deroga inaccettabile ai principi anarchici. La questione fondamentale non sta infatti nella necessità dell'intervento ma nella coerenza mezzi/fini, la quale non può essere sacrificata neppure sull'altare della necessità e dell'emergenza, pena la perdita della propria identità.
Una volta posta in termini generali, come del resto aveva già fatto Fedeli, la polemica qui delineata non è altro che un capitolo particolare di una problematica molto più generale, con la quale il movimento anarchico si è confrontato e continua a farlo21.
Una volta terminata la seconda guerra mondiale, bisogna fare i conti con ciò che rimane: cosa fare davanti alle macerie? Come comportarsi davanti alla ricostruzione? Questi interrogativi sono pressanti soprattutto per i (pochi) attivisti anarchici tedeschi che, sopravvissuti ai campi di concentramento, alla lotta clandestina e all'esilio, si ritrovano a vivere in una Germania occupata dalle potenze vincitrici. Alcuni di loro chiedono un parere a Rocker, il quale risponde con un breve scritto. Le sue proposte solleveranno nuove discussioni. Ma questo sarà l'argomento del prossimo articolo.

David Bernardini

(continua)

Note

  1. André Prudhommeaux, Rudolf Rocker & la position anarchiste davant la guerre, “revue Agone”, (2006), nn. 35-36, in: http://revueagone.revues.org/604, consultato il 21.6.2015. La versione originale dell'articolo indicata dalla Revue Agone è: “Le Réveil anarchiste”, febbraio 1946. Sulla sua figura si può consultare: Freddy Gomez, André Prudhommeaux 1902-1968: éléments de biographie intellectuelle et politique, “À contretemps”, (2012), n. 42.
  2. Rispettivamente: Furio Biagini, Rudolf Rocker: un “rabbino” anarchico, “A” rivista anarchica, 21 (dicembre 1991-gennaio 1992), n. 187 e Peter Marshall, Demanding the Impossibile. A History of Anarchism, HarperCollinsPublishers, London 1992, p. 417. Su Rocker mi permetto di segnalare anche: David Bernardini, Contro le ombre della notte. Storia e pensiero dell'anarchico tedesco Rudolf Rocker, Zero in Condotta, Milano 2014.
  3. Le memorie di Rocker sono composte da tre volumi, strumento eccezionalmente interessante per la ricostruzione delle vicende del movimento anarchico internazionale tra la fine dell'Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento, che vengono pubblicati in America Latina tra il 1947 e il 1951. Il primo volume tradotto in italiano da Andrea Chersi è disponibile on-line: Rudolf Rocker, La gioventù di un ribelle (1873-1895), Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli, Milano 2014, presso l'indirizzo: http://www.centrostudilibertari.it/rudolf-rocker-%E2%80%9Cla-giovent%C3%B9-di-un-ribelle-1873-1895%E2%80%9D .I due libri a cui si fa riferimento nel testo sono: Rudolf Rocker, Nazionalismo e cultura, edizioni Anarchismo, Catania 1977, II voll., e Rudolf Rocker, Anarchosyndicalism, Phoenix Press, London 1987.
  4. L'articolo viene in seguito pubblicato: Rudolf Rocker, The Order of the Hour, in Marcus Graham, The Issues in the present War, Freedom Press, London, 1943, pp. 29-30.
  5. Ibidem, p. 29.
  6. Commentando questa presa di posizione da parte di Rocker, è stato sostenuto l'esistenza di un “condizionamento esistenziale”, che tuttavia non avrebbe danneggiato la lucidità della sua analisi. In: Nico (Giampietro) Berti, Presentazione dell'edizione italiana, in Rudolf Rocker, Pionieri della libertà, Edizioni Antistato, Milano 1982, p. 11.
  7. Si veda: Rudolf Rocker, Rivoluzione e involuzione (1918-1951), Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli, Milano, di prossima pubblicazione, pp. 547-556.
  8. Si veda anche: GDL, Cinquanta anni fa moriva Rudolf Rocker, “Umanità Nova”, (2008), n. 30.
  9. Marcus Graham, The Issues in the present War, cit.; su Graham e il giornale MAN! per esempio si può vedere il saggio del 2011 di: Hillary Lazar, Man! And the International Group: American Anarchism's Missing Chapter, disponibile presso il sito: https://libcom.org/history/man-international-group-american-anarchism%E2%80%99s-missing-chapter, consultato il 15.07.2015.
  10. Contenuto in: Marcus Graham, The Issues in the present War, cit., p. 31.
  11. André Prudhommeaux, Rudolf Rocker & la position anarchiste davant la guerre, cit.
  12. Prudhommeaux fu profondamente coinvolto nella difesa di Marinus van der Lubbe, autore dell'incendio del Reichstag nel 1933, mentre Rocker ancora nelle sue memorie lo accusava di essere stato manovrato dai nazisti. Visto l'accenno alla questione all'inizio dell'articolo di Prudhommeaux qui considerato, si potrebbe ipotizzare una certa connessione tra le due polemiche.
  13. Ugo Fedeli, Rudolf Rocker. La sua opera e il suo pensiero, “Volontà”, (1953), nn. 6-7, pp. 340-346; (1953), n. 8, pp. 421-429; (1954), n. 11, pp. 593-604, (1954), n. 12, pp. 662-665; (1954), n. 1, pp. 47-55; (1954), n. 2, pp. 113-118; (1954), n. 3, pp. 168-176. Su Ugo Fedeli: Antonio Senta, A testa alta! Ugo Fedeli e l'anarchismo internazionale (1911-1933), Zero in Condotta, Milano, 2012. Senta nota che “Fedeli condivide con Valerio Isca una grande ammirazione per Rudolf Rocker”, in Ibidem, p. 126, n. 151.
  14. L'articolo in cui Fedeli si concentra sulla posizione di Rocker davanti alla seconda guerra mondiale è: Ugo Fedeli, Rudolf Rocker, cit., “Volontà”, (1954), n. 2, pp. 113-118.
  15. Ibidem, pp. 117-118.
  16. Libertarian (Vernon Richards), La guerra e gli anarchici, “Volontà”, (1954), n. 4, pp. 245-248. Su Vernon Richards si può vedere il ricordo di Colin Ward: Colin Ward, Ricordando Vernon Richards, “A” rivista anarchica, (2002), n. 372.
  17. Ugo Fedeli, Rudolf Rocker. La guerra e gli anarchici, “Volontà”, (1954), n. 8, pp. 454-458.
  18. Per esempio Biagini afferma a questo proposito che: “le motivazioni ideali che lo spingevano in questa battaglia erano le stesse che lo avevano sempre mosso contro l'autoritarismo, contro il totalitarismo di qualunque forma e colore”, in: Furio Biagini, Rudolf Rocker: un “rabbino” anarchico, cit.
  19. Mina Graur, An Anarchist “Rabbi”. The Life and Teachings of Rudolf Rocker, St. Martin's Press, New York 1997.
  20. Nico Berti, Presentazione dell'edizione italiana, cit. e il capitolo dedicato al pensiero di Rocker in: Giampietro Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Pietro Laicata Editore, Manduria- Bari- Roma 1998.
  21. Significativamente, i due articoli della discussione Richards-Fedeli sono stati riproposti dal sito “Finimondo” che li introduce con queste parole: “riproponiamo una discussione vecchia di sessant'anni, ma purtroppo sempre giovane, il cui titolo originario era La guerra e gli anarchici. Vecchia nel suo oggetto, non certo nelle sue argomentazioni”. Si veda: http://www.finimondo.org/node/1359, consultato il 15.7.2015.


Vita di Rudolf Rocker

In Germania, 1873-1892: Nato il 25 marzo 1873 a Magonza (Germania), Rocker rimane presto orfano. Avviato alla professione di rilegatore, aderisce al partito socialdemocratico all'inizio del 1890, ma ne è presto espulso. Assiste al congresso socialista internazionale di Bruxelles nel 1891 e, avvicinatosi all'anarchismo, fonda a Magonza alla fine dell'anno un gruppo anarchico. Minacciato dall'arresto per la sua attività politica, Rocker è costretto a lasciare la Germania, dove gli si prospettava anche il servizio militare obbligatorio.

A Parigi, 1892-1894: Rocker si rifugia a Parigi e qui frequenta l'ambiente degli esiliati tedeschi ed entra in contatto con quello degli anarchici di lingua yiddish. Nel 1893 nasce il suo primo figlio (di nome Rudolf). L'anno successivo, dopo dell'attentato di Sante Caserio e della seguente ondata repressiva, Rocker è costretto a lasciare la Francia.

In Inghilterra, 1894-1914: Trasferitosi a Londra, Rocker frequenta i rifugiati politici tedeschi, dai quali si distacca per impegnarsi tra gli anarchici di lingua yiddish. Inizia la sua relazione con Milly Witkop, militante anarchica ed emigrata ucraina di origine ebraiche, che durerà fino alla morte di lei. Rocker in questo periodo si afferma come importante punto di riferimento per gli anarchici di lingua yiddish residenti in Inghilterra, tanto da meritarsi il soprannome di “rabbi goy”. Dirige tra l'altro il resuscitato Arbeter Fraint e ha un ruolo di spicco nell'organizzazione sindacale dei lavoratori di origine ebraica. Nel 1907 partecipa al congresso internazionale anarchico di Amsterdam, entrando a far parte del bureau internazionale. Nello stesso anno nasce Fermin, il figlio di Rocker e Milly.

Inghilterra (in campo di concentramento), 1914-1918: Rocker, oppositore della prima guerra mondiale, viene arrestato e internato in campo di concentramento in quanto alien enemy, cioè straniero di nazionalità nemica, dove rimane per quattro anni.

Di nuovo in Germania (repubblica di Weimar), 1918-1933: Rocker si trasferisce con Milly e Fermin a Berlino, dove diviene uno degli esponenti di spicco della Libera Unione dei Lavoratori tedeschi (FAUD), organizzazione anarcosindacalista. Successivamente è tra i promotori dell'AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori), fondata a Berlino tra la fine del 1922 e l'inizio del 1923, di cui sarà anche segretario. Nel corso degli anni Venti Rocker è assorbito dalla sua attività di conferenziere e giornalista, si impegna al fianco dei rifugiati politici anarchici che giungono a Berlino e pubblica diversi libri e opuscoli. Nel 1933 Rocker e Milly devono lasciare precipitosamente la Germania a seguito dell'incendio del Reichstag. Dalla Svizzera passano per la Francia e dall'Inghilterra, infine salpano verso gli Stati Uniti per un giro di conferenze, invitato dagli anarchici di lingua yiddish.

Stati Uniti, 1933-1958: Rocker si concentra soprattutto nell'attività di scrittore. In questo periodo pubblica libri importanti come Nazionalismo e cultura, Anarchosyndicalism, I pionieri della libertà e Max Nettlau: el Herodoto de la anarquia. Nel 1937 gli anarchici di lingua yiddish donano a Rocker e a Milly una casetta nella colonia libertaria Mohegan, nel Maine, dove i due si stabiliscono. Rocker porta inoltre a termine i tre volumi delle sue memorie, pubblicati tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta. Affranto dalla morte di Milly nel 1955, Rocker muore il 10 settembre 1958, all'età di 85 anni.

a cura di D.B.